Javier Cercas: "Smettiamo di avere aspettative politiche sul Papa"

Un’opera diversa dalle precedenti, apparentemente meno letteraria, eppure c’è un filo rosso che lega "Il folle di Dio alla fine del mondo" alla saga poliziesca di Melchor Marín o a capolavori come “Anatomia di un istante”, una ricostruzione fatta di indizi e testimonianze sul fallito golpe Tejero del 23 febbraio 1981. “In un certo senso tutti i miei libri sono gialli, tutti i libri che amo lo sono, a cominciare dal Don Chisciotte, il mio preferito. In tutti c'è una domanda, c’è qualcuno che vuole decifrare un enigma. Ma in questo caso, c’è il più grande enigma, l'enigma degli enigmi, cioè l'enigma centrale del cristianesimo e dunque della nostra civilizzazione: la Resurrezione della carne e la vita eterna”. A parlare Javier Cercas che al Taobuk, il Taormina International Book Festival, è stato premiato per la sua capacità di fondere nel romanzo - forma che da sempre interpreta in modo originale - il legame tra individuo e storia, presente e memoria, letteratura e realtà. Abbiamo parlato del suo ultimo libro che racconta in prima persona il suo viaggio in Mongolia accanto a Papa Francesco e due anni da “osservatore speciale” dentro al Vaticano. La Chiesa ha aperto le porte a Cercas che non ha mai nascosto di essere un laicista militante, un ateo, un anticlericale . “Mi hanno chiesto di fare una specie di audit aziendale, quando qualcuno va in un'azienda, qualcuno di esterno, per analizzare cosa succede lì. Per vedere i conti, fare una panoramica. Credo che forse hanno voluto questo: uno sguardo distaccato ma al tempo stesso di una persona che conoscesse la materia. Ed io sono stato educato in una famiglia profondamente cattolica”, racconta a Skytg24 Insider. Tutto parte da una chiamata inaspettata dal Vaticano e prosegue con una motivazione personale, anzi familiare. Il folle senza Dio, io, ha seguito il folle di Dio, Francesco, anche fino alla fine del mondo, in Mongolia, per fare una domanda: la mia mamma avrebbe incontrato mio padre dopo la morte? Mia mamma, così fervente che scherzando dico sempre che la fede di Francesco a confronto della sua era tiepida, aveva ragione nel credere fermamente nella Resurrezione? Sono andato fino in Mongolia per ascoltare la risposta del Papa, che è la persona più autorevole per darla, se non l'unica autorevole per darla, e ritornare con questa risposta alla mia mamma che è morta quando avevo già iniziato a scrivere il libro. Al di là della fede, In un contesto di società iper-materialistica diventa ancora più difficile visualizzare questo concetto? È vero. I nostri padri credevano a queste cose, noi non crediamo a niente, ma questi problemi restano lì. Perché la morte rimane una questione ed il materialismo non basta. L'uomo non è soltanto materia: l'uomo e la donna sono anche altro. Francesco, folle di Dio, ha scelto lei, una scelta un po' folle, appunto, visto che lei non ha mai nascosto di essere ateo e anticlericale. Leone XIV, secondo lei, la sceglierebbe? Non lo so, nessun Papa ha mai fatto qualcosa di simile. Non so se ci sarà un altro libro come questo. Io non lo so se mi sceglierebbe per un secondo capitolo, cioè se ci sarà un altro papa che farà la stessa cosa. È difficile, credo. Per questo è un libro molto originale, è unico. Questo Papa però non è molto diverso da Papa Francesco. La strada che ha scelto è la strada del suo predecessore. Lui è un missionario e anche Papa Francesco parlava di una Chiesa missionaria. Forse questo papa è più classico, meno “disruptivo” di quanto è stato Francesco. Le ultime parole di Papa Francesco sono state contro la guerra, le prime di Papa Leone XIV sulla stessa scia. Papa Prevost ha parlato di pace disarmante e disarmata. La