Non solo Valentina: i sogni e i giochi di Guido Crepax in mostra a Brescia

È un viaggio lungo 50 anni quello della mostra dedicata a Guido Crepax, in corso a Brescia, ai Musei Santa Giulia. Intraprenderlo, significa entrare in contatto col variegato mondo dell’autore milanese, dai più conosciuto per l’iconico personaggio di Valentina, ma in realtà, con un repertorio di idee, lavori, sfumature, decisamene molto più vasto. Il progetto, con la curatela di Alberto Fiz e Ilaria Bignotti, con la collaborazione di Camilla Remondina, si intitola Guido Crepax. Sogni, Giochi, Valentina. 1953-2003 ed è diviso in sette sezioni, che pongono l’attenzione su Arte, Cinema, Musica, Moda, Pubblicità, Giochi, Teatro. Tutti argomenti cari al papà letterario di Valentina, che li sviluppò ampiamente, dando vita a migliaia di lavori, fra tavole, copertine di dischi, manufatti, giochi. Una selezione di 150 opere, alcune mai esposte in pubblico, rimarrà nelle sale del museo fino a febbraio, destando meraviglia, curiosità, interesse, perché ogni parete è piena di segni, disegni, colori, bianco e nero, piena di gioia, piena di vita. Anche quando la malattia lo rende meno abile, Crepax non abbandona il suo desiderio di creare. Se il segno si fa più incerto non così è per le sue idee, folgoranti, divertenti, acute. Una mostra da vedere, sia che si ami il fumetto sia che lo si detesti. Perché qui c’è molto di più, c’è l’uomo. Caterina Crepax, vicepresidente Archivio Crepax Quanto è forte la presenza di suo padre nella sua vita, nonostante sia scomparso da oltre vent’anni? Sento sempre la presenza di mio padre. Io e mio padre avevamo veramente un grande feeling, avevamo qualche cosa di forte che ci univa. Io spesso andavo nel suo studio mentre disegnava, ero molto timida e silenziosa per cui non gli davo fastidio e lui mi lasciava stare lì e mi raccontava quello che faceva. Devo dire che questa mostra anche graficamente riprende le sue tavole, proprio come lui le disegnava, le suddivideva - mi ricordo ancora - con il tiralinee; faceva queste geometrie in cui inseriva le sue fantasie e in questa mostra ritrovo molto mio padre, lo avverto tra questi lavori. In questa esposizione vengono messe in luce le sue cose dell’infanzia, le cose che si è portato dietro dall’inizio, da quando era veramente un bambino, come il ritaglio della sua donnina di carta, fatta a tre o quattro anni, che poi rifarà nelle ultime tavole che ha disegnato. Così come i suoi dischi, la musica che lui amava tantissimo, che lo accompagnava sempre mentre creava; ci sono le copertine dei dischi, i suoi giochi, che aveva inventato per avere un rapporto con noi figli, perché si sentiva sempre un po’ in difetto. Lui disegnava in una stanza della nostra casa, quindi, era un padre sempre presente; però, in questo suo mondo di fantasia lui si perdeva e pensava di non essere abbastanza presente con noi e allora inventava questi giochi per essere con noi direttamente, per condividerli, per avere un rapporto privilegiato con noi. D’altro canto, questi giochi non sono mai stati pubblicati, a parte qualche piccolo esempio, sono proprio una cosa personale tra noi e lui. In mostra ritroviamo lavori che ci portano alla musica classica e a quella jazz, in qualche modo fondamentali nella vita di suo padre. Perché? Lui è nato a suon di musica, perché suo padre era primo violoncello del Teatro alla Scala e suonava anche – essendo veneziano – al Teatro La Fenice. Mio padre lo accompagnava sempre quando faceva le prove, lo sentiva suonare in casa e lui, che era innamoratissimo del suo papà, lo era anche della sua musica. Le racconto un aneddoto. Mio nonno è morto nel 1970, dopo pochi anni mia nonna ha venduto il violoncello, perché diceva che andava suonato. Un violoncello prezioso, un Pietro Giacomo Rogeri del 1717. Lo ha venduto, dunque, provocando in mio padre una sorta di secondo lutto, perché aveva perso suo padre e aveva perso l’origine della sua musica. Aveva fatto una storia, dedicata al violoncello, con