Introduzione
Le famiglie italiane sono sempre più povere e temono di non poter contare su servizi sanitari e assistenziali adeguati. A rivelarlo è il Censis nel suo 59° rapporto, secondo cui negli ultimi 15 anni, tra il primo trimestre del 2011 e il primo trimestre del 2025, la ricchezza delle famiglie del nostro Paese è diminuita dell'8,5%. A perdere maggiore ricchezza è stato il ceto medio. Secondo la ricerca, inoltre, il 78,5% degli italiani esprime sfiducia nei confronti di servizi sanitari e assistenziali, ritenendo che, se si trovasse in condizione di non autosufficienza, non potrebbe contare su adeguati supporti. Ecco tutti i dati.
Quello che devi sapere
Le famiglie italiane sempre più povere
Dividendo le famiglie italiane per decili di ricchezza detenuta, il rapporto Censis rileva che il 50% delle famiglie più povere ha evidenziato un calo della propria ricchezza del 23,2%. Mentre le famiglie distribuite tra il sesto e l'ottavo decile hanno subito una riduzione del patrimonio iniziale tra il 35,3% e il 24,3%. Tra le famiglie del nono decile la diminuzione è stata del 17,1%, mentre solo il 10% delle famiglie più ricche ha visto aumentare la propria ricchezza del 5,9%.
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Cresce la sfiducia verso sanità e assistenza
Come sottolinea ancora il rapporto, il 78,5% degli italiani (8 persone su 10) teme che, in condizione di non autosufficienza, non potrebbe contare su servizi sanitari e assistenziali adeguati. Lo stesso vale per i rischi ambientali: il 72,3% crede che, in caso di eventi atmosferici estremi o catastrofi naturali, gli aiuti finanziari dello Stato sarebbero insufficienti.
Più della metà degli italiani disposti a polizze assicurative
Come riferisce ancora Censis, il 54,7% degli italiani si dichiara disposto a destinare fino a 70 euro al mese per tutelarsi dal rischio di non autosufficienza, dai danni legati al cambiamento climatico o da altri eventi avversi. Il 52,3% ritiene di poter ristrutturare i propri consumi, riducendo alcune spese per destinare quanto risparmiato all'acquisto di strumenti assicurativi (vita, salute, non autosufficienza).
Le intenzioni degli italiani
La disponibilità non si traduce però in azioni concrete. Il 70,0% degli italiani non sta facendo nulla sul piano finanziario o assicurativo per tutelarsi in caso di non autosufficienza. Solo il 10,7% si dice pronto a ricorrere a polizze assicurative per affrontare questa eventualità. La maggioranza sceglie soluzioni alternative: il 37,2% afferma che “ci penserà se e quando accadrà”, il 34,5% dichiara che “ricorrerà ai risparmi”, il 22,0% “conterà sul welfare pubblico”, il 19,9% “sull'aiuto dei familiari” e il 14,7% su “amici e volontari”.
Il mercato del lavoro sempre più senile
Come rivela ancora il rapporto, la demografia cambia volto all'occupazione con una progressiva "senilizzazione del mercato del lavoro". L'aumento di 833.000 occupati, registrato nel biennio 2023-2024, è dovuto prevalentemente alle persone “con 50 anni e oltre”, che sono stati in totale 704.000 (cioè l'84,5% di tutta la nuova occupazione). Il saldo positivo nei primi dieci mesi del 2025 (206.000 occupati in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso) dipende esclusivamente dai più anziani, che aumentano di 410.000 unità (+4,2%), a fronte di -96.000 occupati di 35-49 anni (-1,1%) e -109.000 con meno di 35 anni (-2,0%).
I giovani sempre più inattivi
Tra i giovani invece sono in netto aumento gli inattivi, che salgono a +176.000 nei primi dieci mesi dell'anno (+3,0%). Nel biennio 2023-2024, l'input di lavoro supera largamente la crescita dell'economia: +3,7% gli occupati, +5,3% le ore lavorate, solo +1,7% il Pil. Di conseguenza, calano gli indicatori di produttività: -2,0% il valore aggiunto per occupato e -3,5% il valore aggiunto per ora lavorata.
