Mohammad Tolouei: “La sfida nel mio Iran è poter vivere come si vuole”

Nato nel 1979 a Rasht, nel nord dell’Iran, nell’anno della Rivoluzione islamica, e trasferitosi a Teheran, Tolouei non ha mai lasciato la sua terra, anche se, a suo modo di vedere, tutti prima o poi sognano di farlo. I viaggi all’estero per la promozione dei suoi libri lo tengono, per periodi sempre più lunghi, lontano da casa, dove del resto si scontra spesso con gli ostacoli della censura. Ed è così che ha affinato uno sguardo lucido e distaccato sul suo Paese. È il cantore della classe media iraniana, di cui racconta vizi, potenzialità e dissidi. Nel suo ultimo libro edito da Bompiani, “Enciclopedia dei sogni”, c’è una coppia di trentenni non sposati, l’uno con un matrimonio naufragato alle spalle e l’altra alle prese con un turbamento interiore lacerante. Ebrahim e Elham scelgono una modalità insolita di appuntamento al buio: una peregrinazione in macchina attraversando in lungo e il largo il Paese e spacciandosi per marito e moglie, così da aggirare le rigide regole della Repubblica degli ayatollah. L’Iran di Tolouei è un mosaico di zone rosse e di zone grigie, fatto di strade alternative, escamotage e coperture per portare avanti la piccola rivoluzione della quotidianità: vivere liberamente. Lo abbiamo incontrato a Ferrara in occasione del Festival di Internazionale. Una conversazione sui movimenti di contestazione di ieri e di oggi e sul futuro dell'ultima ondata di proteste che ha scosso il Paese a partire dal settembre 2022, in nome di Mahsa Amini, la ragazza assassinata dalla Polizia Morale iraniana per non aver indossato correttamente l'hijab. Il romanzo “Enciclopedia dei sogni” è ambientato in un Iran contemporaneo tra realtà e immaginazione. Quanta realtà e quanta immaginazione c’è in questa storia? C'è una parte di realtà e un'altra parte di immaginazione. L'immaginazione è rappresentata dai sogni presenti nel romanzo che descrivono l'Iran ideale, il Paese che i protagonisti desiderano. E poi c'è invece il viaggio reale dei due personaggi, un ragazzo e una ragazza, che attraversano l'Iran contemporaneo con tutte le sue contraddizioni, le sue sfide. Quali sono le principali sfide secondo lei? La sfida principale secondo me nell'Iran di oggi è vivere, cioè vivere come si vuole. Le persone vogliono vivere a modo proprio, seguendo i propri desideri, le proprie passioni, senza che debbano rispondere per forza a delle direttive, a qualcosa di imposto dall'alto, dal governo. Oggi gli iraniani e le iraniane sanno perfettamente come si vive all'estero. Quindi la sfida maggiore credo che sia proprio questa. Perché ha scelto questi due personaggi, che generazione ha voluto raccontare? Non è la mia generazione ma non è neanche la generazione Z che è stata protagonista delle ultime grandi proteste. I miei personaggi sono nel mezzo. E devo dire che io stesso non sono ancora riuscito a descrivere e quindi a dare voce ai ventenni, alle persone più giovani dell'Iran. Nei miei romanzi quasi sempre i protagonisti e le protagoniste sono sui trent'anni e in effetti su questo mi arrovello, è una mia sfida: cercare di arrivare anche a capire le generazioni più giovani che sono quelle che stanno cercando di cambiare il Paese, possiamo dire. I miei coetanei in questo momento sono molto più conservatori, una generazione che ha già fatto delle battaglie ed è come se avesse un po' abbandonato questo spirito di protesta, questo spirito rivoluzionario, mentre le generazioni più giovani chiaramente sono in prima linea per il cambiamento. Quello che però ci accomuna è questa volontà, questo desiderio di vivere come vogliamo ed è un aspetto che accomuna tutte le generazioni in Iran. Ma non dobbiamo neanche dimenticare che i giovani che oggi scendono in piazza in Iran appartengono a una generazione che è cresciuta grazie a noi. Anche noi abbiamo fatto le nostre battaglie e loro sono i figli delle nostre battaglie. Quali sono le differenze tra le battaglie di ieri e oggi? Per la mia generazione la principale battaglia è stata quella per la democrazia. Quando avevamo vent'anni, nel 2009, siamo scesi in strada nel Movimento verde. Chiedevamo appunto democrazia, mentre la mia impressione è che i ventenni di oggi siano focalizzati su altre richieste. Le richieste sono di libertà e di vivere secondo i propri desideri. Parliamo di un romanzo che ha anche una forte componente di viaggio, è un attraversamento dell’Iran. Quali sono le differenze tra centro e periferia nell’Iran di oggi? Credo che l'impressione generale, soprattutto fuori dall'Iran, sia che il centro del cambiamento sia Teheran, la capitale. Ma non è esattamente così, perché a Teheran ci sono le istituzioni, c'è più controllo, mentre nelle altre aree del Paese, nelle province, stanno avvenendo dei cambiamenti molto più profondi. Vedete, il vero ostacolo al cambiamento, la vera istituzione che controllava le persone in Iran, non era tanto il governo, ma erano le famiglie. Dopo le proteste “Donna Vita Libertà”, abbiamo visto come le famiglie iraniane, anche nelle regioni più di provincia, più lontane dal centro, sono cambiate profondamente. Le famiglie iraniane hanno smesso di essere un'autorità conservatrice e si sono evolute. Quindi il vero centro