Secondo i giudici l'ex giocatore del Milan e i suoi "complici" hanno manifestato "particolare disprezzo" nei confronti "della vittima che è stata brutalmente umiliata" e hanno "da subito cercato di sviare le indagini offrendo agli inquirenti una versione dei fatti falsa e previamente concordata"
Dopo la condanna a nove anni di carcere per Robinho e per un suo amico per violenza sessuale di gruppo su una ragazza che all'epoca dei fatti, nel 2013, aveva 23 anni, sono uscite le motivazioni della Corte d'Appello di Milano. Secondo i giudici l'ex giocatore del Milan e i suoi "complici" hanno manifestato "particolare disprezzo" nei confronti "della vittima che è stata brutalmente umiliata" e hanno "da subito cercato di sviare le indagini offrendo agli inquirenti una versione dei fatti falsa e previamente concordata".
La vicenda
Nei mesi scorsi il Santos, squadra brasiliana dove Robinho era tornato a giocare per chiudere la carriera, lo aveva messo fuori rosa perché in Brasile si era tornato a parlare del processo milanese ed erano state pubblicate intercettazioni dell'inchiesta sulla violenza che hanno scatenato reazioni e polemiche. Robinho nel 2013 giocava per il Milan e avrebbe commesso lo stupro con altri quattro, che si sono resi irreperibili. La Corte ha accolto la richiesta del sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, della conferma delle condanne. Pg che aveva smontato nel suo intervento le quattro consulenze tecniche prodotte dalla difesa di Robinho.
Le parole dei giudici
"L'illustrato quadro probatorio - scrive la Corte d'Appello di Milano - dimostra in modo inequivocabile, a parere della Corte, lo stato di totale incoscienza della persona offesa". A fronte delle "floride condizioni economiche" di Robinho "decantate dalla difesa e che avrebbero costituito l'obiettivo ultimo della denuncia, egli - scrive la Corte - non ha inteso avanzare neppure una offerta risarcitoria che, anche nella prospettiva difensiva di una mancata percezione del dissenso, avrebbe potuto trovare spazio".