Chi era Pier Paolo Pasolini, prima di diventare “Pasolini”

L’immagine del cadavere trovato tra le baracche dell’idroscalo di Ostia, destinata a diventare tristemente parte della memoria collettiva; una verità storica che resta a distanza di mezzo secolo ancora da chiarire; la santificazione ex post, solo quando da morto non avrà più diritto di replica e critica, e le strumentalizzazioni di tutte le parti politiche che tentano ciclicamente di intestarsi una filiazione. L’essere diventato con la sua fine tragica un Mistero d’Italia è una maledizione che, nel cinquantesimo anniversario dell’omicidio, Giorgio Ghiotti sembra voler rompere consegnandoci con “L’avvenire”, edito da Carabba per la collana Corsara, un ritratto delicato e struggente di “Pier”, il trentenne arrivato a Roma dal nord nel 1950 per ricominciare daccapo, dopo un processo per corruzione di minori e con il cuore lacerato dal lutto ancora fresco di quel fratello partigiano ucciso da una brigata partigiana comunista. È così che possiamo sbirciare nella sua vita di insegnante di una scuola paritaria di Ciampino. Ghiotti fotografa Pasolini, servendosi degli strumenti del romanzo, nel suo impegno quotidiano, maestro attento che assegna le tracce dei temi e porta gli alunni in giro per Roma, non tra le bellezze dell’Urbe, ma nei meandri delle borgate. Tra le pagine si delinea la genesi del suo “Canzoniere italiano”, quando, per mettere insieme quella difficile antologia della poesia popolare, a chiunque incontrasse chiedeva un piccolo contributo in versi. Possiamo entrare persino nella trattoria dove discusse con Giorgio Caproni il progetto di un romanzo romano che doveva avere al centro “un gruppo di ragazzi che parlano sulla pagina la stessa lingua accidiosa e comica con la quale si insultano o stringono promesse”. Sì, proprio “Ragazzi di vita”, la prima delle tante opere che lo faranno finire in tribunale per oscenità. Ma Pasolini vive di relazioni, di rapporti umani, di amicizie e amore materno: per questo “L’avvenire” è un ritratto corale e policentrico. “Volevo indagare il Pasolini meno noto, quello della giovinezza, ma soprattutto il Pasolini mio coetaneo. Aveva la mia età quando si trasferì a Roma. Fu il punto di partenza del suo percorso pubblico”, spiega Ghiotti che ha già dedicato al poeta e regista di Casarsa una guida edita da Perrone e diversi saggi. Il trentenne venuto dal Nord Quando gli chiediamo cosa ha capito del giovane Pasolini che prima non sapeva, Ghiotti risponde che: “L’arte figurativa fu un pilastro fondamentale per la sua formazione, anche se spesso non viene citata”. Ancora ventenne durante i suoi anni universitari a Bologna scoprì il Compianto del Cristo morto di Niccolò dell'Arca “e ne rimase folgorato”. Immagini che risuonano nella sua cinematografia successiva. Del resto, l’eretico Pasolini fu regista del Vangelo Secondo Matteo, un film che anche negli ambienti religiosi viene oggi considerato tra i più significativi tentativi di dialogo tra Settima Arte e il Nuovo Testamento. “Ma quello che emerge più chiaramente in questo suo interesse per l’arte è quella che sarebbe diventata per lui una ricerca costante del Bello e del Giusto”. Dobbiamo però penetrare la corazza dell’intellettuale precoce per leggere la fragilità dell’uomo che entra faticosamente nella vita adulta. Ghiotti non ha dubbi: “È vicino ai trentenni di oggi e ai Millennial in generale per la fatica che fece nel mettere in moto i suoi progetti e le sue ambizioni. Ci sono lettere terribili e allo stesso tempo splendide in cui racconta di scrivere di notte e poi alzarsi prestissimo per andare a lavorare e di non avere mai il tempo di dedicarsi alla sua arte e al Bello. E lo diceva pur amando moltissimo i suoi ragazzi e l'insegnamento. In lui fu forte agli inizi lo struggimento di chi sa di aver trovato una strada ma che si scontra con degli ostacoli che non gli permettono di percorrerla”. Un pensatore libero Amato a destra e a sinistra, odiato da destra e da sinistra. Marxista e al tempo stesso grande spina nel fianco dei comunisti, fu un polemista senza remore nei confronti del partito che votava. “Quando uscì Ragazzi di Vita uno dei più grandi detrattori fu Enrico Berlinguer”, sottolinea Ghiotti. Mai stanco di condannare la Democrazia cristiana e l’orrore di ogni forma di fascismo, Pasolini viene preso a modello anche dai suoi avversari politici per le sue posizioni contrarie al Movimento studentesco, che furono racchiuse in una poesia in cui simpatizzava con i poliziotti figli dei proletari e non con gli studenti "borghesi" sullo sfondo degli scontri di Valle Giulia del ‘68. “La sua essenza fu la libertà profondissima e il desiderio di non farsi imbrigliare da nessuno”. La morte “Qualunque tipo di biografia, più o meno attendibile, si concentra sulla sua morte perché in fondo siamo una società che santifica i fantasmi, e il rischio è di farne un feticcio. Invece a me interessa molto di più quello che ha fatto quando ancora non era stigmatizzato, quando non era ancora racchiuso in una sorta di icona”. Sull’omicidio, per cui fu condannato “il ragazzo di vita” Nino Pelosi che lo avrebbe ucciso alla fine di quello che fu subito etichettato da chi indagò come “un incontro omosessuale finito male”, Ghiotti dice: “Non dico niente di eclatante se affermo che è solo una delle tantissime insabbiature di Stato che ci sono state. Resta come uno degli infiniti tasselli mancanti, tragicamente mancanti, di una storia d’Italia sciagurata in questo senso. Laura Betti, amica e musa cinematografica di Pasolini, ha combattuto una battaglia durata tutta la sua vita per cercare di imporre una verità che non so se mai verrà alla luce”.

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Ludovica Passeri