Jean-Baptiste Del Amo: “Il mio romanzo horror sugli anni Novanta e la disillusione”

Nel 2008 ha fatto irruzione nella scena letteraria con “Una educazione libertina”, vincitore per la sezione Opera prima del Prix Goncourt, il più importante riconoscimento per gli scrittori d'Oltralpe. Da lì in poi si è affermato di romanzo in romanzo imponendosi come uno degli scrittori francesi contemporanei più influenti. L'universo di Del Amo è oscuro, sensuale, violento, pessimista. Se la sua letteratura avesse un volto, sarebbe quello di un bambino fotografato nel momento esatto della perdita dell'innocenza, una figura malleabile che ritorna nelle sue trame in modo mai ripetitivo. In questi giorni è in Italia per presentare “La notte devastata”, edito da Feltrinelli Gramma e tradotto da Maria Baiocchi. Non un horror in senso stretto, ma un “horror sociale” casomai, che mescola reale e fantastico. Del Amo dimostra nelle 400 pagine del suo ultimo lavoro che i grandi scrittori sanno domare i generi senza essere travolti. Così reinventa l'horror senza tradirsi, plasmandolo a sua immagine e somiglianza, a partire da ingredienti semplici: una morte tragica, una casa abbandonata, la provincia nelle sue tinte più noir. La paura non è fine a se stessa ma un pretesto per raccontare gli anni Novanta e la sua generazione, quella dei “Millennial”, anche se, a dirla tutta, non ama questa etichetta. Il gruppetto di liceali protagonisti si destreggia tra la scoperta della droga, la rivelazione del sesso, il razzismo che si riversa contro i figli degli immigrati, l'inadeguatezza della famiglia, una profonda solitudine. Per sfuggire alla noia dei sobborghi di Tolosa in tempi in cui non esistono ancora i social per evadere, Thomas, Mehdi, Alex, Max e Lena si ingegnano, inseguono guai, giocano a fare gli adulti, fino a che saranno costretti a diventarlo per davvero tutto d'un colpo. Ma sarà troppo tardi per tornare indietro. Ha scritto libri che sembrano molto diversi e ambientati in epoche distanti: dalla fine del Settecento passando per la Prima Guerra Mondiale fino agli anni Novanta. Qual è il filo rosso? Sì, è vero, i miei romanzi sembrano piuttosto diversi, ma credo che siano accomunati dai temi che esploro: la questione dell'identità, la questione della violenza e della trasmissione della violenza. E poi il linguaggio. Cerco di lavorare con uno stile sensoriale ed evocativo, una cifra stilistica che ritorna. Come nasce “La notte devastata”? L'idea iniziale è stata quella di scrivere un romanzo sugli anni '90, e raccontare quel decennio dalla prospettiva del luogo in cui li ho vissuti io, cioè nei quartieri suburbani di Tolosa, quella che si chiama la “prima periferia” che è a ridosso della città. Questi sono territori che non sono ben rappresentati nella letteratura francese, ma che, d'altra parte, sono stati ampiamente scandagliati negli Stati Uniti, sia nel cinema sia nella letteratura. Ed è in questi spazi che sono diventato grande, che ho vissuto la mia adolescenza. Il mio desiderio iniziale era mettermi alla prova, vedere come sarei riuscito a dare vita a questo territorio e a quest'epoca a livello letterario. E poiché, da adolescente, ero appassionato di film horror, ho pensato che il modo più onesto e sincero di lavorare con questo materiale fosse attraverso la lente di questo genere, che è stato molto importante per me durante quegli anni di formazione. Quindi, in effetti, questo romanzo unisce due approcci apparentemente inconciliabili, quasi antagonisti: un lato molto realistico e un lato molto fantastico. E questo mondo, che descrive, come è cambiato trent’anni dopo? Beh, esistono ancora quei luoghi. I miei genitori vivono nello stesso tessuto in cui sono cresciuto. Ma in effetti, le cose sono cambiate perché la zona si è evoluta; si è urbanizzata e industrializzata. Le città si sono espanse. Quindi, ad esempio, ai miei tempi quello che racconto era, sì, un sobborgo residenziale, ma era ancora immerso nella campagna. Oggi non è più veramente campagna. È diventata una sorta di estensione della città di Tolosa, con un paesaggio completamente diverso. Ciò che è cambiato è anche il fatto che queste zone sono diventate sempre più sicure. Oggi sono