Auto, un 2025 con la marcia in folle

Cominciamo dalla fine. Il 16 dicembre, con la pubblicazione del Pacchetto Automotive, la Commissione Europea ha rivisto gli standard sulle emissioni di CO2 per le nuove immatricolazioni a partire dal 2035. Il taglio dei gas serra rispetto al 2021 è stato ridotto dal 100% al 90%, consentendo così un 10% di vendita di veicoli con motore endotermico, in nome della neutralità tecnologica. Tradotto: tra 10 anni, nei concessionari del Continente, accanto alle auto a batteria o ad idrogeno vedremo ancora motori a combustione interna. In particolare resisteranno le ibride plug-in, ovvero con motore a benzina e batteria ricaricabile, e le range-extender, auto dotate di endotermico come generatore. Attenzione però: poiché l'obiettivo di decarbonizzazione della mobilità al 2035 non è affatto cambiato, questa flessibilità è concessa alle case in cambio di compensazioni, tramite crediti, delle emissioni prodotte. In due modalità: tramite l'impiego di acciaio a basse emissioni prodotto nella UE, oppure attraverso auto alimentate con carburanti rinnovabili. Ovvero i famosi biocarburanti e i combustibili sintetici . Tutto bene dunque? Paesi come Italia, Germania e Polonia hanno subito brindato alla "retromarcia" di Bruxelles rispetto ai dogmi del full-electric. Ma passate le prime ore, si è capito che non c'è stata alcuna retromarcia. Tanto che non sono mancate le reazioni di diversi costruttori, su tutti Stellantis, e di associazioni di categoria come Acea e Unrae, delusi da misure giudicate insufficienti per il rilancio del settore automotive. La portata di questa revisione si giocherà tutta nei dettagli, quelli del nuovo Regolamento. Vedremo un testo definitivo solo dopo il vaglio di Europarlamento e Consiglio Europeo. Ci vorranno mesi, e tutto potrà ancora cambiare. Nel frattempo. Cronache dal declino I dati di novembre sono la fotografia perfetta di un anno, come annunciato, difficile e rivelativo. Nel complesso l'Europa, dopo mesi di ristagno, segna un +1,9% sugli undici mesi, con la medaglia d'oro della Spagna e la tenuta del Regno Unito che trainano nel major market. Numeri che incoraggiano, ma sono ben lontani da un vero rilancio continentale. La fiammata di Madrid è legata al cambiamento di mix energetico operato dal governo Sanchez, che ha scommesso tutto sulle rinnovabili e di conseguenza sulle auto ricaricabili. I prossimi mesi diranno se la spinta dei maxi investimenti statali farà correre il mercato con le sue gambe. Chi va peggio, al contrario, è la Francia, con un pesante -4,9% dovuto alla crisi strutturale dei marchi, soffocati dagli alti costi di produzione e dalla delocalizzazione. In 20 anni, la produzione transalpina di automobili è calata di due terzi. La Germania prova a restare a galla con le vendite europee, ma i suoi brand pagano la peggiore crisi dal dopoguerra a causa del crollo delle esportazioni in Cina. La chiusura di stabilimenti storici, come quello Volkswagen a Dresda, e la perdita di 48mila posti di lavoro nei 12 mesi sono il manifesto di un declino del made in Germany che assomiglia alla fine di un'era. Siamo fermi al semaforo. E il verde non scatta C'è poi l'Italia con le sue 1,41 milioni di immatricolazioni nel 2025, pari a un -2,4% rispetto al 2024. Un dato che va letto soprattutto sul medio periodo: siamo a oltre il 20% di auto prodotte in meno in confronto al 2019, prima di quella pandemia che ha segnato la fine dell'età dell'oro per ogni marchio automotive . Insomma l'Europa dell'auto nel 2025 ha preso atto della realtà: oltre un veicolo su tre, nel mondo, è prodotto dalle case cinesi, e gli storici marchi di casa nostra, messi insieme, non arrivano ad un quarto. Il futuro delle quattro ruote non passa più per Stoccarda, Mulhouse o Torino. Eppure noi siamo ugualmente fermi al semaforo ad aspettarlo. Non sapendo su cosa puntare, offriamo al consumatore la scelta di tutta la gamma di propulsioni. Ma sono in molti a chiedersi se insistere su ancora tecnologie termiche, con efficienza al 30%, non equivalga a condannarci a una lunga agonia. E dipendere da incentivi e sussidi provvisori potrebbe non rivelarsi la via giusta per rendere l'auto europea "great again". Italia a batterie scariche Nel macro-contesto della crisi generale dell'auto europea, l'Italia rappresenta un ulteriore caso specifico. Come un malato che sceglie i propri sintomi, il nostro Paese sembra voler soffrire a modo suo. Il