Il "Realismo infinito" di Giovanni Chiaramonte nelle fotografie in mostra a Milano

È scomparso nel 2023, Giovanni Chiaramonte, lasciando in eredità un patrimonio di fotografie, che potremmo definire poesie. A Milano, al Museo Diocesano, è in corso una mostra che ne celebra il talento, grazie a decine di scatti che ritraggono - soprattutto - i suoi amati paesaggi che lui riusciva a rendere “personaggi”. Nato a Varese nel 1948 da genitori siciliani, Giovanni si trasferisce presto a Milano e si avvicina alla fotografia, formandosi su autori della scuola statunitense quali Alfred Stieglitz e Minor White. Giovanni Chiaramonte. Realismo infinito è il titolo dell’esposizione, che si compone di tre sezioni Italia, Europe, Americas. Un viaggio in più di venti anni di ricerca fotografica su come percepire il paesaggio e la veduta urbana, elementi che sono sempre stati motivi di riflessione per il fotografo. Una professione, la sua, vissuta come un pellegrinaggio in luoghi anche remoti del mondo, con l’intento di leggere sin dentro l’anima dell’Occidente. Così il curatore della mostra, Corrado Benigni. Direi che la lezione più importante, oggi, nell’era delle foto costruite con l’Intelligenza artificiale, è tornare a guardare il mondo con i nostri occhi; tornare a guardarlo in modo più consapevole e lucido e queste immagini sono una lezione in questo senso, a cominciare dalla luce. La luce ambrata e dorata, che ci fa comprendere come il reale sia infinito e non circoscritto entro il perimetro di un piccolo spazio. È una fotografia molto complessa che intreccia molti saperi, che vanno dalla teologia, alla filosofia, dalla letteratura alla scienza e che - in qualche modo - ritroviamo anche dentro le sue immagini. Si ispira molto ai fotografi americani, quindi, ha una poetica del paesaggio, dei margini e delle periferie. Spazi nei quali possiamo ritrovare un sublime e quasi un’idea metafisica dello spazio. Giovanni Chiaramonte è il più intellettuale dei fotografi italiani proprio per la complessità di saperi che lo hanno sempre caratterizzato. Giovanni Chiaramonte ha fotografato molto, ma anche scritto molto. Si è occupato di teologia, di filosofia, di letteratura, di poesia e persino di cinema, all’inizio della sua carriera. Le sue immagini non sono mai fisse e potremmo dire che, pur nell’immobilità della fotografia, ritroviamo un movimento continuo dentro le figure che rappresenta. Nicolò Chiaramonte è il figlio di Giovanni. Questo il suo ricordo commosso. È stato un padre molto importante, un padre importante anche per il ruolo che aveva. Non era facile come personaggio, aveva molti alti e bassi. La gente ci parla di lui come autore e talvolta ci dice “che bello che potevate stare con lui tutto il tempo, mentre stava più con gli altri che con noi”. Comunque, è stato un grande padre, forse, non nell’accezione più standard del termine, però, non si soffermava molto sulla forma, sulle classiche cose che faccio anche io come padre: essere presente per i figli, andarli a prendere a scuola. Però, curava molto la sostanza, che è ciò che emerge anche dalle fotografie. Di sicuro quello che è stato anche il suo spirito della vita, la speranza fondamentalmente che lui aveva nella vita. Lui diceva sempre che la vita in qualche modo è un evento drammatico di per sé, è iniqua. Equa ma comunque iniqua per tutti, che è il fondamento cristiano che permea la sua e la nostra educazione. Nella sua fotografia lui fa emergere proprio questo, al netto anche del dolore che aveva lui dentro, come personaggio, di quello che vedeva nella Società. La luce, però, per lui c’è e c’è sempre stata ed è quello che a noi come figli e quello che trasmette nelle sue fotografie, è ciò che vuole fare emergere. Il mondo è ciò che è, può avere tutti i problemi che in effetti ha, l’uomo è caduco ma c’è la speranza. Si rifaceva sempre ad Andrej Tarkovskij, che esattamente nel suo film, soprattutto Andrej Rublëv, lo citava. C’è sempre speranza, c’è ancora qualcosa di buono e mio padre lo voleva far emergere con la fotografia.

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