Caso Ruby, gip dispone nuove indagini sulla morte di Imane Fadil

Lombardia

I nuovi accertamenti dovranno valutare se ci sia un "nesso" tra la morte e la "condotta dei sanitari" e se, tra le altre cose, la "malattia" poteva essere diagnosticata prima

Servono nuove indagini e valutazioni, anche con perizie, sulla morte della modella marocchina Imane Fadil (CHI ERA), una delle testimoni 'chiave' del caso Ruby deceduta il primo marzo 2019 all'Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano. Nuovi accertamenti per valutare se ci sia un "nesso" tra la morte e la "condotta dei sanitari" e se, tra le altre cose, la "malattia" poteva essere diagnosticata prima. Lo ha deciso il gip di Milano Alessandra Cecchelli accogliendo la richiesta dei legali della famiglia della giovane, tra cui l'avvocato Mirko Mazzali, e respingendo l'istanza di archiviazione avanzata dalla Procura. Il giudice ha fissato un termine di 6 mesi per le nuove indagini restituendo gli atti ai pm.

La richiesta di archiviazione

A metà settembre 2019, dopo mesi di complessi accertamenti, gli inquirenti avevano stabilito che Fadil era stata stroncata da una malattia rara, una forma di aplasia midollare che le era stata diagnosticata tre giorni prima di morire nella clinica milanese. Subito dopo la morte, gli esiti di alcune analisi avevano destato non poco allarme e si era creato un 'giallo': l'ipotesi, poi smentita dai successivi accertamenti, era avvelenamento con sostanze radioattive o metalli pesanti. Ipotesi avvalorate anche da una telefonata in cui la ragazza diceva al suo legale dell'epoca: "Volevano farmi fuori". La Procura milanese, all'esito delle complesse indagini, aveva chiesto di archiviare l'inchiesta aperta per omicidio volontario, facendo riferimento a quanto scritto dai medici legali nella consulenza depositata nel settembre del 2019, dove si legge che "l'aplasia midollare associata a epatite acuta costituisce un'entità clinica estremamente rara e di estrema gravità in cui l'esito infausto è purtroppo frequente sia come conseguenza dell'insufficienza epatica che di quella emopoietica". Gli stessi consulenti dei pm avevano segnalato che "le scelte terapeutiche degli ultimi giorni", successive alla diagnosi, "non sono state coerenti con tale diagnosi", ma avevano messo nero su bianco che non c'erano elementi "indicativi di profili di colpa medica".

L’istanza dei legali della famiglia

Nell'istanza di opposizione discussa in udienza nel febbraio del 2020, i legali dei familiari, gli avvocati Mazzali e Nicola Quatrano, avevano indicato al gip la necessità di disporre tutta una serie di nuove "valutazioni peritali", anche sulle presunte responsabilità dei medici nelle terapie, a loro dire, sbagliate e sulla diagnosi non tempestiva. Per il giudice, come si legge nel provvedimento, sono "necessarie ulteriori indagini per avere un quadro probatorio chiaro ed esaustivo" sul "caso". Per il gip, come hanno sostenuto i legali della famiglia, servono "ulteriori approfondimenti attraverso specifica valutazione peritale" per verificare se "fosse prevedibile ed evitabile la emorragia gastroesofagea che ha determinato la morte di Imane Fadil", se fosse "possibile un accertamento più tempestivo della diagnosi della malattia" e se dunque si "poteva evitare il decesso" con "le cure del caso".

Le motivazioni del gip

Per il gip, non basta "quanto sinteticamente affermato" da un consulente della Procura di Milano sulla "assenza di colpa medica in capo ai sanitari che hanno avuto in cura" Imane Fadil. Nelle sette pagine di ordinanza con cui ha deciso di riaprire il caso, il giudice Cecchelli ricorda che il consulente di parte della famiglia della modella ha messo in luce la "tardiva disponibilità del risultato dell'analisi istologica della biopsia osteomidollare, oltre che un'errata interpretazione delle risultanze diagnostiche acquisite in itinere dai sanitari curanti, una mancata esecuzione della necessaria terapia immunosoppressiva e una ingiustificata esecuzione di procedure di plasma exchange". A fronte delle "complessive risultanze" dell'indagine, tra cui appunto consulenze e anche testimonianze dei medici riportate nell'ordinanza, per il gip "le conclusioni" raggiunte dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Luca Gagglio "non paiono sufficienti allo stato per accogliere la richiesta di archiviazione”.

Il giudice sottolinea la "necessità di accertare se fosse possibile una diagnosi più tempestiva della malattia nel corso del ricovero e se un'eventuale intempestività abbia impedito una terapia che poteva mutare la prognosi di vita". La "terapia di supporto e steroidea", scrive il gip, "era dettata da un quadro clinico non correttamente interpretato dai sanitari che giungono alla diagnosi di aplasia solo pochi giorni prima del decesso". Per il gip, poi, suscitano "evidenti perplessità" le dichiarazioni del medico che ebbe in cura nella clinica la giovane, il quale ha messo a verbale che "data la situazione era più urgente il plasma exchange, più del trapianto" di midollo. Un infermiere, si legge ancora, ha raccontato: "La situazione di Imane è sempre stata critica fin dall'inizio del ricovero". E un'altra infermiera: "Si vociferava di un possibile avvelenamento soprattutto perché non si trovava una causa ai suoi sintomi". 

Infine, il giudice ritiene che le istanze di nuovi accertamenti sul fronte dell'avvelenamento, anche questi richiesti dalla famiglia, sono superate perché tutte le analisi già effettuate hanno escluso "in radice ipotesi penalmente sostenibili di avvelenamento". Né, per il giudice, si deve indagare sui "sanitari" intervenuti a casa di Fadil tra il 23 e il 24 gennaio 2019, cinque giorni prima del ricovero. 

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