
Guerra in Ucraina, da Burger King ad Alibaba: quali aziende non hanno lasciato la Russia
Non tutte le grandi imprese internazionali hanno deciso di abbandonare Mosca in seguito all'invasione armata del territorio ucraino. Alcune hanno deciso di rimanere

Negozi chiusi, vendite sospese e produzione bloccata negli impianti russi. Fin dai giorni immediatamente successivi all’invasione armata della Russia in Ucraina – iniziata lo scorso 24 febbraio – molte aziende hanno deciso di lanciare un segnale di protesta contro la politica di guerra del Cremlino. Alcune, tra cui anche grandi imprese italiane, non hanno fatto lo stesso
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La scelta di abbandonare la Russia, gesto simbolico ma dall’impatto economico tangibile, riguarda società leader in diversi settori. Apple, Dior, Adidas, Mercedes, Airbnb, Asos, H&M, Ikea e Heineken sono solo alcuni dei grandi nomi che si sono allontanati da Mosca
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Una pioggia di polemiche si era levata contro grandi catene che non avevano subito preso alcuna posizione. Nel mirino del web erano finite ad esempio McDonald's, Coca-Cola, con hashtag come #BoycottCocaCola che erano diventati virali. L'8 marzo, tutte e due le aziende hanno annunciato la sospensione delle loro attività in Russia. Così ha fatto anche Starbucks
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Infine il 16 maggio McDonald's ha annunciato che uscirà dalla Russia, con la vendita completa delle sue attività a un acquirente locale. Gli 850 punti vendita non utilizzeranno più il nome, il logo, il marchio di McDonald's. Il nuovo marchio potrebbe essere Zio Vanja, marchio depositato il 12 marzo scorso: una B gialla (che nell'alfabeto cirillico corrisponde alla V di Vanja) su sfondo rosso, molto simile al logo di McDonald's ma rovesciato di 90 gradi a destra
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PepsiCo ha prima fatto sapere di stare valutando le opzioni per le sue attività nel Paese, inclusa la svalutazione della sua divisione in Russia, poi ha deciso di sospendere la vendita di Pepsi Cola e altre delle sue bevande nel Paese. Sospesi anche gli investimenti di capitale e la pubblicità
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Non tutti hanno però rotto i ponti con la Russia. L’organizzazione no profit The Good Lobby, insieme alla start up Progressive Shopper - che si propone di fornire al pubblico informazioni su quali politiche vengono appoggiate da vari brand per promuovere acquisti consapevoli – ha creato il ‘Corporate index delle aziende a sostegno dell’Ucraina’. È essenzialmente un indice che, si legge sul sito di The Good Lobby, intende “informare investitori, clienti e cittadini su se e come le aziende e i marchi si stanno posizionando rispetto al conflitto in corso”

Tra le aziende che al momento risultano ancora operanti in Russia ci sono anche le italiane Ferragamo e Ferrero, che distribuisce i prodotti di Nutella, Ferrero Rocher e Kinder. L'azienda originaria di Alba, tuttavia, ha fatto a sapere alla testata piemontese La Voce di Alba che sta aiutando i suoi dipendenti in Ucraina a raggiungere "zone di sicurezza" e che ha sospeso temporaneamente le attività non essenziali in Russia

Per ora, restano aperti i ristoranti della catena di fastfood Burger King, gli 800 locali del paese sono gestiti in franchise da un'azienda russa, che si è rifiutata di chiuderli. Lo stesso problema c'è anche per la catena Subway, il cui logo appare nell'insegna di circa 450 negozi rimasti aperti perché gestiti da ristoratori indipendenti. L'azienda ha annunciato che donerà i profitti generati in Russia per attività umanitarie in Ucraina. Nella stessa condizione si trova anche la catena di hotel Accor

Auchan, la catena di grande distribuzione francese che impiega 30mila dipendenti nel paese, dove fattura circa il 10% dei suoi ricavi gobali resta in Russia. Secondo Reuters il Paese è il suo terzo mercato, dopo Francia e Spagna. Nella stessa condizione è anche Danone, che impiega in Russia 8mila persone

Leroy Merlin non prevede cambiamenti nelle proprie operazioni in Russia né la chiusura dei suoi 112 negozi nel Paese. Il vicedirettore generale della filiale russa ha spiegato che "dopo l'uscita dal mercato russo di alcuni player, siamo aperti a proposte per aumentare le forniture e ampliare la gamma".

Pirelli, di cui sono azioniste società cinesi, produce in Russia il 10% dei propri pneumatici, secondo Reuters, e ha deciso di ridurre la propria produzione in modo da continuare a pagare gli stipendi, ma non l'ha sospesa.

Unicredit è tra le banche europee che prima della guerra faceva più affari con Mosca con crediti per quasi 8 miliardi di euro con clienti russi. L'amministratore delegato Andrea Orcel ha affermato che "abbiamo bisogno di considerare seriamente l'impatto e le conseguenze e la complessità del distacco di una banca completa dal paese". Anche Intesa San Paolo, con un'esposizione inferiore che arriva a circa 5 miliardi di euro, l'1% del totale e 780 dipendenti in Russia, non lascia il Paese. Per le banche il problema è anche quello della vendita dei propri asset