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Aumentano i robot
Stando ancora ai numeri del rapporto, i'Italia è salita alla 14° posizione tra le economie mondiali per intensità di automazione, con una quantità di robot installati per numero di addetti superiore alla media europea, statunitense e asiatica. Il nostro Paese risulta anche al sesto posto nel mondo per numero di robot industriali installati nel 2023, con più di 10.000 nuove installazioni.
Aumenta la produzione, poco i salari
Tra il 1995 e il 2022, nel settore dell'automotive sono aumentati in termini reali la produzione (+61,4%) e il valore aggiunto (+17,2%), mentre è diminuita la forza lavoro impiegata (da 207.000 addetti a 163.000: -21,3%). I dati mostrano quindi che un aumento della produttività è reso possibile dalla maggiore automazione dei processi produttivi. Ma mentre il valore aggiunto per occupato è lievitato del 48,8%, i salari sono aumentati in maniera non proporzionale: solo del 9,3%.
Per il 62% l'Ue non è decisiva nelle partite globali
Sul fronte della politica internazionale, cresce la sfiducia nei confronti dell'Ue. Il 62% degli italiani ritiene infatti che l'Unione europea non abbia un ruolo decisivo nelle partite globali. Il 53% crede che sia destinata alla marginalità in un mondo in cui vincono la forza e l'aggressività. E il 55% è convinto che la spinta del progresso in Occidente si sia esaurita e adesso appartenga a Cina e India.
Papa Leone XIV il leader che ottiene la massima fiducia
Come rivela ancora il rapporto, il 72% degli italiani ritiene che “la gente non crede più ai partiti, ai leader politici e al Parlamento”. L'unico leader con una proiezione globale che ottiene la fiducia della maggioranza degli italiani è Papa Leone XIV (che guadagna il 60,7%). Seguono poi il premier spagnolo Pedro Sánchez (44,9%), il cancelliere tedesco Friedrich Merz (33,5%) e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen (32,8%).
La posizione su Trump e sulla difesa
- Per quanto riguarda il presidente statunitense Donald Trump, il 16,3% degli italiani dichiarano di avere fiducia nel suo operato.
- Per quanto riguarda il fronte della difesa, invece, quasi la metà (il 43%) disapprova un intervento militare italiano, anche nel caso in cui un Paese alleato della Nato venisse attaccato. Infine, il 66% ritiene che, se per riarmarsi l'Italia fosse obbligata a tagliare la spesa sociale, allora si dovrebbe “rinunciare a rafforzare la difesa”.
Per il 28,3% dei giovani la scuola non prepara al futuro
Sul fronte della scuola, il 28,3% dei giovani di 16-19 anni ritiene che la scuola non li prepari adeguatamente al futuro. Un dato che sale addirittura al 32,7% tra ragazze e ragazzi di 18-19enni. Sette giovani su 10 esprimono invece un giudizio positivo, riconoscendo alla scuola una preparazione sufficiente (53,3%) o adeguata (18,4%) alle sfide future. Il 74,6% dei ragazzi insoddisfatti pensa che “la vita vera sia fuori dalla scuola”, il 57,8% invece “non ritiene che la scuola possa aiutarli a capire meglio il mondo” e il 53,0% “non pensa che la scuola sia una palestra di vita”.
Per il 27,2% dei giovani lo studio non porta a realizzare i sogni
Il 26,1% dei giovani insoddisfatti pensa che la scuola non ponga le basi per il proprio futuro e il 27,2% non crede che studiando possa realizzare i propri obiettivi. Secondo Censis, aumenta tra i giovani più critici anche il disorientamento rispetto a un futuro incerto aumenta.
