L'Italia dei book club: così "inganniamo" il nostro algoritmo interiore

Non è una questione di moda del momento, né di letteratura fine a se stessa e nemmeno di un circolo ristretto di appassionati. Ma è un fenomeno universale per le sue implicazioni, che ci interroga su come ci rapportiamo al tempo che scorre e alla modernità che incalza, un fenomeno che evidenzia l’epidemia di solitudine globale, l’insofferenza che serpeggia nei confronti del cosiddetto “mainstream” e dei sentieri già battuti. Se abbiamo avuto l’impressione negli ultimi anni che i book club si stessero moltiplicando attorno a noi, ora c’è uno studio che conferma le percezioni dedotte dal feed di Instagram o dalle conversazioni tra amici. Parliamo della prima ricerca quantitativa e qualitativa dei gruppi di lettura in Italia, promossa dall’Associazione degli editori indipendenti, con il contributo del Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura, realizzata da BIBLAB dell’Università di Roma Sapienza e raccolta nel quaderno S.T.O.R.I.E. “I gruppi di lettura crescono e hanno una grande potenzialità di espansione: è un tema che in Italia frequentiamo da una trentina d'anni, non nascono oggi, però effettivamente sono molto aumentati e soprattutto è cresciuto l'interesse attorno a queste iniziative”, spiega la coordinatrice Chiara Faggiolani che ha curato la direzione scientifica dell’indagine. Non si tratta di un censimento, né di un campionamento statistico, ma di un lavoro che ha mappato il 10% dei gruppi di lettura italiani pari a 1253 unità, in media composti da 24 persone. Secondo le stime, la comunità complessivamente coinvolta consta di circa 300mila lettori. Questo numero imponente si traduce così: una persona su 200 in Italia partecipa a un gruppo di lettura, sul totale dei lettori; 1 lettore su 80 sceglie la lettura condivisa. La macroarea Nord-Ovest ha un totale di 423 risposte al questionario con la Lombardia come regione di più alta partecipazione in valore assoluto. I gruppi di lettura ai tempi della Reading crisis Il 13% dei gruppi di lettura è nato nel corso dell’ultimo anno; il 19% negli ultimi 1-2 anni; il 25% negli ultimi 2-5 anni e il 43% oltre 6 anni fa. Numeri da capogiro che sembrano in contraddizione con gli allarmi lanciati negli ultimi tempi a livello mondiale sulla cosiddetta reading crisis, crisi della lettura. Perché è vero, lo dicono molti studi e sondaggi internazionali, i libri fanno parte della quotidianità di un numero sempre più ristretto di persone nel mondo, si legge poco, male, con difficoltà, per dovere e non per piacere. Ma allora come spiegare l’exploit dei book club che fioriscono ovunque? “Forse questa è la domanda delle domande - risponde Faggiolani. Il vero tema che racconta la crisi della lettura non sta tanto nel numero di lettori. In Italia non è che siano diminuiti così tanto - il 40% leggeva nel 2000 e il 40% legge oggi. Ma è l'erosione del tempo della lettura che è stato ed è determinante. Un tempo che non solo diminuisce come quantità generale dedicata settimanalmente, ma che viene sempre di più sparpagliato in microfinestre. Allora, il gruppo di lettura, spesso, nasconde un desiderio di rivalsa, e una volontà di rottura di questa accelerazione a cui siamo sottoposti, e quindi la volontà di ricavare dei momenti non solo per leggere, ma per discuterne. Quindi, in realtà, il gruppo di lettura è veramente una forma di resistenza e un tentativo di riappropriarsi del tempo che sembra non appartenerci più”. Chi sono i protagonisti Per raccontare questo mondo complesso e prismatico - di book club ne esistono di tutti i tipi e dimensioni - è stato necessario ripensare anche alle categorie con cui tradizionalmente si descrive l’attività del leggere. “Abbiamo messo da parte - spiega Faggiolani - le etichette quantitative perché chi partecipa a un gruppo di lettura esprime una visione della lettura completamente diversa. Abbiamo cominciato a proporre l'idea di un'etichetta nuova che è quella di ‘lettore generativo’. Un lettore che sviluppa delle dinamiche di approfondimento, di relazione, di partecipazione, di discussione completamente diverse, perché i book club e in generale il social reading esprimono il passaggio da una visione della lettura come fine a una visione della lettura come mezzo. I libri vengono utilizzati per generare discussioni, riflessioni, partecipazione, incontri e comunità e rispondere ad altri tipi di problemi, non direttamente connessi con la lettura in sé”, sottolinea. C'è poi la questione di genere che entra anche nei gruppi di lettura. Possiamo partire da un dato: l’81% dei coordinatori è donna. “Ce l'aspettavamo, nel senso che anche la lettura di per sé è un comportamento che riguarda soprattutto le donne. Sulle ragioni però si aprono scenari