Chiesa, che lei ha scandagliato dall'interno, attraverso questo lavoro da detective, che ruolo può avere in questo momento internazionale così difficile? Questo è un enorme malinteso del nostro tempo. I papi, la Chiesa non hanno un potere politico effettivo. Questo succedeva nel passato. Ma oggi non è più così. Effettivamente, Papa Leone appena eletto dalla Loggia delle Benedizioni ha detto: “Basta guerre”. Ma con che risultato? Quante guerre sono finite? Quante? Nessuna. Sarebbe diverso se domani Netanyahu dicesse basta al massacro, stop al genocidio di Gaza, se domani Putin dicesse ritorniamo in Russia e mettiamo fine all’aggressione imperialista dell’Ucraina. Il Papa può dire quello che pensa, deve dire quello che pensa, come te, come me, ma non incidere. E questo è buono. Quando i papi avevano un potere vero, politico, erano papi guerrieri, erano papi che facevano la politica e questo non è stato buono per la Chiesa. Lo dice il Vangelo: “Data a Cesare quel che è di Cesare…”. La Chiesa non può fare miracoli. I miracoli, cioè, far finire con le guerre, è un compito che spetta ai politici, il loro lavoro. In questo libro in cui mette al centro la spiritualità e anche il Francesco spirituale ha cercato di riportare il discorso su un altro piano, religioso e non politico. E pensare che Papa Francesco è stato chiamato il “Papa politico” per eccellenza. E questo è un grande paradosso perché quando si parla della Chiesa, si parla costantemente di politica. Anche in nostri termini laici di politica, questo è un errore, perché con questo non si capisce la Chiesa. Questo è un grande, grandissimo errore. Qual era il suo obiettivo? Quello che io voglio è riportare la Chiesa alla sua complessità e raccontare il suo impatto religioso, che è quello attraverso il quale esercita un’influenza su tantissime persone e che spesso ci dimentichiamo, perché la portata religiosa viene sovrastata dalle interpretazioni politiche. E lo dico io, che non sono una persona religiosa. Per raccontare le dinamiche della Chiesa di oggi bisogna andare oltre la narrazione imperante, per cui viene raccontata in termini politici, parlando di destra e sinistra. Il Papa Francesco cos'era? Era un po' di destra e un po' di sinistra. Non sono categorie per capire i Papi: né Papa Francesco, sebbene abbia avuto l’etichetta di Papa politici, né nessun altro. Eppure, molti hanno parlato Leone XIV, come Papa anti-Trump, per le divergenze sull’immigrazione, ad esempio. È una lettura ridicola. Significa non capire niente. Il Papa anti-Trump? Mi piacerebbe moltissimo perché Trump è un pericolo, un vero pericolo. Ma il Papa non può essere anti-Trump. Il problema è che la stampa non capisce quello che succede nella Chiesa, allora interpreta la Chiesa in termini politici. Leone XIV può dire cose contro Trump, ma non può lottare contro Trump. Siamo noi che dobbiamo farlo. Noi europei dobbiamo lottare contro Trump e agire. Dovrebbero farlo i nostri politici. La priorità è combattere contro Trump e contro la guerra. Il tema di questo Festival è il confine, una parola che si lega anche al suo libro e a Francesco, non trova? Il confine è il luogo dove si deve andare. Il luogo da dove si capisce tutto e in cui ho bisogno di andare in quanto scrittore. Voglio superare i confini del romanzo, del pensiero, di me stesso. I confini sono i posti che dobbiamo superare. Violare. Francesco parlava della periferia, sì. Perché lui veniva dalla fine del mondo. E in questo libro va alla fine del mondo, la Mongolia. Francesco era cosciente che il rinnovamento della Chiesa potesse arrivare dai confini e non dal centro. Questo è un invito anche per chi non crede: essere eccentrici, sempre.

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