Le soluzioni proposte dai giovani
Il 56,1% vorrebbe ricevere dalla scuola indicazioni pratiche su come muoversi nel mondo del lavoro, mentre il 41,9% richiede una didattica innovativa e lezioni più dinamiche. Il 31,1% dei giovani propone invece programmi scolastici più attenti alla realtà contemporanea. E sul fronte dell'educazione affettiva e sessuale, il 34,7% dei giovani ritiene sia necessaria. Mentre il 19,0% vorrebbe imparare a riconoscere le fake news e le truffe online.
Oltre 4 pensionati su 10 aiutano figli e nipoti
Il rapporto mostra inoltre che il 43,2% dei pensionati garantisce regolarmente aiuti economici a figli, nipoti o parenti. Il 61,8% ha versato (o ha intenzione di farlo in futuro) un contributo economico a figli o nipoti per sostenere spese importanti, come l'acquisto di una casa. Il 54,2% degli italiani ritiene infatti giusto indicizzare all'inflazione anche le pensioni di valore superiore ai 2.500 euro lordi: idea che riflette la consapevolezza che le pensioni non sono rendite eccesive, perché danno supporto anche a figli e nipoti.
Il 94% dei pensionati è cauto nelle spese
Il 94,2% è cauto nelle spese e tende a risparmiare per affrontare eventuali malattie o condizioni di non autosufficienza. Mentre l'89,7% si dichiara “attento nella gestione dei propri risparmi a causa della persistente incertezza economica” e l'82,2% esercita un “controllo accurato e costante del bilancio familiare”. Si registra anche la disponibilità di molti anziani a restare attivi anche dopo il pensionamento: il 72,6% dei pensionati vorrebbe poter continuare a lavorare, ma senza penalizzazioni fiscali.
Cala la produzione industriale e aumentano le armi
Il rapporto Censis evidenza anche che l'indice della produzione industriale è stato negativo per 32 mesi consecutivi. In particolare, la produzione manifatturiera è arretrata nel 2023 (-1,6%), nel 2024 (-4,3%) e anche nei primi 9 mesi del 2025 (-1,2%). Nei primi nove mesi del 2025 la produzione industriale segnava ancora un calo dell'1,2%, mentre la fabbricazione di armi e munizioni ha registrato un aumento del 31% rispetto al 2025.
Tessile e meccanica i settori in difficoltà
Tra i settori in maggiore difficoltà e a rischio deindustrializzazione ci sono soprattutto il tessile e la meccanica. Nel 2024 solo l'alimentare ha registrato un incremento della produzione (+1,9%). A calare sono stati il tessile e l'abbigliamento (-11,8%), i mezzi di trasporto (-10,6%), la meccanica (-6,4%), la metallurgia (-4,7%), la farmaceutica (-1,7%).
Il debito nelle economie occidentali
I numeri Censis rivelano anche che l'Italia non è più l'unico “malato” d'Europa e che nel 2030 il rapporto debito pubblico-Pil nei Paesi del G7 supererà il 137%. Tra il 2001 e il 2024 nei Paesi del G7, il debito pubblico è lievitato dal 75,1% al 124,0% del Pil. In Italia dal 108,5% al 134,9%, in Francia dal 59,3% al 113,1%, nel Regno Unito dal 35,0% al 101,2%, negli Stati Uniti dal 53,5% al 122,3%.
Record del debito pubblico italiano: 3.081 miliardi
Nel 2030 il rapporto debito pubblico-Pil nei Paesi del G7 supererà il 137%, ritornando prossimo al livello raggiunto nel 2020 a causa della pandemia, quando toccò il 140%. A determinarlo sarà, secondo Censis, "l'ingente debito e la bassa crescita, legata all'invecchiamento demografico e alla riduzione della popolazione attiva, congiurano per un inevitabile ridimensionamento del welfare". A settembre il debito pubblico italiano ha toccato la cifra record di 3.081 miliardi di euro (+38,2% rispetto al settembre 2001).