Perché lo studio Ghibli è diventato un simbolo

Quarant’anni fa, il 15 giugno del 1985, Hayao Miyazaki, Isao Takahata e la Tokuma Shoten, casa editrice giapponese, fondarono lo Studio Ghibli. Toshio Suzuki, storico produttore dello Studio e collaboratore di Miyazaki e Takahata, non partecipò direttamente alla fondazione. All’epoca, Suzuki lavorava ancora per la rivista Animage e sarebbe stato impossibile per lui ricoprire contemporaneamente più cariche . Altro elemento da non sottovalutare: né Miyazaki né Takahata avevano mai preso in considerazione la possibilità di aprire un nuovo studio. La verità è che furono costretti dalle circostanze. Takahata aveva deciso di prendersi una pausa dall’animazione e di concentrarsi sullo sviluppo di un documentario dal vero intitolato “Yanagawa horiwari monogatari”. Miyazaki lo seguì e si impegnò al massimo per dargli una mano. A un certo punto, però, i soldi cominciarono a scarseggiare e la lavorazione del documentario di Takahata arrivò a un punto morto. Miyazaki chiese consiglio a Suzuki che gli suggerì di fare un film di animazione per raccogliere altre risorse con cui portare avanti, e concludere, il progetto di Takahata. Fu così che nacque “Laputa – Castello nel cielo”. Prima di procedere, però, serviva aprire un nuovo studio. E questo perché la Topcraft, lo studio di animazione fondato da Tōru Hara con cui Miyazaki e Takahata avevano collaborato precedentemente, era fallito. Dopo diverse trattative, la Nippon Animation decise di aiutare e di sostenere il progetto di Miyazaki e Takahata. Vennero trovati nuovi locali e, soprattutto, venne assunto nuovo personale. La sceneggiatura che Miyazaki aveva scritto per “Laputa” venne rivista: Takahata tornò a rivestire il ruolo di produttore, come aveva già fatto per “Nausicaä”, e Miyazaki si convinse – grazie alle insistenze dello stesso Takahata e di Suzuki – ad andare in Galles per studiare le miniere in cui, poi, ambientare parte del racconto del suo film. Anche questa volta Suzuki non partecipò ufficialmente alla lavorazione del film come produttore perché era ancora impegnato alla Animage. Il nome dello Studio Ghibli venne scelto da Miyazaki. Secondo il libro “I geni dello Studio Ghibli”, scritto da Suzuki e pubblicato in Italia da Dynit, Miyazaki disse di aver letto di un aereo italiano chiamato Ghibli e che quella parola, Ghibli appunto, gli piaceva particolarmente. Nemmeno lui, però, era convinto della pronuncia corretta. Takahata, che era un esperto di lingue, insisteva nel dire che andava letto ghibli, mentre Miyazaki, dopo averne parlato con un suo amico italiano, suggeriva di leggerlo “gibli”. In realtà, “ghibli” non è una parola italiana ma libica: viene usata per indicare lo scirocco e si legge “gibli”. Tutte queste informazioni sono contenute in diversi film, come “Il regno dei sogni e della follia” di Mami Sunada, distribuito nel 2013, e in libri come il già citato “I geni dello Studio Ghibli” e “Storia dello Studio Ghibli”, pubblicato da Dynit e aggiornato fino a poco prima dell’uscita nelle sale cinematografiche de “Il ragazzo e l’airone”, l’ultima opera di Hayao Miyazaki che ha vinto anche un Oscar come il miglior film di animazione. In quarant’anni, lo Studio Ghibli è diventato un vero e proprio simbolo. E non solo per il suo modo di lavorare – tra i primissimi obiettivi di Miyazaki e Takahata ci fu quello di assumere a tempo pieno gli animatori, per non doverli formare per ogni nuovo progetto – e per il suo stile. Lo Studio Ghibli ha finito per essere una sorta di baluardo per l’animazione tradizionale e per rappresentare una parte importante dell’industria cinematografica giapponese nel mondo. I film di Miyazaki e di Takahata sono film che hanno raccontato e affrontato temi differenti: dalla società del loro Paese alla guerra, al rapporto che abbiamo con l’ambiente. Hanno coinvolto pubblici diversi e, se c’è stata una grande conquista da parte dello Studio Ghibli, è stata proprio questa: aver ribadito che l’animazione non è solo una cosa per bambini, ma che può rivolgersi a chiunque. Grandi e piccoli.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Perché lo studio Ghibli è diventato un simbolo

Gianmaria Tammaro