Il 12 luglio 2004 nasceva in Cile una delle figure letterarie più note del XX secolo. Gran parte delle sue opere è dedicata all’amore. Ecco alcune delle sue poesie più amate che meritano sicuramente una lettura
Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, e vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1971, Pablo Neruda ha esplorato il mondo e l'essenza dell'esperienza umana come pochi dei suoi contemporanei, restituendo nei suoi scritti una profondità emotiva e un impegno civile che continuano a risuonare ancora oggi. In occasione dei 120 anni dalla sua nascita, che ricorrono oggi, 12 luglio 2024, abbiamo selezionato 5 sue poesie tra le più amate in assoluto.
Cenni biografici
Neftali Ricardo Reyes Basoalto, conosciuto al mondo come Pablo Neruda, nacque nel 1904 a Parral, in Cile. Rimasto presto orfano di madre, si trasferì con il padre a Temuco, dove iniziò a coltivare il suo amore per la scrittura. Nonostante la mancanza di incoraggiamento familiare, fu sostenuto dalla poetessa Gabriela Mistral, che lo introdusse alla letteratura russa. Nel 1920, adottò lo pseudonimo di Pablo Neruda in onore del poeta ceco Jan Neruda e si trasferì a Santiago, dove pubblicò le sue prime raccolte di poesie. Il suo stile, caratterizzato da un modernismo spesso erotico, inizialmente non trovò un ampio consenso critico.
La carriera di Pablo Neruda
La carriera di Neruda fu altrettanto varia e intensa. Nel 1927, accettò l'incarico di console onorario e iniziò una serie di viaggi che lo portarono in Birmania, Giava, e successivamente in Europa e Sud America. Durante questi spostamenti, incontrò importanti intellettuali e scrittori, avvicinandosi al surrealismo e alla politica. La sua esperienza durante la guerra civile spagnola rafforzò il suo impegno politico, portandolo a pubblicare "Spagna nel cuore" nel 1937 e a sostenere attivamente i repubblicani. Tornato in Cile, Neruda continuò a intrecciare la sua attività poetica con quella politica, ottenendo il Premio nazionale di Letteratura del Cile nel 1945 e venendo eletto senatore. Deluso dalla politica, visse un periodo di esilio volontario in diversi paesi prima di tornare in patria nel 1952 per sostenere Salvador Allende. Sul finire del 1971 l'Accademia Svedese gli assegno il Premio Nobel per la letteratura. Era un riconoscimento tardivo, in quanto da anni il poeta cileno sembrava averne diritto, e precisamente fin dalla pubblicazione del Canto General (1950). Morì il 23 settembre 1973, pochi giorni dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet. La sua scomparsa è ancora oggi avvolta nel mistero. Secondo la versione ufficiale, sarebbe morto per un tumore. Ma i familiari sostengono che sia stato avvelenato dalla polizia segreta del dittatore Augusto Pinochet dopo il golpe del 1973.
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Ode al giorno felice
Questa volta lasciate che
sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che
sono felice
fino all’ultimo profondo angolino
del cuore, camminando,
dormendo o scrivendo.
Che posso farci,
sono felice.
Sono più sterminato
dell’erba
nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto,
gli uccelli in cima,
il mare come un anello
intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.
Tu al mio fianco sulla sabbia
sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo
è oggi la mia anima,
canto e sabbia,
il mondo
oggi è la tua bocca,
lasciatemi
sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì, perché respiro
e perché respiri,
essere felice perché tocco
il tuo ginocchio
ed è come se toccassi
la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciatemi
da solo
che sia felice,
con o senza tutti,
essere felice
con l’erba
e la sabbia,
essere felice
con l’aria e la terra,
essere felice,
con te, con la tua bocca,
essere felice.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l'amai, e a volte anche lei mi amò .
Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi amò, a volte anch'io l'amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l'ho. Sentire che l'ho perduta.
Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull'anima come sull'erba in rugiada.
Che importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
É tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca. Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.
Più non l'amo, è certo, ma quanto l'amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.
D'altro. Sarà d'altro. Come prima dei suoi baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.
Più non l'amo, è certo, ma forse l'amo.
É così breve l'amore, ed è sì lungo l'oblio.
Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.
Sonetto XVII dal libro “Cento sonetti d’amore”
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
Il figlio
Così venisti al mondo.
Da tanti luoghi vieni,
dall'acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lungi cammini verso noi due,
dall'amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere come sei,
che ci dici,
perché tu sai di più del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta noi scuotemmo l'albero della vita
fino alle più occulte fibre delle radici
ed ora appari cantando nel fogliame,
sul più alto ramo che con te raggiungemmo.
LXIV Sonetto dal libro “Cento sonetti d’amore”
Per tanto amore la mia vita si tinse di viola
e andai di rotta in rotta come gli uccelli ciechi
fino a raggiungere la tua finestra, amica mia:
tu sentisti un rumore di cuore infranto
e lì dalle tenebre mi sollevai al tuo petto,
senz'essere e senza sapere andai alla torre del frumento,
sorsi per vivere tra le tue mani,
mi sollevai dal mare alla tua gioia.
Nessuno può dire ciò che ti devo, è lucido
ciò che ti devo, amore, ed è come una radice,
nativa d'Araucania, ciò che ti devo, amata.
È senza dubbio stellato tutto ciò che ti devo,
ciò che ti devo è come il pozzo d'una zona silvestre
dove il tempo conservò lampi erranti.
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