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La storia di Formíggini ci ricorda che le cose, in editoria, non sono così tanto cambiate

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Filippo Maria Battaglia

La casa editrice Italo Svevo pubblica un'antologia di scritti di uno dei più vitali editori del primo Novecento, che già un secolo fa tentò una "profilazione" dei propri lettori. L'intervista a Gabriele Sabatini

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"A nessuno parrebbe lecito chiedere 'in omaggio' ad un droghiere un'oncia di pepe, né ad un farmacista un cartoccio di sale inglese. Perché moltissimi non si accorgono che chiedere 'in omaggio' un libro è sconveniente?". Queste tre righe sono solo una scheggia della copiosa, movimentata e - va ammesso - assai seduttiva produzione di Angelo Fortunato Formíggini, che per trent'anni esatti nella prima parte del Novecento  di mestiere ha fatto l’editore. Non certo un Salani, un Treves o un Mondadori, eppure uno di quelli che nel primo Novecento hanno inciso - e non poco- nel panorama culturale nostrano.

Da qualche settimana, un'antologia dei suoi scritti è finita in libreria grazie alla casa editrice Italo Svevo per le attente cure di Gabriele Sabatini ("Lezioni di editoria", pp. 184, euro 16). 

 

"Formíggini ha dei tratti di modernità che sono lampanti e anche molto variegati - racconta Sabatini durante 'Incipit', la rubrica di libri di Sky TG24 - E non solo perché è stato l'ideatore di un periodico, 'L'Italia che scrive', in grado di mostrare già un secolo fa il dietro le quinte dell'editoria. Ma anche perché è stato tra i primi a portare a compimento quella che oggi chiameremmo una 'profilazione' del lettore attraverso indagini mirate con l'obiettivo di raggiungere il più vasto pubblico possibile".

Nell'intervista, Sabatini ripercorre la vicenda editoriale di Formíggini, le sue collane più popolari (dai "Profili" ai "Classici del ridere"), insieme ad alcune delle sue domande più attuali ("Gli editori crescono come i funghi ma - si chiede nel 1928 - quanti sono quelli che sopravvivono al terzo anno di lavoro?").

È per questo che rileggere ora, a distanza di quasi un secolo, alcune delle sue pagine significa certamente cogliere la distanza da quel tempo, ma significa anche comprendere quanto quella distanza, in fatto di editoria, non sia poi così lontana.

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