Belpaese, come è noto, nutre una volontaria allergia per il motore elettrico, una diffidenza di principio per le batterie. Poche vendite, flotte green mal digerite, cieca sfiducia nelle colonnine e soprattutto insofferenza generale per questa tipologia di propulsione, considerata sorta di "tradimento" della nostra motor valley a trazione endotermica. L'avversione è nell'aria ormai da diverso tempo. Lo dimostrano ancora una volta i numeri di questo 2025. Tra gennaio e novembre, la quota di veicoli ricaricabili ECV immatricolati nel nostro Paese è ferma al 12,0%, con gli ibridi plug-in che superano di poco i full electric . L'Europa, pur nella nebbia del suo smarrimento tecnologico, viaggia su livelli più che doppi: le auto a spina toccano il 28,3% delle vendite, con le elettriche al 18,8% e le ibride ricaricabili al 9,5%. L'Italia sugli ECV è perciò solo quinta tra i grandi mercati del vecchio continente, nonostante gli ultimi incentivi. E' come se, nonostante l'avvento del sonoro in sala, noi puntassimo tutto sul caro vecchio cinema muto che tante belle pellicole ci ha regalato. Mentre il resto del mondo si diverte con "Il Cantante di Jazz" con Al Jolson. La cara vecchia bagnarola Non solo ecatombi industriali: la crisi dei colossi dell'auto europei porta con sé alcune conseguenze secondarie, che secondarie non sono affatto. La prima è l'invecchiamento del parco auto. I prezzi alti, effetto di perdita di potere d'acquisto e di un'offerta sempre meno competitiva, rallentano le vendite. Il prezzo medio di un'auto europea oggi è di 30mila euro, un terzo in più rispetto a 6 anni fa. E la mancata rottamazione allunga la vita ai veicoli circolanti, che restano in servizio nonostante standard ambientali e di sicurezza inadeguati. L'età media dei circa 300 milioni di auto sulle strade d'Europa è pari a 12,3 anni. E se la Grecia è il Paese con più auto "senior" , anche in Italia si viaggia mediamente con veicoli di 13 primavere. Insomma, in generale si comprano meno auto ma ci si tiene stretto il caro vecchio carrozzone di famiglia senza troppe storie. Trasformare le nostre strade in sfilate di auto storiche le rende forse più pittoresche, ma anche più insostenibili: siamo il Paese con il tasso di motorizzazione più alto d'Europa: 694 auto ogni 1000 abitanti, generalmente vecchie. Soffochiamo di lamiera poco efficiente, perché il nuovo costa troppo o ci spaventa. Terra bruciata è terra fertile. Per i dragoni Il secondo effetto della crisi dell'auto europea è un mercato diventato spazio di conquista ideale per marchi stranieri. Il consumatore che può spendere, guarda altrove. Le auto cinesi, più economiche e più tecnologiche, rischiano di apparire come aria fresca in una terra bruciata. Il dragone ha scommesso ben 20 anni fa sull'elettrico, e ora si gode la sua vittoria puntando sull'Europa in carenza di sviluppo, anche a fronte della saturazione del proprio mercato interno. Già oggi in Italia la quota di immatricolazioni dei veicoli made in China ha raggiunto in una manciata di mesi il 9%, e i ora marchi di Pechino si lanciano su componentistica e centri design. La prova che la nostra piazza ha sete di vetture hi tech ma a prezzi abbordabili è da un lato la crescita esponenziale di brand con politiche commerciali aggressive, come il colosso Byd giunto a quota +240% da inizio anno, dall'altro il debutto con il proprio marchio di case cinesi già presenti in Italia con partecipazioni, componenti o proprietà azionaria. E' il caso ad esempio di Geely, XPeng e Changan. Insomma il guado in cui si ritrovano i nostri marchi storici è la prateria per i nuovi predatori arrivati da lontano. L'incertezza su dove andare, e le strategie di mercato poco lungimiranti, hanno concesso un vantaggio fatale a chi già correva più veloce di noi. Quali vie d'uscita. Se il gioco non vale la candela L'apertura di Bruxelles ai biofuel ed e-fuel per il dopo-2035 è stata accolta con soddisfazione da Paesi come l'Italia e la Germania, che vantano competenze e aziende per questo tipo di carburanti verdi. Eppure c'è chi solleva dubbi su costi, tempi, volumi di produzione e reale sostenibilità di queste soluzioni. Per citare qualche punto critico, il prezzo del biodiesel è più alto del similare fossile, e gli e-fuel arrivano a toccare addirittura i 10 euro al litro. Non solo. Calcolando l'intero ciclo-vita, spiega l'autorevole centro di ricerca T&E, i biofuel emettono tre volte i gas serra di un mezzo