Valentina che non è protagonista, perché il protagonista è il violoncello. Mio padre ascoltava sempre musica mentre disegnava, anche ad alto volume e si sentiva proprio questa musica ad altissimo volume che usciva dal suo studio. Quando disegnava storie più sentimentali, come le ultime vicende di Valentina, metteva la musica classica, spesso, musica che aveva suonato suo padre. Invece, quando disegnava le avventure, le storie che avevano necessità di un ritmo, allora, era il jazz la sua passione. Tra l’altro, ha iniziato la sua carriera disegnando copertine di musica, perché suo fratello era discografico e hanno fatto insieme, più o meno, trecento copertine di dischi: sono stata l’origine un po’ del suo successo. Stefano Karadjov, direttore Fondazione Brescia Musei Un’altra mostra importante si aggiunge alla programmazione all’interno dei vostri spazi La nostra programmazione non è dedicata solamente all’Arte Antica o all’Archeologia. Da qualche anno abbiamo iniziato un percorso dedicato all’illustrazione, ai grandi maestri della grafica contemporanea. Dopo Lorenzo Mattotti, Victoria Lomasko, Majid Bita, abbiamo deciso di realizzare una grande antologica di stampo museale, curatoriale, scientifico, dedicata a Guido Crepax. Che tipo di affezione c’è da parte della città nei confronti di questo luogo? Elevatissima. Siamo il museo della città, la nostra comunità frequenta stabilmente gli spazi, anche i musei di Brescia sono gratuiti per i residenti e tutte le opportunità di creare legami con l’attualità, il contemporaneo, oltre che con la grande Storia Antica, sono colte attraverso una pianificazione di mostre, attività editoriali, convegnistiche, che anche i residenti frequentano. Alberto Fiz, curatore della mostra Che cosa ci colpisce, in maniera particolare, di questa esposizione che è la più varia mai realizzata su questo autore? Credo che sia un progetto totalmente inedito, nel senso che abbiamo liberato Guido Crepax dalla storia. Fondamentalmente, abbiamo un percorso dove possiamo, finalmente, vedere le tavole come vere e proprie opere d’Arte. Tanto è vero che le tavole di Crepax già nascono così, nel senso che ognuna viene firmata col suo classico tondino, dove ci sono la firma e la data. Quindi, c’è assolutamente la volontà di partire dal fumetto ma realizzando un lavoro ogni volta autonomo. Questo è l’aspetto determinante di questa mostra, divisa in sette sezioni, che lo racconta a 360°. Partiamo da Letteratura e Arte, per arrivare a Giochi e Storie - anche queste sono contaminazioni molto interessanti - a Moda e Pubblicità e, all’interno di questo percorso, noi troviamo una serie di elementi trasversali. Quindi, insieme con le tavole, troviamo tutto ciò che c’è prima dell’inizi del Fumetto, che è il 1965, quando Crepax si chiamava ancora Guido Crepas. Poi, abbiamo tutta una parte che riguarda le copertine ei dischi – Crepax ne ha realizzate oltre trecento – fatto che lo rende il più grande copertinista di dischi in Italia. Troviamo anche i giochi, questa sua grande passione per i giochi, che sono opere di miniatura straordinaria, dove si passa dalle battaglie, come quella di Pavia, della quale quest’anno si ricordano i 500 anni; ai pugili, alle automobili, ogni volta Crepax reinventa un mondo, così come fa attraverso le sue tavole e reinventa le regole del gioco, questo è l’aspetto fondamentale di tutto il progetto. Ha la capacità, ogni volta che tratta gli argomenti che sono infiniti - che vanno dal doppio, all’enigma, alla psicanalisi, all’Arte – di affrontare i grandi autori, affrontare i grandi temi, ma nello stesso tempo ogni volta di stravolgerli, perché ogni volta c’è un passaggio differente. Un passaggio nel tempo, nello spazio, attraverso quella che è la sua compagna di strada, di vita, il suo alter ego e cioè Valentina. Lei è un mix, ha la capacità di ibridare la figura di Louise Brooks e, quindi, la fantasia, con quella della moglie Luisa; questo personaggio, che attraversa situazioni sconvolgenti, in qualche modo uscendone