Istat: tra il 2019 ed il 2024 i salari hanno perso il 10,5% del potere d'acquisto

Economia
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Introduzione

Nel nostro Paese le retribuzioni contrattuali hanno perso, considerando il lasso temporale che va dal 2019 al 2024, il 10,5% del potere d'acquisto a causa della forte crescita dei prezzi. È uno dei dati emersi dal Rapporto annuale dell'Istat che sottolinea però che per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente, ovvero quelle che tengono conto degli accordi aziendali e individuali e dei cambiamenti della composizione dell'occupazione, la perdita del potere d'acquisto "è stata più contenuta e pari al 4,4% in Italia", superiore al 2,6% della Spagna e all'1,3% della Germania.

Quello che devi sapere

La produttività del lavoro

  • L'Istat sottolinea che, nel 2024, nel settore privato dell'economia la produttività del lavoro si è ridotta del 2% e che la produttività del lavoro per occupato, sempre nello scorso anno, si è ridotta dello 0,9% e dell1,4% per ora lavorata "come risultato dell'espansione dell'occupazione maggiore rispetto a quella del valore aggiunto". Non solo, perché nel corso dell’anno l'occupazione è cresciuta dell'1,5% con 352mila unità in più, mentre i disoccupati si sono ridotti di 283mila unità con il tasso di disoccupazione sceso al 6,5%

Il potere d'acquisto

  • Il dato sulla produttività, ha spiegato ancora l’Istat, è legato in particolare alla composizione dell'occupazione che ha fatto segnalare una crescita del lavoro in settori ad alta intensità di occupazione e a bassa produttività, come il turismo e la ristorazione.   La perdita del potere d'acquisto per le retribuzioni contrattuale è stata rilevante soprattutto a fine 2022 quando ha raggiunto il 15% mentre è scesa nel periodo successivo toccando a febbraio l'8,7%. Poi, ancora, è risalita al 10% a marzo 2025. Guardando al reddito reale da lavoro per occupato (compresa quindi l'occupazione indipendente) l'Istat segnala che nel 2024 "è più elevato rispetto al 2014, anno di minimo dopo la grande recessione degli anni precedenti, ma più basso del 7,3% rispetto al 2004 (-5,8% per i dipendenti) per la perdita di potere d'acquisto dovuta all'inflazione con riduzioni per tutte le classi di età".

Il potere d'acquisto

Il reddito reale

  • In sostanza, il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto ma quello delle famiglie è cresciuto grazie al fatto che in molti casi è entrato in casa un secondo stipendio e che la famiglia odierna tende ad essere sempre meno numerosa.  

Il 23,1% della popolazione a rischio povertà

  • Nel rapporto è emerso ancora come in Italia quasi un quarto della popolazione, il 23,1%, sia a rischio povertà o esclusione sociale (+0,3 punti sul 2023). Al Sud la percentuale sale di un punto e tocca il 39,8%. Tale indicatore riguarda le persone che hanno almeno un fattore di rischio tra la povertà, cioè un reddito inferiore al 60% di quello mediano, una grave deprivazione materiale e una bassa intensità di lavoro. Il rischio di povertà, tra l’altro, cresce per gli individui che vivono in famiglie il cui principale percettore di reddito ha meno di 35 anni, dal 28,4% al 30,5% del totale).

Il 23,1% della popolazione a rischio povertà

Le difficoltà economiche a seconda del nucleo famigliare

  • Guardando alle caratteristiche familiari, spiega l'Istat, nel 2024 l'incidenza del rischio di povertà si conferma più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6%). Al contrario, l'incidenza diventa quasi doppia (30,5, in aumento dal 28,4% osservato nel 2023) per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni. Rispetto al 2023, l'indicatore aumenta anche per chi vive in coppia con almeno tre figli (+2,8 punti percentuali), per i monogenitori (+2,9 punti), e per gli individui con almeno 65 anni che vivono da soli (+2,3 punti). Per le coppie con uno o due figli, il rischio di povertà o esclusione sociale resta intorno al 19%, al di sotto della media nazionale (23,1%).  La grave deprivazione materiale e sociale presenta forti disuguaglianze territoriali: nel 2024, colpisce l'1,3 per cento della popolazione nel Nord-est e il 12,1 per cento nel Sud, a fronte del 4,6 della media nazionale. Anche le caratteristiche familiari influiscono molto: la quota sale al 7,9 per cento tra chi vive in coppie con tre o più figli e raggiunge l'11,4 nelle famiglie in cui il principale percettore di reddito è straniero, rispetto al 4,0 registrato tra le famiglie con percettore italiano. 

