Ferrari: "Per fare l'editore ci vuole occhio. Anzi, ce ne vogliono tre"

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Filippo Maria Battaglia

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Per più di mezzo secolo si è occupato di libri, dirigendo alcune delle più importanti realtà italiane, da Rizzoli a Mondadori. Adesso l'autore di "Ragazzo italiano" torna in libreria con una "Storia confidenziale dell'editoria", in cui racconta anche la propria esperienza professionale. L'intervista durante "Incipit"

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"In che cosa consiste il talento editoriale? O, più propriamente, il talento della scelta? Come si arriva a dire questo sì, questo no?": è ciò che si domanda Gian Arturo Ferrari nella sua "Storia confidenziale dell’editoria italiana" (Marsilio, pp. 368, euro 19), in cui racconta un secolo e mezzo di libri in un "Paese in cui tutti scrivono e pochi leggono". "Ci vuole occhio, si dice", osserva Ferrari, che di libri si è occupato per più di cinquant'anni , lavorando e dirigendo alcune delle più importanti realtà italiane, da Rizzoli a Mondadori. Prima di aggiungere: "Non è vero, di occhi ce ne vogliono tre”.

I tre occhi

"Il primo - racconta durante "Incipit" - è quello intuitivo: o c'è o non c'è, ed è ciò che fa piacere immediatamente un libro. Una buona regola è che se un libro non piace conviene lasciarlo perdere, senza passare ai due occhi successivi. Il secondo - aggiunge - è la capacità di vedere dentro un libro cosa può essere cambiato e migliorato. È questo l'aspetto per così dire artigianale e fattivo dell'editoria: spostare un capitolo, mettere un nuovo personaggio, toglierne alcuni, insomma dare una struttura. Il terzo, infine, è il più importante: la capacità di sapersi sdoppiare, di vedere un libro con i propri occhi e al contempo di vederlo anche con gli occhi del pubblico. Immaginare il libro come se fosse già pubblicato, intuendo quali potranno essere le reazioni del pubblico cui è destinato".

"Gli editori? Sondano il futuro"

"Questo terzo occhio - spiega Ferrari - è forse il più importante, il più tipicamente editoriale. Se non si apre, meglio cambiare mestiere, ma se si apre diventa la guida più sicura del nostro lavoro". 

"È ovvio poi che si fanno moltissimi errori, e i libri che stanno nelle librerie sono in gran parte errori proprio di questo tipo.Tuttavia sono pur sempre dei tentativi. Gli editori sondano il futuro, cercano di capire come evolveranno gusto, propensioni e tendenze del pubblico. Poi a volte ci prendono, a volte no. Ma il punto fondamentale per la buona salute di una casa editrice è che le volte in cui ci si prende siano di più di quello in cui si sbaglia".

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