Come nascono i carri del Carnevale: i segreti degli artisti di Viareggio

La Cittadella del Carnevale si trova leggermente fuori dal centro di Viareggio, a pochi minuti dal mare. All’ingresso ci si imbatte in una gigantesco mascherone di cartapesta, che rappresenta il Re Carnevale. Dentro la Cittadella si trovano gli hangar dove vengono costruiti i celebri carri allegorici, che ogni anno sfilano per la tradizionale manifestazione. A prima vista si potrebbe credere di essere in un luogo incantato, fatto apposta per divertire i bambini. Ma il Carnevale di Viareggio non è per bambini e, a dire il vero, non è nemmeno per certi adulti. Infatti, camminando tra gli hangar, si possono incontrare colossali riproduzioni di Giorgia Meloni in camicia nera o visi sfigurati di preti e papi con la bava alla bocca. “Ce lo possiamo permettere – spiega Carlo Lombardi, costruttore di carri allegorici dal 1987 – perché al Carnevale si può fare di tutto. A Carnevale tutto è lecito”. Blasfemia, irriverenza, tracotanza, banalità: Viareggio, da febbraio a marzo, diventa lo specchio distorto della nostra società. “E ci piace esserlo. Il nostro carro di quest’anno – continua Lombardi – affronta uno dei tabù del cattolicesimo: portiamo una donna al soglio pontificio. Dopo le fumate nere, dai tetti di cartapesta arriva la fumata bianca. Il busto del papa viene girato verso il pubblico: è una papessa”. “Se segui le tue emozioni, a Viareggio ci caschi” Qualche passo dopo l’ingresso della Cittadella, si trova l’hangar 5. Da quest’ultimo sbuca una mastodontica bambola, sorretta da una decina di grosse mani e circondata da telefonini di polistirolo. “Direi più che sono telefononi – sorride Umberto Cinquini, artigiano del Carnevale dal 1985 – perché ognuno di loro è alto più di due metri”. All’interno dell’hangar risuonano le grida in versiliese dei collaboratori di Cinquini, che saldano le strutture del carro, tagliano e modellano i fogli di giornale, dipingono i volti tristi delle bambole. “Il nostro carro per il 2025 – racconta Cinquini – si intitola ‘Come tu mi vuoi’. Sono delle bambole che si compongono in scena e sfilano davanti al telefonini. Il nostro scopo è chiaro: parodiare e criticare la vita delle influencer e l’impalcatura di apparenze dei social”. Ma come nasce l’idea che dà vita al carro? “L’ispirazione – sorride Cinquini – può essere un sogno o un incubo. È un’angoscia giornaliera, nel tentativo di trovare un’idea che sia digeribile al pubblico, ma che porti la manifestazione a crescere. Vi faccio un esempio: nel 1961 venne costruito il primo carro di satira politica. Fu aspramente criticato, perché per i viareggini il Carnevale doveva rimanere svago. E invece? Abbiamo campato 60 anni sulla satira politica. Questo per dire che le idee devono sì piacere al pubblico, ma devono soprattutto innovare, scandalizzare”. Quello del 2025 è il quarantesimo Carnevale che vede Umberto Cinquini impegnarsi per dare vita alle creazioni di polistirolo, ferro e cartapesta. “Da ragazzo – racconta – volevo fare il cantante. Ma se sei un’artista, se segui le tue emozioni, in qualche modo a Viareggio ci caschi. Nel 1985 presentai la mia prima maschera isolata, che si classificò prima in quell’edizione. Da allora il Carnevale mi ha inglobato e ne sono felice. Credo che sia uno dei mestieri più ansiogeni del mondo: fino al momento della sfilata non sai mai se il tuo carro funzionerà. Vivi in uno stato di affanno perenne”. Ma, insieme ai tempi, anche il Carnevale è cambiato. “Per la maggior parte delle persone i carri sono ancora costruzioni di cartapesta. Ma la cartapesta – spiega Cinquini – è una materia scostante, inaffidabile, laboriosa. Nel mondo odierno, veloce e cattivo, non possiamo più fare come le generazioni precedenti, che dedicavano mesi interi solo al carro. Per sopravvivere un’azienda come la nostra non può basarsi solo sul Carnevale, ma deve accettare altri lavori. Per questo la cartapesta non è più praticabile, ma bisogna accontentarsi di altri materiali meno operosi, ad esempio il poliestere. E devo dire che questo è anche un bene: nell’ottica dell’evoluzione continua del Carnevale, anche le materie devono cambiare”. Nella sua lunga carriera, Cinquini si è occupato anche di allestire le scenografie per i concerti di Elisa e Jovanotti, nonché per gli spettacoli di Dario Fo. “Ricordo con amore le parole del Maestro. Dario mi diceva sempre che dovevamo impedire alle persone di chiamarci ‘carristi’. La nostra arte non doveva in alcun modo mischiarsi con qualche richiamo al mondo militare. Lui ci chiamava ‘carrai’ e ci considerava i migliori artisti della Terra”. Quanto tempo per costruire un carro? Proprio affianco all’hangar 5 c’è l’hangar 7, dove ci accoglie una Maria De Filippi in vesti medievali. “Il nostro carro per il 2025 – spiega Luca Bertozzi, carraio dal 2007 – si intitola ‘La Grande Condottiera’. È un omaggio alla presentatrice di Canale 5 e a tutto il suo universo di personaggi: Tina, Gemma, i cantanti di Amici. Nell’allegoria, sono un grande battaglione medievale in partenza per difendere il regno del Biscione”. Per Bertozzi, l’idea del carro deve nascere dall’ascolto della gente. “I carri sono lo specchio della società. Per farmi venire l’ispirazione ascolto le chiacchiere nei bar, le polemiche dei vecchietti che giocano a carte. La Fondazione Carnevale non ci dà un tema, quindi sta a noi fare il nostro meglio per superare l’anno precedente”. Luca ci racconta quanto lavoro ci sia dietro un carro, i mesi trascorsi a sperare di tradurre in realtà la tua visione. “Indicativamente iniziamo a lavorare subito dopo il Carnevale. Pensiamo all’idea e in primavera realizziamo i disegni tecnici. A settembre apriamo il cantiere e fino a febbraio il nostro lavoro principale è il carro. Tuttavia, non smetteremmo mai di lavorarci. Un esempio è stata la Pandemia: il carro doveva essere finito a febbraio 2020, ma poi il Carnevale si tenne a settembre. Noi non smettemmo mai di ritoccarlo e aggiungerci particolari”.

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