Secondo l'accusa, il leader della Lega avrebbe offeso "la reputazione" della giovane con dirette Facebook e post su Twitter con frasi come "quella sbruffoncella di questa comandante che fa politica sulla pelle di qualche decina di migranti"
Andrà a processo il prossimo 9 giugno Matteo Salvini, accusato di diffamazione aggravata nei confronti di Carola Rackete, l'ex comandante della Sea Watch 3, perché, tra giugno e luglio del 2019, avrebbe offeso "la reputazione" della giovane con dirette Facebook e post su Twitter con frasi come "quella sbruffoncella di questa comandante che fa politica sulla pelle di qualche decina di migranti", "criminale tedesca", "ricca tedesca fuorilegge", "ricca e viziata comunista". La Procura di Milano, infatti, dopo aver disposto la citazione diretta a giudizio per l'ex ministro dell'Interno, difeso dal legale Claudia Eccher, ha notificato la data di inizio del processo, davanti alla quarta sezione penale, nel quale Rackete è parte civile, a seguito della denuncia, rappresentata dall'avvocato Alessandro Gamberini. Nei mesi scorsi, il gip di Milano Sara Cipolla, accogliendo la richiesta del pm Giancarla Serafini, aveva disposto, invece, l'archiviazione dell'accusa di istigazione a delinquere contestata sempre a Salvini dopo la denuncia della giovane.
La vicenda
Rackete era stata arrestata per poche ore per aver violato gli ordini delle autorità italiane (poi fu scagionata dalle accuse) e aver portato, la sera del 29 giugno 2019, la Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa per fare sbarcare i 53 migranti che erano a bordo della nave da più di due settimane. Nel capo di imputazione a carico di Salvini, formulato dal pm Serafini, si legge che il leader leghista avrebbe offeso Rackete anche con altre espressioni, pure con post su Facebook, come "complice di scafisti e trafficanti" e "zecca tedesca". Nel maggio del 2021 era stata archiviata, invece, l'accusa di istigazione a delinquere. Le "espressioni" usate da Matteo Salvini, aveva scritto il gip, sono "manifestazione di pensiero" e non "contengono alcuna espressione, parola idonea ad incoraggiare, ad istigare in concreto gli utenti a porre in essere condotte delittuose" nei confronti di Rackete. E i "molteplici" post sui social che sono seguiti, dai contenuti "gravemente offensivi e minacciosi", non sono "diretta conseguenza delle espressioni proferite" dal leader della Lega. Il giudice aveva anche fatto notare che la "legittimità" della manifestazione del pensiero di Salvini, attraverso quelle frasi, "è oggetto di altro procedimento penale", ossia il processo per diffamazione, e che dunque non poteva fare altre valutazioni.