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De Silva: "Simenon mette il lettore di fronte alla parte peggiore di sé"

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Filippo Maria Battaglia

La nuova puntata di "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, è dedicata al grande scrittore del Novecento. A raccontarlo è l'inventore dell'avvocato Malinconico: “Lo stato d’animo evocato da Simenon non ha mai nulla di piacevole. C’è sempre qualcosa di un po’ sinistro, di conosciuto da noi e, al contempo, di occultato da noi stessi”  

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Tra i molti aneddoti attribuiti a Georges Simenon, ce ne è uno che racconta questo: e cioè che un giorno gli venne chiesto in modo forse un po’ malizioso se era consapevole di scrivere usando non più di duemila parole e che lui, invece di irritarsi, rispose stupito: “Così tante?”. 

Da quell'aneddoto prende spunto la nuova puntata di "Incipit", la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri, che questa settimana è dedicata al grande scrittore belga di lingua francese.

"Non è soltanto una questione banalmente numerica - racconta in questa intervista un altro scrittore, Diego De Silva  - il punto è un altro: quella che usa Simenon è una lingua solo apparentemente elementare: frasi brevi, molti a capo eccetera.  Ora, se uno lo valutasse così,  potrebbe chiedersi: dov’è la scrittura? Dov’è il volo pindarico? Dov’è la ricerca armonica della frase circolare? Poi però, puntualmente, al quinto rigo di ogni suo libro, succede che il lettore si trovi esattamente dove il narratore lo ha portato".

"Simenon - dice l'inventore dell'avvocato Malinconico - è uno di quegli scrittori che hanno più di tutti una grande capacità di trasmetterti la sensazione climatica dei luoghi, tant'è che chiunque abbia letto un po’ dei suoi libri, anche due o tre soltanto, le prime volte che va in Francia, e in particolare a Parigi, avverte la sensazione di Simenon. E questo è una delle principali qualità del grande autore: caratterizzare un luogo, un tempo, una sensazione olfattiva e climatica".

Le "parole materia" e le nostre pretese di bontà

La capacità quasi proverbiale di attivare la nostra memoria sensoriale nasce da qui, ricorda De Silva, da quelle che Simenon definiva "parole materia" e che altro non sono che "la descrizione apparentemente banale e semplice di un oggetto che richiama uno stato d’animo". Attenzione, però: "Di solito, questo stato d’animo evocato da Simenon non ha mai nulla di piacevole. C’è sempre qualcosa di un po’ di sinistro, di conosciuto da noi e di occultato da noi stessi, qualcosa di noi che sappiamo ma non vogliamo dire, soprattutto a noi stessi. Ecco, Simenon fa esattamente questo: dice ciò che tu sai di essere ma che non vuoi dire, e ciò in qualche modo ti migliora perché abbassa le pretese di bontà, di presunzione, di arroganza che tutti noi abbiamo. E alla fine - conclude De Silva -  il vero narratore questo deve fare: metterti davanti al tuo peggio, non davanti al tuo meglio".

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