Nel 2024, -4% nella produzione industriale

  • Proseguendo nel rapporto emerge come nel 2024 la produzione industriale in volume (corretta per i giorni lavorativi) in Italia sia diminuita del 4% rispetto al 2023, quando già era calata del 2%. Per l'Ue a 27 Paesi si è avuta una riduzione del 2,4% mentre, fra le maggiori economie europee, la contrazione della produzione industriale nel 2024 ha riguardato soprattutto l'Italia e la Germania, dove il calo ha raggiunto il 4,6%, e solo marginalmente la Francia (-0,1%), mentre in Spagna si è avuto un aumento dello 0,5%.

Nel 2024, -4% nella produzione industriale

Lavoro, cresce l'occupazione

  • Nel 2024, come accennato, prosegue la crescita degli occupati la cui stima si attesta a 23,9 milioni (+352mila, +1,5% in un anno; +823mila, +3,6% rispetto al 2019). Nell’ultimo anno, oltre l’80% della crescita è dovuta all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre (+285mila, +3%). In generale, l’aumento riguarda sia uomini sia donne ma il divario di genere rimane stabile: il tasso di occupazione è 71,1% per gli uomini e 53,3% per le donne. Nel 2024 il tasso di occupazione cresce soprattutto tra gli individui di 45-54 anni (+1,3 punti percentuali in un anno) e, in misura leggermente maggiore, tra quelli di 55-64 anni (+1,7 punti). Più contenuto l’aumento per gli individui con età compresa tra 25 e 44 anni, mentre per i giovani di 15-24 anni il tasso di occupazione subisce un calo di 0,7 punti. L’aumento degli occupati riguarda solo i più istruiti: nel 2024 crescono solo gli occupati con diploma (+2,2%) o laurea (+3,7%), mentre calano quelli con al massimo la licenza media (-1,8%).

La rinuncia alle visite specialistiche

  • Ecco poi altri numeri. Nel 2024 un italiano su dieci (9,9%) ha riferito di avere rinunciato negli ultimi 12 mesi a visite o esami specialistici, specie a causa delle lunghe liste di attesa e per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie. La rinuncia a prestazioni vitali per la prevenzione e la cura è in crescita sia rispetto al 2023, quando era al 7,5%, sia rispetto al periodo pre-pandemico quando il dato era 6,3%, "soprattutto per l'aggravarsi delle difficoltà di prenotazione". Secondo il documento, nel 2024 la spesa pubblica per prestazioni sanitarie è salita a 130,1 miliardi dai 123,767 miliardi del 2023.

La rinuncia alle visite specialistiche

L'Italia invecchia, gli over 80 superano i bambini under 10

  • Un focus ancora, emerso dal rapporto. In Italia quasi un quarto della popolazione (il 24,7% pari a 14 milioni 573mila persone) ha più di 65 anni mentre ci sono quasi 4,6 milioni di persone che hanno superato gli ottanta anni. L’Istat, infatti, sottolinea come gli over ottanta abbiano ormai superato i bambini con meno di 10 anni di età (4 milioni 326mila). Se si guarda a 25 anni fa i bambini di questa età erano 2,5 volte gli over 80 mentre cinquanta anni fa il rapporto tra bambini e grandi anziani era 9 a uno. Gli individui con almeno 100 anni hanno superato all'inizio 2025 quota 23.500 unità, al massimo storico. I ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni e 19mila unità, meno della metà degli over 65. Al primo gennaio 2025 la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 934mila unità (-0,6 per mille sull'anno). Nel 2024 ci sono state 370mila nascite a fronte di 651mila decessi con un saldo naturale negativo per 281mila unità.

Natalità, negli ultimi 20 anni riduzione costante del numero di figli

  • Uno dei tratti distintivi della seconda transizione demografica è "la fecondità bassa e tardiva”. L'analisi per generazione dell’Istat permette di cogliere i cambiamenti nei comportamenti riproduttivi, al di là delle fluttuazioni di breve periodo. "Nel passaggio dalla generazione delle madri (1958) alle attuali quarantenni (figlie nate nel 1983) - si legge - raddoppia la quota di donne senza figli (dal 13% al valore stimato del 26%), con un picco di circa 3 donne su 10 nel Mezzogiorno. Parallelamente, si riscontra un'accentuata posticipazione dell'età alla nascita del primo figlio, che aumenta il rischio di avere un numero di figli inferiore alle attese o di non averne affatto. L'età media alla nascita del primo figlio è salita da 25,9 anni per le nate del 1960 a 29,1 anni per quelle del 1970, con un rinvio ancora maggiore nelle generazioni più recenti".

Natalità, negli ultimi 20 anni riduzione costante del numero di figli