interessanti. Ancora una volta quando entriamo nel merito si scopre che gli uomini leggono meno per ‘mancanza di tempo’. E qui però c'è una riflessione da fare: non è di volume del tempo che parliamo, perché altrimenti è chiaro che le donne rispondono molto di più alla mancanza di tempo libero degli uomini, visto che hanno generalmente anche in carico il lavoro di cura e di gestione dei figli. La differenza, a mio avviso, sta nel fatto che attribuiscono un valore diverso al tempo e alla lettura. Gli uomini tendenzialmente con il loro ‘Non ho tempo’ intendono dire che non trovano nella lettura una ricaduta immediata, mentre le donne mettono a fuoco meglio l’opportunità di crescita personale e di crescita culturale che un libro offre. Nel gruppo di lettura questa differenza si amplifica, perché non bisogna solo investire il tempo della lettura, intima e personale, ma anche quello per prendere parte alla discussione e incontrarsi”, afferma. Il senso di comunità Anche le ricerche fuori dai confini documentano una crescita dei book club. “Quello che posso dire è che la letteratura internazionale, gli articoli che escono, ci fanno capire che è un fenomeno piuttosto globale, omogeneo dal punto di vista del bisogno di comunità”. Come dichiara la metà dei gruppi rispondenti all’indagine, l’interesse verte su tematiche relative alla “condizione esistenziale” e ai “sentimenti”. E non stupirà dunque che secondo il 95% degli intervistati, attraverso il questionario, la partecipazione al gruppo di lettura porta benefici nella loro sfera privata grazie alla condivisione e allo scambio reciproco. La pandemia ha rappresentato un prima e un dopo. “Sì, il Covid è stato un motore, probabilmente perché questa pratica che prevede il leggere insieme e il discuterne collettivamente è innescata da un desiderio di combattere la solitudine. È chiaro che tutti in quel momento complicato e di isolamento abbiamo capito meglio il ruolo delle relazioni sociali nel nostro benessere”. Anche se questa ricerca si concentra sui gruppi in carne e ossa, esiste anche la dimensione digitale dei book club da non sottovalutare. Quello che conta di più, come afferma Faggiolani citando una delle partecipanti a un book club di cui ha raccolto le storie in questi anni, è che queste realtà “ci permettono di ingannare il nostro algoritmo interiore: cioè, grazie al gruppo di lettura leggo quello che non avrei forse mai letto, parlo di cose di cui non sapevo, ascolto generosamente gli altri e quindi attivo un meccanismo che nella vita pubblica è veramente difficile attivare”. Bibliodiversità ed editoria Chi fa parte di un gruppo di lettura tenderà a scoprire testi e scrittori che non sono sugli scaffali delle librerie commerciali o almeno non sono in prima fila. Con 4.903 titoli diversi e circa 3.400 autori menzionati queste cellule letterarie mostrano che la bibliodiversità è un valore condiviso: è così che un incontro settimanale o mensile diventa un modo per sostenere un settore in crisi, promuovendo il lavoro e l’impegno delle piccole realtà editoriali che faticano di più, ma anche un’occasione per trovare nuovi stimoli e soddisfare una curiosità che non si accontenta dei bestseller. L'editoria sta facendo leva sui book club e sembra averne capito a pieno la potenzialità, come dimostrato dal fatto che l’Associazione editori indipendenti ha promosso la ricerca. Ma quali dovrebbero essere i prossimi passi per rafforzare questo tessuto sociale e culturale radicato da Nord a Sud, sebbene con delle differenze regionali? Dobbiamo sperare che i gruppi di lettura ricevano nel futuro forme di sovvenzione e sostegno dall’alto? “Questa voleva essere una ricerca che prima di tutto suggerisse delle piste di lavoro. Abbiamo aggiunto una riflessione sul mondo della scuola, su quanto sarebbe importante avere un book club in ogni istituto. Sarebbe un modo anche per affrontare l'educazione sessuoaffettiva di cui tanto si parla. Sul fronte di potenziali aiuti istituzionali, questo è un tema molto spinoso, perché, quando dall'alto arrivano soldi, il rischio è quello di compromettere la spontaneità di questa pratica e di fare i conti con delle ingerenze che potrebbero compromettere la bibliodiversità, che è una grande conquista dei book club. Tuttavia, è chiaro che sarebbe importante che ci fosse un'attenzione diversa a questo tipo di fenomeno che non va considerato come la moda del momento, ma come la manifestazione di un bisogno sociale importante. Aiuterebbe poi - conclude Faggiolani - un cambiamento nel modo in cui i gruppi di lettura vengono percepiti, perché sono diventati a tutti gli effetti dei soggetti del sistema del libro e questo va riconosciuto da chi prende decisioni e legifera”.

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Ludovica Passeri