spesso zone residenziali sorvegliate da telecamere, a volte con codici di accesso per entrare nel quartiere. Ai miei tempi, questi erano, ovviamente, spazi molto più aperti e accessibili. Le periferie si sono allontanate ulteriormente dal centro. Lei parla di un contesto molto specifico ma ritengo ci siano delle connessioni con altri scrittori della sua generazione. Penso a Édouard Louis e Nicolas Mathieu, in particolare. Stiamo parlando di autori che hanno raccontato il Nord e l’Est francese attraverso il filtro delle proprie storie personali. Parigi negli ultimi anni sembra essere diventata meno interessante. Sì, ha perfettamente ragione. Penso che questo fenomeno sia legato a un'evoluzione nella sociologia degli scrittori. Vale a dire che per molto tempo gli scrittori francesi erano spesso parigini, nati in famiglie piuttosto borghesi e laureati in lettere o scienze politiche. Ma negli ultimi vent'anni abbiamo visto sempre più autori provenienti da altri contesti sociali, cresciuti in provincia, a volte in periferia. Si sono appropriati di un materiale narrativo e romanzesco diverso da quello canonico e che proviene proprio dai luoghi in cui sono cresciuti. Parliamo di una generazione che si è formata attraverso film, serie televisive, fumetti, a volte persino manga, e che ha alle spalle una cultura molto più eterogenea e diversificata della generazione precedente. E penso che tutte queste influenze, a volte più popolari, si siano così fatte strade anche nella letteratura. Si sente un Millennial? No, ho difficoltà a percepire la mia appartenenza a una generazione. E penso che sia perché, quando eravamo bambini, quando eravamo adolescenti, non ci sentivamo parte di nulla. In realtà, provavamo una sorta di solitudine, di distacco, perché eravamo la generazione successiva a quella dei nostri genitori, che aveva vissuto gli anni '70, che era stata guidata da ideali politici, di emancipazione, rivoluzione sessuale e così via. E poi, alla fine, i nostri genitori hanno perso i loro ideali, e noi siamo arrivati subito dopo questa perdita di idealismo. E non avevamo niente. Non eravamo uniti da niente. Quelli erano gli anni dell’Aids, gli anni della disoccupazione, gli anni dell'ascesa al potere della destra in Francia. Quelli erano anni di una sorta di disillusione. Eppure, ora che ci penso, dopo la pubblicazione de “La notte devastata”, ho ricevuto lettere da lettori più o meno miei coetanei che mi hanno detto che per la prima volta leggendo questo romanzo si erano resi conto di condividere una cultura comune. E in effetti, credo che condividessimo delle cose. Cosa? Condividevamo proprio questo sentimento di disillusione, questa sensazione di malinconia. Condividevamo la musica, condividevamo le influenze cinematografiche, condividevamo anche la paura per il futuro. Ed è questo che ci ha resi una generazione, e credo una generazione molto malinconica. Perché, appunto, sognavamo qualcos'altro rispetto alla realtà in cui eravamo immersi. Al centro di questo romanzo c'è l'adolescenza degli anni '90. Scriverlo l’ha portata a riflettere sulle differenze tra l'adolescenza di oggi e la sua adolescenza? Perché trovo che, negli adolescenti che descrive, ci sia una spinta verso l’ignoto, una tensione costante che non è detto si ritrovi anche tra i liceali di oggi. Sognavamo, e senza dubbio desideravamo diventare indipendenti e forse di sfuggire al modello dei nostri genitori. Parlo di bambini cresciuti in famiglie modeste e che, per la maggior parte, erano destinati a replicare la stessa vita, lo stesso modello sociale e professionale dei loro genitori. Volevamo qualcosa di diverso, ma non era facile. Perché non avevamo le stesse opportunità, le chiavi di accesso a una vita diversa. Quindi eravamo davvero combattuti tra i nostri sogni e le nostre disillusioni. È questa la differenza? È questa la differenza tra l'adolescenza degli anni '90 e l'adolescenza di oggi? Non so se sia questa, perché penso che per i giovani adolescenti di oggi, che vivono anch'essi in circostanze modeste, sia ancora molto difficile liberarsi, anche solo avere la possibilità di immaginare una vita diversa. Credo che la situazione sia ancora la stessa, e forse oggi è