Piergiorgio Pulixi: “I miei noir con detective donne per abbattere gli stereotipi”

Classe 1982, è una delle voci più credibili e in ascesa del noir nostrano ed europeo - in Francia è stato l’autore italiano di narrativa medaglia d’oro del 2024. Rispettoso della tradizione, ma non ossequioso, costruisce dei polizieschi contemporanei, attenti ai mutamenti della società. Con il suo ultimo romanzo “L’uomo dagli occhi tristi”, edito da Rizzoli, ritorna nella sua Sardegna con le due ormai collaudate ispettrici Mara Rais ed Eva Croce, stavolta messe alla prova da un mistero che scuote equilibri politici e da rese dei conti interiori. Ne abbiamo parlato con Pulixi, in un dialogo a tu per tu all’interno della libreria Mondadori Crocetta di Milano, riavvolgendo il nastro della sua carriera. Dalla sua prima vita da libraio all’incontro con Massimo Carlotto. “È stato per me un maestro, un uomo generoso che ha scelto di condividere il suo sapere con una nuova generazione di scrittori”. Ci troviamo in una bellissima libreria e partirei proprio da qui. Hai iniziato come libraio. Se vado indietro con la memoria, i miei primissimi ricordi hanno sempre i libri come scenografia. Mio nonno era un collezionista, i miei genitori mi hanno cresciuto in mezzo ai libri e per questo ho cominciato in una libreria indipendente, la Miele Amaro di Cagliari, che è stata il mio tempio laico per diversi anni. Per me è ancora il posto più bello del mondo, come non c'è nulla di più bello che condividere la mia passione con le persone, utilizzare anche i libri per aiutare gli altri. Quanto di questa esperienza da libraio ti porti dietro come scrittore? Parliamo di un mestiere che mi ha sicuramente aiutato a crescere come autore, perché ha posto le basi per capire il funzionamento del mondo dei libri. Ero parte di una filiera, che conoscevo dall’interno, e questo sicuramente aiuta a comprendere come funziona tutto il mercato con le sue leggi. Conservo dei bellissimi ricordi e sono rimasto in contatto con i miei ex clienti che tuttora mi seguono in questa nuova vita da scrittore. Qual è il tuo rapporto con la tradizione del genere in cui ti muovi? Io credo che viviamo tutti all'ombra di chi ci ha preceduto. Soprattutto nel mio genere, ci sono dei grandi riferimenti a livello internazionale come Edgar Allan Poe, Agatha Christie, Stephen King che è su un versante più gotico, ma che su di me ha avuto una grande influenza. Guardando all’Italia Camilleri, Manzini, Lucarelli, De Giovanni, Carlotto, sono tutti grandi maestri. Quindi io cerco di onorare quella tradizione, di farla mia e utilizzare la contemporaneità come chiave interpretativa di codici che però sono già collaudati. Io provo nel mio piccolo a raccontare, a innovare, documentando come la tecnologia ci stia cambiando. Sullo sfondo c’è sempre questa continua mutazione antropologica sia dalle persone sia degli esponenti del mondo criminale. Cerco di innovare il genere a partire da questo. Anche il noir risente dell’avvento dell’intelligenza artificiale? Credo di sì, nel senso che la cosa buona che ha il noir è che si adatta e crea dei legami, delle connessioni con altri generi laterali. Quindi il noir si sposa perfettamente con il romanzo d'amore, con il romanzo storico, con la fantascienza. Quindi credo anche che raccontare la tecnologia in una chiave noir sia molto stimolante, perché questo è un genere che è molto adatto a penetrare la nostra società. Penso che arriverà anche il momento di raccontare come l'intelligenza artificiale si applichi al mondo criminale e non vedo l'ora. Pensi che la tua letteratura possa avere un impatto sulla società? Il genere nasce con una funzione sociale. Soprattutto il noir francese di Jean-Claude Rizzo e di Jean-Patrick Manchette, in Italia il noir di Camilleri e di Carlotto, in Grecia di Pétros Márkarīs. Ha la capacità nel suo DNA di partire dal delitto e di utilizzarlo come un pretesto per indagare su una società complessiva. Quindi ho sempre trovato questo come un potere rivoluzionario. Non è un genere che si limita al puro intrattenimento sebbene ci sia ed è ben fatto, perlomeno dovrebbe essere ben fatto. Ma il delitto e il crimine in generale diventano un pretesto per analizzare un mondo intero. Soprattutto oggi è un genere molto attuale, perché la nostra società è una società in continua evoluzione. Viviamo in un'epoca di rivoluzione tecnologica, sappiamo quando è iniziata, non sapremo quando finirà, probabilmente non finirà mai. Tu hai sempre sottolineato l'importanza di un