di cambiamento in Iran, secondo me, è proprio la famiglia e non bisogna sottovalutare i cambiamenti che stanno avvenendo all'interno di esse. E alla luce di tutto quello che ha detto, qual è il futuro delle proteste? Non dobbiamo aspettarci svolte fondamentali. Nel futuro prossimo possiamo attendere un ampliamento delle libertà nella vita quotidiana. La gente si è già presa delle libertà in Iran, senza aspettare che la legislazione cambiasse e senza l’approvazione delle istituzioni. Penso che il passaggio più importante sarà che alcuni diritti verranno tradotti a livello legislativo. Quello che secondo me crescerà è la volontà delle persone di guadagnare sempre più spazio e di vivere sempre di più secondo i propri desideri. E credo che il punto fondamentale nei prossimi anni sarà che questo cambiamento nello stile di vita delle persone venga registrato anche dalle istituzioni e dalle leggi. Per il momento in Iran tutti più o meno fanno quello che vogliono, ma lo fanno in maniera informale, non è un cambiamento che è stato recepito ufficialmente. Mentre credo che più avanti la vera sfida sarà che tutto questo venga assorbito dallo Stato. Credo che questi cambiamenti debbano essere anche poi confermati da delle elezioni perché sono appunto tutti i cambiamenti che avvengono a livello informale e contro i quali il governo non può più fare nulla, non può opporsi. Però dovranno essere prima o poi registrati a livello di legge. Da un punto di vista occidentale, immaginare il cambiamento all’interno di una struttura politico-religiosa così rigida potrebbe sembrare impossibile. Penso che la conoscenza dell’Iran all’estero sia un po' distante dalla realtà. Quando l'opinione pubblica iraniana ha fatto pressione sul potere, in qualche modo, è sempre riuscita a cambiare le cose in meglio, secondo le proprie istanze. Quello che però vedo adesso è che non c'è una voce unita nel Paese. Le tematiche e le problematiche che uniscono sono poche. Per esempio, adesso ci sono state le proteste contro il velo obbligatorio e queste hanno ottenuto dei risultati. Le prossime questioni che verranno sollevate non riesco a prevederle esattamente, perché l'opinione pubblica è molto sfaccettata e frammentata. Lei è nato nel 1979, quindi in un anno di svolta storica per il suo Paese. Qual è il suo rapporto con l'Occidente? È stata più che una decisione di mia mamma l'anno in cui farmi nascere , però devo dire che storicamente il rapporto degli iraniani con l'Occidente è sempre stato di amore e odio. Da una parte la pressione da Ovest e la politica occidentale non andavano bene agli iraniani, dall'altra parte gli iraniani nel corso della storia hanno visto l'Occidente come una parte del mondo che aveva anticipato un percorso di libertà. In qualche modo è sempre stato sentito come importante prendere ispirazione da questo percorso di libertà. Però adesso c’è un tema che in Occidente viene sottovalutato: l'effetto delle sanzioni contro l'Iran. A differenza di quello che si può pensare le sanzioni vanno a colpire soprattutto la classe media, che è il vero motore di cambiamento del Paese. Le sanzioni impoveriscono questo strato sociale, limitano anche i consumi culturali, perché la classe media iraniana consuma molto prodotti culturali e questo credo che in Occidente non venga analizzato abbastanza con le sue ricadute. E a proposito di questo, che aria tira a Teheran dopo la guerra dei 12 giorni del giugno scorso, quando Israele ha attaccato l’Iran con il supporto e intervento americano? In quei giorni non ero a Teheran e in questi mesi sono stato fuori dall'Iran per presentare il mio libro. Torno però a insistere sull’importanza della classe media che è la più grande classe sociale dell'Iran e la più grande forza di cambiamento. Questa potenzialità della classe media, con il terrorismo, con la guerra, ha subito una pressione crescente. Il risultato è stato l’isolamento. È vero che il governo si è molto concentrato contro l'attacco, contro il nemico esterno, quindi in qualche modo ha fatto meno pressione sugli iraniani e ha lasciato più libertà alle persone dentro i confini nazionali, ma questa classe media che vorrebbe migliorare la propria vita, che vorrebbe vivere secondo i propri desideri, si trova poi sotto pressione da più forze. C’è la pressione delle autorità una volta finita la fase di emergenza, ma c’è anche il senso di costante minaccia di una nuova guerra e poi soprattutto ci sono le sanzioni. La classe media così si trova isolata su più fronti, sia sul fronte interno, sia sul fronte dei Paesi stranieri, anche occidentali. Ripone speranze sulla prospettiva di una pace solida in Medio Oriente? La pace è un concetto molto astratto, qualcosa che esiste solo nelle nostre teste: quello che auspico è che si possa raggiungere più che altro un equilibrio di forze che permetta alle persone di respirare, qualcosa che garantisca una stabilità almeno nei prossimi decenni. Perché, vedete, le persone nel Medio Oriente sono veramente stanche di così tanti anni di guerre, di conflitti continui, e credo che quello che realisticamente potrà migliorare la vita delle persone non sia tanto la pace quanto proprio l’equilibrio di forze.

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Ludovica Passeri