Natale no-contact, tra trend social e tutela della salute mentale

Per decenni il Natale è stato raccontato come il rito per eccellenza della famiglia riunita. Oggi, sempre più spesso, è anche il momento in cui la distanza - fisica o relazionale - diventa visibile. Per questo si è fatto un gran parlare, negli ultimi tempi, del cosiddetto “Natale no-contact”, cioè il caso di quei figli che decidono di non trascorrere le feste in famiglia per non dover alimentare uno stress emotivo che può compromettere il proprio benessere mentale. Negli ultimi anni il tema è emerso anche nel dibattito pubblico italiano, soprattutto tra i giovani adulti, come risposta a relazioni familiari vissute come conflittuali o dannose. Le festività, e il Natale in particolare, funzionano spesso da detonatore perché l’obbligo simbolico di stare insieme rende più evidenti tensioni mai risolte. E anche se per qualcuno optare per una strada così radicale non è sempre efficace, per altri è una scelta matura e consapevole, anche se spesso dolorosa. Effetto pandemia? La pandemia ha segnato uno spartiacque. Nel 2020 le feste si sono spostate online, con videochiamate al posto delle tavolate, brindisi davanti agli schermi, limiti agli spostamenti. Per alcuni è stata una benedizione: i lockdown hanno permesso a molti “di ripensare le feste, liberandole da aspettative, tradizioni e persone che avevano causato loro danni”, ha scritto sul Conversation Heather B. MacIntosh, docente e direttrice del Master in Terapia di coppia e della famiglia dell’Università McGill. Secondo la psicologa, specializzata in trattamento del trauma, per alcune persone questo “ha evitato il dolore e l’umiliazione di dover mascherare il fatto di non avere una famiglia sicura con cui trascorrere le festività”. MacIntosh ha notato, come ogni psicoterapeuta che si trovi a fare terapia durante il Natale, che spesso in questo periodo dell’anno le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche vivono con particolare stress l’idea di doversi riunire con la “famiglia che può essere stata all’origine del trauma”. “Il tempo passato con i familiari - ha affermato l’esperta - può far riaffiorare ricordi, dolore e pensieri, emozioni che emergono proprio nel periodo definito come ‘il più bello dell’anno’”. Non più un'eccezione così rara Anche dopo la fine dell’emergenza, il Natale a distanza è diventato una possibilità, non più un’eccezione. Lo confermano i numerosi contenuti social pubblicati nei giorni scorsi con l’hashtag “#nocontact”, in cui influencer e utenti ordinari hanno raccontato le loro esperienze con questo tipo di scelta. “Pensavo di odiare il Natale, invece il problema era trascorrerlo con i miei”, ha raccontato a Repubblica Valentina Tridente, content creator di Parma di 42 anni. “Non è questione di essere ingrati, semplicemente non si vuole più fingere un rapporto che non esiste. Non è peggio tornare a casa obbligati, passare tutte le vacanze nel disagio e contare tutti i giorni che mi restano per poter di nuovo scappare via?” dice un’altra content creator della pagina UnilifeDuo. E non si tratterebbe solo di un fenomeno italiano: la celebre conduttrice televisiva statunitense Oprah Winfrey ha dedicato a questo tema un’ora di dibattito in cui ha coinvolto figli, genitori e psicoterapeuti che si confrontano su famiglie disfunzionali, genitori emotivamente immaturi, gestione di relazioni con persone narcisiste o borderline. Il ruolo della psicoterapia “Sono serviti diversi anni di terapia, di dubbi perché mi sentivo sbagliata. Dopo la morte di mio padre le cose sono peggiorate, lui era la colonna portante della nostra famiglia che, con la sua scomparsa, è andata in frantumi. Ho retto per un po’ ma ogni volta che ci vedevamo ci urlavamo contro. Finché non mi sono detta che non volevo più partecipare a litigi e finti pranzi di Natale, fingendo affetto dove non c’era". È la testimonianza di Giulia C., avvocata romana di 46 anni, che ha raccontato a Repubblica di non avere più contatti con la madre e la sorella. Questo gesto, infatti, non viene raccontato quasi mai come improvviso, ma come l’esito di percorsi lunghi, legati alla tutela della salute mentale. Allo stesso tempo, non mancano letture critiche che interpretano questa tendenza come un segnale di fragilità relazionale o di crescente intolleranza al conflitto, pur riconoscendo la legittimità del distacco in situazioni di abuso o violenza. E anche se in Italia non sembrano essere stati raccolti dati significativi in merito, quel che è certo è che il clamore alimentato dai social lo ha reso un argomento di dibattito, cui ha fatto seguito la risonanza data dai maggiori media della stampa nazionale. Sia che si tratti di un fenomeno social sia che il Natale no-contact rappresenti una vera trasformazione sociale , difficilmente segnerà la fine del rito natalizio, ma al massimo una sua trasformazione: una festa che continua a parlare di relazioni, proprio mentre mette in scena le loro fratture.

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Natale no-contact, tra trend social e tutela della salute mentale

Agnese Ranaldi