per certi versi più difficile per gli adolescenti, perché oltretutto hanno una profonda consapevolezza dell'emergenza climatica, della preoccupante situazione politica globale. Credo che anche i giovani di oggi si trovino ad affrontare una minaccia che forse noi avvertivamo in modo meno acuto. Ma ci sono anche altri aspetti: forse hanno accesso a un mondo più ampio e a modelli di riferimento che noi non avevamo, grazie anche ai social media. Credo che uno degli aspetti positivi di queste piattaforme per i giovani di oggi sia che consentono loro di identificarsi con gli altri: possono avere altri punti di riferimento culturali e che non sono necessariamente intrappolati in una bolla sociale o familiare da cui non possono uscire, come accadeva a noi, nel nostro isolamento. Le tinte noir non sono una novità per lei, ma l’horror in un certo senso lo è. Perché lo ha scelto? Volevo che questo libro fosse un omaggio molto deliberato a questo genere, ma so che per i lettori può avere un effetto ripugnante: c'è chi non vuole leggere cose spaventose, quindi ho cercato di pensare a come il mio libro potesse gradualmente introdurre l'orrore nella narrazione. Per me era importante avere una prima parte fortemente radicata in una forma di realismo sociale, in cui scopriamo personaggi e a loro ci affezioniamo pagina dopo pagina. Poco a poco il fantastico e l'orribile si insinuano sia nel testo, sia nella vita dei personaggi, sia nella loro immaginazione, sia in quella del lettore. Infine, quando arriva il momento in cui il libro diventa puramente inquietante è già troppo tardi per tornare indietro e il lettore recalcitrante all’horror è quasi costretto ad andare fino in fondo perché vuole sapere cosa succede al personaggio. E questo modello aveva senso per me, perché avevo bisogno di prendermi il tempo necessario per sviluppare il tumulto interiore di ogni protagonista, perché ciò che trovano nella casa abbandonata, che è il cuore della storia, riflette anche i loro desideri, le loro paure e le loro contraddizioni. Quindi, in definitiva, doveva essere un horror giustificato dalle fantasie, dalle paure e dai desideri dei miei personaggi. Ho costruito il libro gradualmente, ma fin dall'inizio volevo che il finale fosse più spettacolare e abbracciasse appieno il genere. Cosa può apportare l'horror alla letteratura di oggi? Il genere horror è sempre stato una fonte di immaginazione e narrazione che ha permesso di dare forma alle paure che permeano la nostra epoca. È come un catalizzatore, in definitiva. E penso che oggi, mentre viviamo ancora in uno stato di urgenza e ansia, la letteratura horror e la fantascienza, più in generale, ci permettano di affrontare le nostre paure. Ed è anche un modo per allontanarle. Vale a dire, quando guardiamo un film horror, siamo molto spaventati, ma sappiamo che è qualcosa che non può davvero accaderci. Ed è per questo che ci piace essere spaventati dal cinema o dalla letteratura. È un modo per affrontare qualcosa dentro di noi, sapendo che ne usciremo indenni perché non ci verrà fatto alcun male. È pessimista? Sì, lo sono. Scrivo romanzi piuttosto cupi, ma d'altra parte penso che essere pessimisti non precluda la speranza, né la lotta. Sono molto coinvolto personalmente, attraverso l’associazionismo. Ho sempre detto che si può essere pessimisti sull'umanità, ma questo non deve fermarci. Al contrario, a me spinge a volermi impegnare e a lottare per cause in cui credo. A proposito di pessimismo, parlando della situazione attuale in Francia, stiamo assistendo a uno scenario davvero horribilis: instabilità politica, incertezze anche economiche, crisi parlamentari. Come sta vivendo tutto questo e quali sono le sue speranze per il futuro? Sto vivendo tutto questo con grande preoccupazione. Credo che l'Italia e la situazione politica italiana mostrino cosa attende la Francia nel prossimo futuro. Il presidente Emmanuel Macron ha perseguito per anni politiche che hanno aperto la strada all'ascesa al potere dell'estrema destra in Francia. Questo mi rattrista e mi preoccupa allo stesso tempo. Ecco perché dobbiamo tutti rimanere molto vigili sul futuro.

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Ludovica Passeri