sempre indenne. C’è, per esempio, la storia di Baba Yaga; il rapporto con il male attraverso la strega; Valentina finisce negli abissi, finisce in film di fantascienza, finisce all’interno della Rivoluzione Russa. Quindi, davvero è la viaggiatrice del mondo di Crepax. Tutto ciò, intorno a quello che è un grande autore, anche per la capacità di trasformare completamente la tavola. Crepax dice “io sono un autore che si rivolge a chi odia il fumetto” e lo dice pochi anni dopo il suo esordio. Evidentemente, Crepax crea delle difficoltà, all’interno del mondo del fumetto, proprio per questo suo viaggio così ampio e trasversale. Trasforma la tavola, che non è più di carattere narrativo; la tavola ha la capacità, ogni volta, di essere decontestualizzata, destrutturata e, nello stesso tempo, ha tutta una parte di elementi che riguardano la sua costruzione, costruzione che – molto spesso – è vicino al Cinema. Quindi, abbiamo i piani alternati, i primi piani, i flashback, la storia nella storia, la psico-narrazione. Tutti elementi che caratterizzano questo allargamento dello spazio visivo che ci propone Crepax. D’altra parte, il nostro autore è molto amato dai registi francesi, dagli scrittori francesi. C’è, in mostra, una vetrina dove ci sono gli elogi di Alain Resnais, Alain Robbe-Grillet e Fellini; tutti autori che lavorano sulla destrutturazione. Crepax ha la capacità diportarsi dietro, di sviluppare questo percorso in una sorta di James Joyce del fumetto italiano; questa sorta di Stream of Consciousness, che attraversa tutto il suo percorso, sino alla fine, sino agli ultimissimi anni. Tanto è vero che in mostra abbiamo una tavola non finita, dove c’è soltanto la griglia e, non a caso, fa riferimento a Doppio sogno e, quindi, il doppio, l’ambiguità dell’immagine che lui si porta dietro sin da quando era bambino. Una delle sue prime storie è Dr. Jekyll, la figura del doppio che continua a essere un fantasma, di una vicenda, di un’ambiguità esistenziale che non può mai essere conclusa. Perché Valentina piace così tanto al pubblico? Valentina è un personaggio che guarda e si fa guardare. È una fotografa che osserva il mondo e, nello stesso tempo, si fa osservare. È un personaggio emancipato, libero, in grado di sviluppare un proprio percorso esistenziale di vita, di lavoro e piace per il suo atteggiamento estremamente disinvolto verso la vita, piace per il suo fisico e il fatto che è diventata un brand, sin da quando Crepax l’ha creata. I capelli a caschetto sono nati attraverso Valentina ed erano un riferimento per le donne che volevano emanciparsi da tutta una serie di elementi classici. Valentina piace per i suoi azzardi, è una figura che non ha limiti. C’è una storia nella quale lei ha dei rapporti con una donna, che è un’altra delle figure di Crepax, che è Effi. È una figura che sviluppa il suo percorso attraverso situazioni estremamente differenti e sempre rimanendo integra. Valentina attraversa mondi ma ritorna a essere Valentina e ritorna a essere Crepax. Perché si può dire, come per Madame Bovary “Valentina c’est moi”. Quindi, è la relazione continua tra Guido Crepax e Valentina, tant’è vero che la moglie Luisa era persino gelosa di Valentina. Ilaria Bignotti, curatrice della mostra Qual era il rapporto di Guido Crepax con l’Arte? È ovvio che amasse le Arti visive di ogni tempo. Nella sezione dedicata al rapporto tra Arte e Letteratura c’è un grande gioco da tavolo, dedicato all’Orlando Furioso, minuziosamente dipinto con citazioni che vanno dagli albori del Rinascimento, da Masolino da Panicale fino a Paolo Uccello, quindi, grandi autori del Rinascimento italiano. Il rapporto con le Arti visive deriva a Crepax e viene da Crepax, in base a ciò che egli voleva raccontare. Nel primo romanzo a fumetti nel quale appare Valentina, lei è fotografa e va col suo compagno Philip, che di giorno è un critico d’Arte e di notte è un supereroe, a visitare a Castiglione Olona gli affreschi di Masolino da Panicale e gli affreschi si rivolgono a