a batteria. Infine, le monocolture. Già oggi infatti, per rifornire i veicoli alimentati con biocarburanti Il coniglio dal cilindro: le e-car Nel presentare le nuove regole, la Commissione Europea individua una possibile soluzione per il rilancio del settore automotive. Sul modello delle "kei-cars" giapponesi, che nel Sol Levante coprono il 40% del mercato, ecco le Small Affordable Cars, ovvero le cosiddette "e-cars". Sono auto piccole, ecologiche, europee ed economiche. Un prodotto mass-market, popolare e funzionale, pensato per spostarsi in città, per il quale Bruxelles si è inventato addirittura una nuova sottocategoria di vetture, la M1E. Incentivate in modo chirurgico, le e-cars potrebbero innescare una spirale industriale virtuosa - e sostenibile - in grado di rilanciare i produttori malconci del Vecchio Continente. Non si sa ancora molto su quali criteri specifici risponderanno alla loro omologazione. Ma qualche dettaglio è già noto. Le e-cars, verosimilmente elettriche, dovranno essere lunghe al massimo 4,2 metri, ospitare non più di 4 posti e limitare le dotazioni hi-tech e di sicurezza, da sempre agenti lievitanti del prezzo di un'auto nuova. Il costo non supererebbe i 15-20mila euro. Per promuoverne la produzione, la Commissione immagina un vantaggioso sistema di "super-crediti" destinato ai costruttori, ma anche pacchetti di agevolazioni per chi acquista, come incentivi al concessionario e sconti su parcheggi, pedaggi e ricariche. Il progetto per le piccole elettriche europee si integra con l'annuncio del Battery Booster, un piano di investimenti da 1,8 miliardi per la filiera delle batterie made in Eu. Per capire se le e-cars funzioneranno, bisognerà non solo attendere le scelte del mercato, ma anche disegnare il contesto adatto. Alcuni marchi come Renault e Stellantis hanno mostrato interesse. Occorrerà però mettere in moto anche amministrazioni, player di infrastrutture, reti di ricarica, filiera della manutenzione e dei servizi. Serve una visione organica, o la gloriosa e-car resterà soltanto una scatola vuota. Perché lasciare l'elettrico alla Cina? Per il mondo dell'auto europeo, il 2025 è stato l'anno della consapevolezza: poiché abbiamo perso tempo e sbagliato strategie, è l'ora di accelerare e non di rallentare. Sempre ammesso che decarbonizzare sia un valore per noi irrinunciabile. Rinnegare la strada virtuosa intrapresa da Bruxelles sarebbe infatti fare un torto innanzitutto a noi stessi. La neutralità climatica al 2050 deve restare un punto fermo. La vera sfida, piuttosto, è come salvare l'industria e insieme i nostri target climatici, per non rischiare la desertificazione economica e con essa ogni obiettivo ambientale. Come si sente ripetere spesso, infatti, nel deserto il verde non cresce. E allora bene la neutralità tecnologica, certo. Purché non sia perdita di competitività. Purché non sia "retromarcia tecnologica", che ci porterebbe dritti al declino. L'elettrico in automotive è vincente di fatto. Inutile nasconderlo: sul piano del prodotto, le auto a batteria restano oggi la formula migliore per efficienza, performance, sicurezza e sostenibilità. Anche nel ciclo-vita, cioè dall'estrazione delle risorse fino allo smaltimento. Lo dicono i dati. In più, le auto elettriche hanno il vantaggio di essere già ben inserite nel mercato globale. Sono già pronte. Davvero - dovremmo chiederci - non esiste un modo di investire sull'elettrico senza consegnare in toto il nostro mercato automotive alla Cina? Partnership tattiche e protette con marchi del Dragone, già sperimentate, possono essere la buona strada. Insieme ad investimenti sulle risorse, ingegneristica, sul know-how dei nuovi motori. Così come la ricerca e sviluppo di nuova generazione: pensiamo al suono futuristico della Ferrari elettrica, frutto di una elaborata amplificazione delle vibrazioni del powertrain. O ancora la chimica della componentistica specializzata. Eccolo, insomma, l'elettrico made in Europe. Malgrado il dominio schiacciante di Pechino, l'auto a spina del futuro non dev'essere soltanto cinese. Altrimenti, questo ci insegna il 2025, noi europei perdiamo due volte. La prima, perché siamo arrivati tardi. La seconda volta perché, quando l'abbiamo capito, abbiamo fatto anche marcia indietro. Lasciando davvero alla Cina la conquista- nei concessionari, nelle scelte dei consumatori - del mercato europeo.

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Lorenzo Gaggi