noir che non sia slegato dai cambiamenti della società. Per questo scegli personaggi femminili in un genere tradizionalmente popolato da uomini investigatori, lo fai per adeguarlo ai tempi odierni? Questo romanzo, e in realtà tutta la serie, ha una forte componente femminile. Le protagoniste sono due ispettrici di polizia. Volevo provare a raccontare cosa significhi per delle donne svolgere una professione che ancora nell'immaginario collettivo comune è maschile, a tratti machista. Attraverso la loro esperienza provo a portare invece una sensibilità femminile all'opera su casi di omicidio, su crimini violenti. Provo anche a raccontare quanto sia complesso emanciparsi da una presenza maschile forte, quella dei loro dirigenti, del loro stesso maestro, Vito Strega, che un po' le adombra con la propria presenza. Ce la faranno? C’è speranza? In quest'ultimo romanzo le due donne riescono a emanciparsi, a far valere il proprio talento investigativo, la propria genialità e con questo ho voluto lanciare un messaggio sociale legato ai tempi che stiamo vivendo. Non è stato scontato per te parlare di Sardegna, si può dire che è stato un processo, perché non ti sei sentito subito pronto ad ambientare un romanzo nella tua terra. Quali sono state le ragioni di questa resistenza? Credo che per qualsiasi scrittore parlare della propria terra sia la cosa più difficile in assoluto. Camilleri, l'abbiamo citato prima, utilizzava una frase bellissima per spiegarlo, diceva che “l'amore è una lente deformante”, quando tu guardi qualcosa attraverso lo sguardo e gli occhi dell'amore il sentimento va sempre a deformare l'oggetto della visione del tuo innamoramento. Quindi la visceralità dei sentimenti offusca, o ti irrigidisce lo sguardo, a volte invece esasperi quello che ti circonda. Quello che vedi non è mai quello che è realmente. Per me era così, nel senso ero talmente innamorato della mia terra che non riuscivo a trovare uno sguardo oggettivo. Ho dovuto abbandonare la Sardegna e guadagnare quello sguardo dell'esule per poterla raccontare. Dopo dieci anni di tentativi, nel 2018 con un romanzo che si intitola “L'isola delle anime”, sono finalmente riuscito a scrivere di Sardegna: l’aspetto paradossale è che l'abbia fatto da Milano. Da quando ho iniziato però poi non mi sono più fermato. Direi che con gli anni il legame si è fatto sempre più saldo, ho iniziato a conoscerla meglio la mia isola e a capire anche quello che Gesualdo Bufalino definiva come la isolitudine, che è una crasi, una sintesi tra isolamento e solitudine. È molto importante avere dei maestri, nel tuo caso è Massimo Carlotto quello più diretto. Assolutamente. Mi ha cambiato la vita sia dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista umano, perché è stato un maestro non solo nell'arte letteraria, è stato anche un maestro di vita, un esempio di etica, di moralità. La mia gratitudine è eterna, perché ha fatto per me qualcosa che una volta in Italia si faceva molto in ambito artistico: i grandi artisti aprivano le porte della propria bottega a dei giovani e insegnavano loro il mestiere. Adesso questa condivisione del sapere avviene molto meno. Chi ha un sapere se lo tiene molto stretto, non lo condivide con nessuno. Invece lui ha aperto la propria bottega a un gruppo di giovani, ha insegnato materialmente come si usavano i ferri del mestiere. Questo gli fa grande onore. Se adesso non è più così è forse anche a causa dell’epoca in cui viviamo, quella dei social network che ci ha portato tutti a essere un po' più egoisti, un po' più ombelicali nei confronti di noi stessi. Lui probabilmente anche per una questione generazionale credeva in questo tipo di solidarietà, di condivisione e per me è stato sicuramente un grande esempio. Qual è la sfida più grande per uno scrittore di oggi? L'obiettivo è sempre quello di essere al servizio dei lettori, di regalare loro delle storie che siano in primis dei viaggi emotivi. I lettori oggi ci danno la cosa più preziosa che hanno, che è il loro tempo e noi che scriviamo dobbiamo amministrare questo tempo nel modo migliore possibile e regalare veramente dei viaggi emozionali che li facciano divertire nel senso più etimologico del termine e più nobile del termine, che li facciano sognare e che diano loro anche un po' di speranza e secondo me questo è molto importante nel tempo che stiamo attraversando.

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Piergiorgio Pulixi: “I miei noir con detective donne per abbattere gli stereotipi”

Ludovica Passeri