Caso Cristina Mazzotti, a Milano nuova inchiesta su rapimento e omicidio del 1975

Lombardia

Aperta nel capoluogo lombardo una terza e nuova indagine con quatto indagati nella vecchia 'mala' milanese vicina alla 'Ndrangheta. La 18enne fu la prima donna a essere rapita dall'Anonima sequestri nel Nord Italia

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Nuovi sviluppi sul caso di Cristina Mazzotti, ragazza di 18 anni sequestrata a scopo di estorsione e poi uccisa nel 1975. È stata infatti aperta a Milano una terza e nuova inchiesta da parte della procura del capoluogo lombardo con quatto indagati nella vecchia 'mala' milanese vicina alla 'Ndrangheta. Come riportato oggi da vari organi di stampa, i pm milanesi Alberto Nobili e Stefano Civardi, sulla base del lavoro della squadra Mobile, contestano a quattro persone legate alla 'Ndrangheta l'omicidio volontario della 18enne, che fu la prima donna a essere rapita dall'Anonima sequestri nel Nord Italia.

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Le accuse

I pm di Milano contestano ai quattro indagati l'omicidio di Cristina Mazzotti nel presupposto che "segregandola in una buca senza sufficiente aereazione e possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti e eccitanti", ne abbiano "così cagionato la morte" nelle stesse ore in cui il padre pagava il riscatto tra il 31 luglio e l'1 agosto 1975. Si tratta di Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Romeo e Antonio Talia. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Il caso Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti fu rapita la sera del'1 luglio 1975 fuori dalla sua villa di Eupilio, in provincia di Como. Al padre della ragazza, Helios, furono chiesti cinque miliardi di lire di riscatto e dopo un mese l'uomo racimolò 1 miliardo e 50 milioni che pagò. Il primo settembre del '75 una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate, nel Novarese, e lì fu ritrovato il cadavere. Cristina era stata uccisa da un cocktail di farmaci.

I processi

Un primo processo si concluse a Novara con 13 condanne di cui otto ergastoli a carico di fiancheggiatori ma non degli esecutori materiali del sequestro finito in omicidio. Nel 2007 un'impronta digitale, grazie alla nuova banca dati, fu attribuita Demetrio Latella. Il gip ne respinse per mancanza di esigenze cautelari l'arresto chiesto dalla Procura di Torino, ma Latella ammise di essere stato uno dei sequestratori e chiamò in causa altre due persone. Il fascicolo (passato a Milano per competenza territoriale) fu archiviato nel 2012: prescritti, per varie ragioni, il sequestro di persona e l'omicidio volontario aggravato. Nel frattempo, però, una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione nel 2015 aveva indicato imprescrittibile il reato di omicidio volontario. Un esposto è stato quindi riproposto da Fabio Repici, già avvocato della famiglia Mazzotti e poi parte civile per la famiglia del magistrato torinese Bruno Caccia ucciso nel 1983 in un delitto nel quale per Repici avrebbe avuto un ruolo Latella.

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