Torna in Italia Alvin Berisha, il figlio della foreign fighter morta in Siria

Lombardia
Foto di archivio (Getty Images)

Nel dicembre del 2014 la donna decise di lasciare il marito e le altre due figlie per andare a combattere per lo Stato islamico. Il piccolo è stato individuato nel campo profughi siriano di Al Hol. Ora si trova all'ambasciata italiana a Beirut

La madre lo aveva portato con sé da Barzago (Lecco) in Siria, dove si era recata per combattere a fianco dell’Isis lasciando il marito e le altre due figlie (VIDEO). Ora Alvin Berisha, di 11 anni, sta facendo rientro in Italia, grazie alle ricerche del Servizio internazionale di cooperazione della polizia (Scip) e dei Ros dei carabinieri, che lo hanno individuato nel campo profughi siriano di Al Hol. Il bimbo si trova ora all'ambasciata italiana a Beirut e le sue condizioni sarebbero discrete, stando a quanto si apprende. Potrebbe rientrare in Italia già domani.

La madre sarebbe morta in uno scontro a fuoco

Nel 2014 Valbona Berisha, 35 anni di origini albanesi, decise di lasciare il marito, Afrim Berisha, e arruolarsi tra le fila dello Stato islamico. Il 17 dicembre dello stesso anno partì dunque verso la Siria dall’aeroporto di Orio al Serio, portando con sé anche il suo terzogenito, che allora aveva sei anni. Il gup di Milano Guido Salvini, nell'ambito del procedimento a carico della donna per terrorismo internazionale, sequestro di persona e sottrazione di minori, coordinato dal Ros, dal capo del pool antiterrorismo milanese Alberto Nobili e dal pm Alessandro Gobbis, attivò subito le ricerche della donna e del bambino. Berisha, stando a quanto si apprende, sarebbe però morta "a seguito di un non meglio precisato scontro a fuoco". Il bambino invece, individuato nel campo profughi di Al Hol, potrebbe far ritorno in Italia già domani.

Il viaggio verso la Siria

In Italia dal 2000, ‘Bona' - così era soprannominata la donna - faceva la casalinga ma nel giro di poco tempo si era radicalizzata via web, abbandonando il marito muratore e le altre due figlie, che all'epoca avevano 10 e 11 anni. Stando alle indagini, la donna avrebbe avuto contatti con terroristi dell'Isis ad alti livelli e avrebbe raggiunto Al Bab, una località ad una quarantina di chilometri da Aleppo, grazie all'aiuto di un foreign fighter albanese, forse poi morto nel 2015, che avrebbe comprato il biglietto aereo per la donna e il bimbo.

Bimbo obbligato a frequentare un campo di addestramento

Il padre si era recato più volte in Siria per cercare la moglie e il figlio. Con quest'ultimo l'uomo è anche riuscito a parlare: “È vestita che sembra una Ninja”, gli avrebbe detto il bimbo riferendosi alla madre. Stando alle indagini, la donna avrebbe messo anche il figlio a disposizione dello Stato islamico, obbligandolo a frequentare un campo di addestramento per imparare "la lotta corpo a corpo e l'uso delle armi". La madre ha addirittura cambiato nome al piccolo in 'Yussuf' - come confermato dallo stesso all'UNHCR - e lo avrebbe fatto anche circoncidere.

Il ritrovamento

Il bambino, nato in Italia ma cittadino albanese, viveva nell’area orfani di Al Hol, il campo profughi nel nord est del paese sotto il controllo dei curdi che ospita oltre 70mila persone, prevalentemente le compagne e i figli dei combattenti jihadisti morti o in prigione. L’operazione, non priva di rischi, che ha portato al recupero dell’undicenne ha visto la partecipazione della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, oltre alla Farnesina e al ministero degli esteri albanese. Il piccolo è stato portato a Damasco, quindi al confine con il Libano, dove è stato preso in carica da un funzionario dello Scip che lo ha condotto all'ambasciata italiana a Beirut in attesa di fare ritorno a casa.

Il contributo dell'Aise

Nell'indagine che ha consentito di riportare in Italia il piccolo, c'è stato il "contributo determinante" degli uomini dell'Aise, l'Agenzia per la sicurezza esterna diretta dal generale Luciano Carta. Gli uomini dell'intelligence, secondo quando si apprende, hanno agito in collaborazione con le autorità albanesi e quelle curde.

Non parla quasi più italiano

Il "primo contatto”, ha spiegato il maggiore del Ros Giuseppe De Angelis nella sua testimonianza davanti al gup dello scorso 27 settembre, risale allo scorso maggio, mentre le prime conferme sono arrivate intorno a luglio. Il bimbo "ricorda di avere avuto dei pregressi in Italia e di avere due sorelle", ha aggiunto l'investigatore, ma non parla quasi più italiano. Il padre, avrebbe riconosciuto il figlio da una foto della Croce Rossa, nonostante gli anni passati, grazie a un particolare fisico. Per verificare che si trattasse effettivamente di lui è stata coinvolta la Polizia Scientifica, che ha effettuato un esame di comparazione fisionomica arrivando alla quasi certezza che si trattasse proprio di lui, grazie anche all'individuazione di una malformazione all'orecchio destro. Il 10 settembre scorso, su autorizzazione della procura di Milano, è stata diramata dall'Interpol una yellow notice di rintraccio del minore.

Il gip ha chiesto di ascoltare il bimbo

Il gip di Milano ha chiesto di sentire in modalità protetta il bambino, una volta in Italia, per avere elementi proprio sulla morte della madre, la cui conferma porterebbe alla chiusura dell'indagine a carico della donna. Lo stesso giudice, infatti, spiega in un verbale che "sarà necessario acquisire, magari anche dal figlio, anzi, soprattutto dal figlio, notizie sulla morte probabile dell'indagata", perché "il testimone della morte sarebbe lui, presumibilmente".

Il premier Rama ringrazia Conte

Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, ha ringraziato oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per il “suo personale impegno” nell’operazione che ha consentito di riportare in Italia Alvin Berisha. Il premier albanese ha fatto sapere che "accompagnato dal nostro ministro dell'Interno (Sander Lleshaj), Alvin sta andando nell'ambasciata d'Italia a Beirut, dove sarà munito della necessaria documentazione per rientrare in Italia e riabbracciare suo padre”.

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