“Scrivere è un gioco costante con l’abisso”: Sandro Veronesi racconta la lezione di Onetti

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Filippo Maria Battaglia

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L'autore del "Colibrì" firma la postfazione della nuova edizione della "Vita breve", il capolavoro del grande scrittore uruguaiano. E durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, dice: "Un'opera deve stare sempre in equilibrio, tenendo sia se stessa sia il lettore in una posizione di sicurezza"

"Il plinto di fondazione della letteratura latinoamericana del secondo Novecento".

Sandro Veronesi definisce così Juan Carlos Onetti, ed è una definizione attinente e sorprendente insieme: perché, se cristallizza il debito contratto da almeno un paio di generazioni di scrittori, insiste al contempo su una semantica (di carichi, di strutture, di resistenza) che a uno sguardo distratto può sfuggire dall'associazione di un talento audace e sempre in sospeso come Onetti.

Una scrittura acida e per questo meno popolare

Onetti è considerato uno dei più grandi scrittori del Novecento. Nato a Montevideo nel 1909, come tutti i plinti  - ricorda Veronesi durante l'ultima puntata di "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24 - è quasi invisibile: "Conosciuto e apprezzatissimo da tutti quei grandi scrittori sudamericani che, i premi, li hanno vinti,  ha preso molto meno di ciò che meritava per via di una scrittura più rigorosa, più visionaria, più acida diciamo, e però in un certo senso considerata meno popolare".

"Per Onetti equilibrio significa non precipitare"

Ora Onetti torna nelle librerie italiane grazie a una collana a lui dedicata pubblicata da Sur, la casa editrice che da anni ormai riserva cura, tempo e attenzione per quella letteratura di cui Onetti è considerato un caposaldo. E Veronesi firma la postfazione del primo volume della collana, "La vita breve", il romanzo considerato il suo capolavoro.

"Per Onetti equilibrio significa non precipitare", spiega Veronesi, precisando come il suo sia "un gioco costante con il precipizio, con l'orrido, con l’abisso" e affrettandosi però ad aggiungere una notazione, decisiva: e cioè che quel precipizio può riguardare i personaggi ma che non deve mai riguardare l’opera. "L'opera - dice ancora Veronesi - deve stare sempre in equilibrio, tenendo sia se stessa sia il lettore in una posizione di sicurezza, altrimenti se ti trasmette quello stesso vuoto nel quale precipitano i personaggi, viene vissuta come sgradevole". 

Il punto, aggiunge il due volte premio Strega, è che spesso viene mal sopportato anche chi resta in equilibrio: "Le persone, si sa,  soffrono di vertigini e un lettore che vede tanto vuoto sotto le parole e le frasi tese sulle quali cammina può sentirsi angosciato. Forse, il problema di Onetti col grande pubblico è stato questo".

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"Una parte di senso compiuto può essere sacrificata in nome della libertà espressiva"

 

Veronesi spiega poi che Onetti insegna che si può anche non capire proprio tutto di una storia, che una certa percentuale di senso compiuto può essere sacrificata in nome della libertà espressiva. E se gli si chiede dei limiti di questa libertà, fino a che punto ci si può spingere, lui risponde che il limite non c’è. Cita i film di David Lynch (che, dice, sacrificano il senso compiuto di certe linee narrative per dare una forte e onirica impronta espressiva) e cita James Joyce prima di domandarsi: "Finnegans Wake ha oltrepassato il limite?". "Sicuramente sì  - risponde - perché io faccio fatica a capirlo, ma l’Ulisse no, l’Ulisse non ha oltrepassato il limite eppure è un limite che io personalmente come scrittore considero superato già dalla prima pagina. Epperò, al tempo stesso, leggendolo t’accorgi che nella letteratura esiste e ha cittadinanza un Paese dove si scrive così. Ecco, io credo che Onetti fosse uno che aveva imparato quella lezione".

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In equilibrio su una fune che collega Faulkner e Sartre

Breve pausa, poi Veronesi spiega che leggere Onetti è come andare in equilibrio su una fune. Sulla prima estremità c'è Faulkner, "il maestro di tutti quelli che si sono spinti verso lo sperimentalismo, verso l'estremo e anche oltre il limite dell’espressività tradizionale".

Sull'altra, invece, c'è Sartre, "il suo corrispettivo mondano, ma nel senso di quale mondo attraversi e racconti. Un mondo esistenzialista, nel caso di Onetti, ma di un esistenzialismo più che altro di rimbalzo, quello argentino di Buenos Aires, quello uruguaiano di Montevideo, dove però si trovano i personaggi tipici della letteratura e della visione del mondo esistenzialista, donne fatali, alcol, droghe, sesso, quattrini, e dove nessuno è mai in salvo in questa idea francese della vita  à bout de souffle".

Per questo, dice, si finisce sempre imbrigliati in una sorta di trama poliziesca: "Perché è quella che più si adatta alla disperazione molto ben arredata nella quale si dibattono personaggi quasi senza alternativa".

"Se oggi c'è un concetto datato, è lo sperimentalismo"

L'intervista sta per finire, c'è il tempo però per un'ultima precisazione. "La vita breve" rappresenta secondo la critica l’esordio della letteratura latinoamericana nella modernità, intendendo per modernità lo sperimentalismo. Ma  attenzione - ricorda Veronesi - questi due termini non sono per forza sinonimi. C'è stato un tempo in cui lo sono stati, certo, e "Onetti scrive in un periodo che è classicamente quello dello sperimentalismo e quindi nel suo caso modernità e sperimentalismo coincidono, sebbene traslati in un continente come quello sudamericano". E tuttavia, precisa Veronesi, col tempo anche lo sperimentalismo è stato classicizzato e quindi adesso è del tutto scorretto assimiliare il concetto di modernità con quello di sperimentalismo. "Se c’è un concetto datato e non contemporaneo oggi - conclude - beh,  questo è proprio lo sperimentalismo".

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