Anima nomade, il destino si esplora una tenda dopo l'altra

Stabilire se andare a Oriente a Occidente, a nord o a sud del mondo, conservando sempre uno spirito nomade, proprio come facevano le antiche popolazioni indoeuropee, quando con il loro spostarsi decidevano il proprio destino. È in tale spirito nomade che affonda le sue radici l’arte di Francesco Clemente, napoletano, classe 1952, riconosciuto come uno degli artisti italiani più apprezzati del panorama contemporaneo. La mostra in corso fino a marzo al Palazzo delle Esposizioni, a Roma, celebra il suo lavoro, anche con la presenza delle tende, che sono sì oggetti di uso quotidiano ma anche simboli del viaggio, di luoghi da esplorare di passaggio o dove decidere di restare per sempre. Proprio “Anima nomade” è il titolo dell’esposizione, che fino a marzo ci racconta il percorso di questo artista. Clemente, nella sua vita ha molto viaggiato, scoperto, esplorato e acquisito una visione del mondo che gli ha consentito di comprendere i popoli più diversi, le loro tradizioni, la loro anima, appunto e di farne tesoro per la sua geografia artistica. “La mostra “Anima nomade”, nasce proprio – come dice il titolo – da raccontare l’Arte di Francesco Clemente; un’Arte che nasce esattamente dall’esperienza nomade dell’artista: tra l’India, New York, l’Italia e tanti altri Paesi”, spiega Bartolomeo Pietromarchi, il curatore. “Esperienza che l’esposizione ci restituisce – attraverso questo straordinario allestimento delle sei tende, realizzate nel 2013, riunite per la prima volta in questa occasione – e di questi bellissimi wall drawing e delle bandiere, queste ultime risalgono al 2014. Tutto questo crea una vera e propria grande installazione che i visitatori sono liberi di percorrere come credono e come vogliono, alla scoperta dell’Arte e delle influenze, sia culturali sia spirituali dell’artista. Non c’è un ordine cronologico, è meramente un percorso di conoscenza; ogni tenda ha un tema diverso, un titolo diverso. Ci sono, per esempio, la Tenda della Verità, la Tenda del Pepe e quella Rifugio e ogni volta si entra in una dimensione diversa dell’Arte di Clemente e della sua evoluzione personale e artistica. La mostra è un’occasione, innanzitutto, per celebrare, dopo tanti anni che non succedeva, uno dei più grandi artisti italiani riconosciuti nel mondo. Poi, perché lo facciamo attraverso una delle sue opere più iconiche, che però non sono mai state viste in Europa, così, tutte insieme, riunite per la prima volta in modo straordinario all’interno di un museo. Non ci siamo limitati a questo, abbiamo realizzato la mostra anche attraverso due wall drawing, fatti apposta dall’artista per questa occasione e poi la serie delle bandiere: anche quest’ultima è stata creata qualche anno fa ma è stata riportata ora in mostra”. Così il presidente di Palaexpo, Marco Delogu: “Questa retrospettiva è installata nello spazio principale del Palazzo, a partire dalla rotonda e tutte le sette sale che arrivano su di essa. È uno spazio dove Clemente si è buttato senza rete, è uno spazio che lui vive e – in un certo senso – ridisegna; dove non esiste una colluttazione tra lo spazio e il suo lavoro. È uno spazio importante, difficilissimo, dove queste tende sono accolte in una maniera meravigliosa. A partire da qui, tra il primo piano, la sala Fontana e le sale dalle 9 alle 12, che sono in fondo; accolgono altre tre mostre che si legano perfettamente tra di loro, passando e anche non passando per Anima nomade”, la mostra più importante. “Credo molto nel principio che “da cosa nasce cosa”. Nel caso di questa mostra, i miei viaggi in India, attraverso molti anni, hanno condotto nella direzione di queste tende, che sono una specie di casa immaginaria che mi sono costruito e che qui, in questa mostra romana, condivido col pubblico”, sottolinea Francesco Clemente. “Io sono un artista, è vero ma sono soprattutto un pittore e le tende sono il mio modo di contrabbandare la pittura nel mondo. La pittura suscita diffidenza, a volte, o una passione esagerata. In questo caso acquista una qualità quasi quotidiana. Sono le pareti di casa, sono le pareti di un tempio, sono la scena di un sogno. Tutta la mostra è un inno all’impermanenza, dobbiamo abituarci ogni giorno, a questa idea di impermanenza e quindi alle tende, che vengono erette e poi vengono smantellate alla fine della mostra. Si accompagnano degli immensi disegni murali e anche quelli vengono realizzati all’inizio della mostra e poi verranno cancellati alla fine. Un elemento molto importante della mostra è la luce, all’interno delle tende c’è una luce molto tenue, che immagino tratterà i visitatori un po’ più a lungo di quello che farebbero in una sala di un museo. La mia ambizione è di portare i visitatori al sonno, che si addormentino: questo lo considererei un grande successo. Sono nato e cresciuto a Napoli, mi sono formato negli anni ’70 a Roma e poi in India; dall’India sono arrivato in Giappone e poi sono approdato a New York, dove vivo da quarantatré anni. Per me Roma rimane quella del primo giorno, quando mi sono guardato attorno e ho visto questa infinita collezione di frammenti appena leggibili e in quei frammenti ho trovato un po’ la mia chiave per guardare il mondo”.

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