Peter Cameron: “Gli Usa non hanno imparato dagli errori del passato”

Quando scrisse il suo romanzo cult che narra la disavventure di un diciottenne fuori posto all’inizio del nuovo Millennio, Peter Cameron aveva già quarant’anni. Un po’ come Salinger che aveva il doppio dell’età de “Il giovane Holden”, un romanzo a cui, non a caso, “Un giorno questo dolore ti sarà utile” è stato spesso accostato come spin-off della grande epopea americana dei giovani “disadattati”. La letteratura per Cameron è un fatto di distanza, di stare lontani dalle cose per poterle raccontare in profondità. Lo abbiamo incontrato a Taormina, al festival Taobuk. Cameron non è in Italia con un libro da presentare - la sua ultima uscita letteraria è una raccolta di racconti del 2023 sempre edita da Adelphi “Che cosa fa la genete tutto il giorno?”- ma per ricevere un premio per l’eccellenza letteraria. Sullo sfondo della nostra conversazione, il fragore dei bombardamenti in Medio Oriente e le notizie che si rincorrono su un possibile intervento Usa contro l’Iran a sostegno di Israele, che da lì a poche ore sarebbe diventato effettivo. Sta scrivendo un nuovo libro? In questo momento è più propenso a un romanzo o a dei racconti? Dopo un lunghissimo periodo in cui non ho scritto, ho finalmente ricominciato a scrivere. E quello a cui sto lavorando, spero che diventi un romanzo. Questo è il mio sogno, tornare al romanzo. Il mondo è in guerra, pensa che questo momento difficile possa essere d’ispirazione? Sono così turbato dal periodo in cui viviamo che l'idea di raccontare il presente mi sembra quasi impossibile. Quindi la storia a cui sto ora lavorando è ambientata molto tempo fa, nel 1968. Amo scrivere di un mondo diverso da quello in cui vivo perché, per me, è un modo per evadere dal “qui e ora” ed è una delle gioie che provo anche nel leggere libri. Mi piace scegliere come lettore romanzi non contemporanei. In questi giorni si parla di guerra, Medio Oriente e coinvolgimento degli Usa, sembra un tuffo nel passato. Cosa ne pensa? Beh, parlando di Medio Oriente e del ruolo degli USA, è demoralizzante il fatto che la storia sembri ripetersi, che non impariamo mai dagli errori e dalle tragedie che abbiamo incontrato nel passato. Invecchiando e assistendo sempre più a episodi simili, in cui si ritorna alla violenza e alla disumanità, non fa che aumentare la tristezza. Per un periodo, quando Barack Obama era presidente, mi sono sentito in un certo senso entusiasta e ottimista riguardo al futuro, ma ora ripenso a quella fase e mi sembra che sia stata molto effimera. La situazione interna degli Usa è altrettanto complessa. Come interpretare le proteste contro i raid anti-migranti di Trump? Sono molto preoccupato per quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questo momento. La situazione nel Paese è sconvolgente e deprimente. E credo che le proteste contro le politiche migratorie di Trump che ci sono state proprio nei scorsi giorni rappresentino il primo segnale incoraggiante dopo molto tempo, perché tanti americani in tutto il Paese sono scesi in piazza per protestare. Io mi sento piuttosto fortunato perché vivo tra New York City e il Vermont e sono entrambi posti molto progressisti. Il Vermont è lo Stato più progressista, credo, di tutti gli USA, e New York, di certo, è una città incredibilmente progressista. Lì Trump non ha un grande sostegno, per questo mi sento circondato da una comunità di persone che la pensa come me. Posto che non troveremo niente di tutto ciò nel suo prossimo libro, si sentirebbe pronto a ripetere la magia di “Un giorno questo dolore ti sarà utile” e navigare l’adolescenza dei giorni nostri? Sì, credo di sì. Penso sia interessante sottolineare che quel libro sull’ingresso nell’età adulta di un adolescente non lo scrissi quando ero un giovane scrittore. Ho aspettato fino ai 40 anni, in un certo senso, per prendere le distanze da quel tema. Essere distaccato mi aiuta e mi aiuterebbe anche nel racconto dei teenager di oggi, ai tempi della rivoluzione digitale. E in realtà, il libro che ho appena iniziato parla di un bambino di otto anni, quindi sto andando indietro anagraficamente. È persino più giovane di James Sveck, il protagonista 18enne di “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Mi sento ancora molto in contatto con quell'età e con l'infanzia, perché penso che sia un periodo, un periodo così intenso e per questo molto letterario. Cosa sono per lei i “confini”, il tema di questo festival? Quando ho iniziato a ragionare su questa parola in relazione alla mia scrittura e a questo festival, ho subito pensato ai confini del linguaggio. E credo di averlo pensato perché ho una carriera insolita come scrittore: vendo molti più libri in Italia che negli Stati Uniti. Questo vuol dire che più persone mi leggono in traduzione che nella mia lingua madre. E naturalmente, questo mi fa capire che senza i traduttori non potrei avere il successo o il seguito che ho qui in Italia. Quindi sono molto in debito con i miei traduttori, e in particolare con Giuseppina Oneto, che ha tradotto i miei ultimi, credo sei libri. Non capisce solo il libro, ma anche me e quello che fa con il suo lavoro mi sembra una specie di miracolo. Mi sento in debito come scrittore.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Peter Cameron: “Gli Usa non hanno imparato dagli errori del passato”