lei. Questo fa capire, se partiamo dal presupposto che Valentina è l’alter ego di Guido, quanto l’Arte di tutti i tempi gli parlasse e lo ispirasse. Da qui in poi possiamo immaginare tantissimi confronti e parallelismi. Potremmo dire, per esempio, che come Picasso – che egli cita tantissimo nelle sue opere e alcune le abbiamo esposte anche qui in mostra – ha destrutturato lo spazio e il tempo nel Cubismo, allo stesso modo Crepax ha destrutturato la sintassi dell’impaginazione. Ci sono riferimenti a Vasilij Vasil'evič Kandinskij, ai maestri dell’Astrattismo, ma all’interno del suo Pantheon di citazioni, di riferimenti, c’è sicuramente, innanzitutto, la fine dell’800. In un’intervista citò Aubrey Vincent Beardsley e l’importanza degli autori di fine ‘800; Manet con la sua Olympia e la sua capacità di guardare in faccia, di buttare in faccia allo spettatore anche la conturbante bellezza del femminile e del femminino. C’è sempre un atteggiamento di interrogazione delle Arti visive; gli affreschi di Masolino parlano con Valentina e lei, molti anni dopo, nel 1991, in un’altra storia che si intitola “Sindrome di Moore”, parla con le sculture di Henry Moore. C’è proprio questa relazione, questo riconoscersi e anche questo prendere dalle Arti visive una sorta di continua ispirazione, che non finisce mai, come una sorta di Urobòro, di serpente che si mangia la coda, continuano a tornare tanti riferimenti e questo la mostra lo racconta molto bene, lo racconta attraverso delle tavole, lo racconta anche attraverso, poi, il mondo della moda, dove Crepax va a ritrovare tante forme, tante pose, anche la trasformazione della figura femminile all’interno del mondo della Moda. Natalia Aspesi, nel 1985, diceva che Valentina ha insegnato alle donne non tanto a vestirsi quanto a svestirsi, a riconoscere la bellezza del nudo, di un nudo che allude e che non è gettato in faccia e questo, forse, è anche l’importanza che la figura femminile ha nei lettori, attraverso Guido Crepax. In conclusione, essere elegantemente rivoluzionaria e non venire mai meno al proprio essere coerente con sé stessa. Francesca Bazoli, presidente Fondazione Brescia Musei Qual è il rapporto della Fondazione con il museo? La Fondazione a Brescia gestisce cinque musei civici della città, con un ruolo quasi di interfaccia fra l’amministrazione comunale e la città stessa, che sente la Fondazione come un’istituzione della città. Questa credo che sia una condizione di grande facilitazione nel rapporto con la nostra comunità, perché interpretiamo quello che è un sentimento sempre più crescente nella comunità bresciana di importanza della Cultura e del suo patrimonio, di orgoglio per il patrimonio della città e credo che questa sia la nostra missione principale: costruire il brand culturale della città di Brescia che in questi anni si sta affermando in modo molto visibile anche nel resto d’Italia. Come sono vissuti i musei dalla cittadinanza? A Brescia abbiamo la straordinaria opportunità, voluta fortemente dalla Fondazione e condivisa totalmente dall’amministrazione comunale che ce l’ha reso possibile, di offrire la gratuità del museo per tutti i residenti nella nostra città. Questo ha un valore pratico molto importante, perché induce le persone a venire al museo, ma anche un valore simbolico per noi molto significativo, perché ci dice che i musei sono, in primis, dei cittadini. Sono il salotto più bello della città, sono il luogo in cui anche i cittadini e la città costruiscono la loro identità, la loro cittadinanza, nel segno dell’amore per il bello, dell’amore per la civiltà, per tutti i valori che in questo patrimonio millenario sono iscritti. Credo che quando una comunità sente così profondamente la vicinanza e la fonte di ispirazione del proprio patrimonio, diventa anche capace di divulgarlo fuori, in Italia, in un tessuto che è ricchissimo.

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Non solo Valentina: i sogni e i giochi di Guido Crepax in mostra a Brescia

Sabrina Rappoli