Coronavirus, paziente 1 non è più intubato e respira autonomamente

Lombardia
Foto di archivio (Agenzia Fotogramma)

Il 38enne manager dell'Unilever rimane attualmente ricoverato all'ospedale San Matteo di Pavia, mentre sua moglie, incinta di otto mesi, è tornata a casa già da qualche giorno dopo essere stata ricoverata all'ospedale Sacco di Milano

Il paziente 1, ricoverato a Pavia, non è più intubato e respira autonomamente. A confermare la notizia è stato Giulio Gallera, assessore al Welfare di Regione Lombardia, parlando dell'emergenza Coronavirus e in particolare del caso di Mattia (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE - GRAFICI E MAPPE - ANTIVIRUS, L'ITALIA CHE RESISTE). "Il paziente 1 - ha riferito - è stato trasferito dalla terapia intensiva a quella sub intensiva. È stato cioe' 'stubato' in quanto ha iniziato a respirare autonomamente".

Chi è il paziente 1

Il 38enne manager dell'Unilever rimane attualmente ricoverato all'ospedale San Matteo di Pavia, mentre sua moglie, incinta di otto mesi, è tornata a casa già da qualche giorno dopo essere stata ricoverata all'ospedale Sacco di Milano. Il paziente 1 era stato trasferito da Codogno al Policlinico pavese nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio, in gravissime condizioni. Per due settimane è stato considerato dai medici del San Matteo grave, ma stabile. Ora, invece, a quanto si apprende, le condizioni di Mattia sono migliorate in modo significativo.

Il medico che ha scoperto il paziente 1

“Quando un malato non risponde alle cure normali, all’università mi hanno insegnato a non ignorare l’ipotesi peggiore. Mattia si è presentato con una polmonite leggera, ma resistente ad ogni terapia nota. Ho pensato che anch’io, per aiutarlo, dovevo cercare qualcosa di impossibile”. A spiegarlo è stata Annalisa Malara, anestesista di Cremona, il medico dell’ospedale di Codogno che ha per prima ha diagnosticato il paziente 1 positivo al Coronavirus.

La decisione di eseguire il tampone

L’idea che potesse trattarsi di Coronavirus le è venuta dopo che “farmaci e cure risultavano inefficaci su una polmonite apparentemente banale”. Giovedì 20 febbraio, quando le condizioni del paziente erano drasticamente peggiorate, ha “chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo”, racconta. Così ha deciso di “chiedere l’autorizzazione all’azienda sanitaria” per un tampone, che ha confermato il Covid-19. “Nel frattempo - aggiunge - io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il Coronavirus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvato”, visto che “nessuno di noi è stato contagiato. Il Covid-19 non aveva messo in conto che l’essere umano, pur di sopravvivere, non si rassegna”, conclude

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