Città in affitto (breve): come Airbnb cambia le nostre vite. La nuova puntata di Overview

Economia
Ambra Orengo

Ambra Orengo

Le piattaforme per gli affitti brevi hanno cambiato il turismo e, di conseguenza, le città che ne sono protagoniste. Agli impatti positivi in termini di accessibilità e ritorno economico, si aggiungono però le tante problematiche relative ai numeri: crisi abitativa, gentrificazione, overtourism e città “parco giochi”. Guardiamo alle due facce di questa questione e a chi prova a intervenire

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Chi di voi in vacanza ha affittato, almeno una volta, una casa? E chi, tramite Airbnb o una piattaforma simile, affitta il proprio appartamento? Invece, chi di voi ha dovuto cambiare casa perché quella in cui era in affitto è stata trasformata in un Airbnb? E quanti hanno dovuto trasferirsi fuori città perché in centro i prezzi sono diventati troppo alti? Se avete alzato la mano dopo almeno una di queste domande vi sarà chiaro: la questione degli affitti brevi e dei loro impatti su città, residenti e turisti ci riguarda, in qualche modo, tutti. 

I cosiddetti “affitti brevi” sono entrati nella nostra vita – e nelle nostre città - più di 15 anni fa. Era il 2007 quando due ragazzi accolsero per la prima volta tre ospiti nella loro casa di San Francisco: nasce così AirBed&Breakfast – noto come Airbnb – non l’unica piattaforma ma sicuramente la più famosa, sinonimo ormai di tutte le altre, come Booking o simili. L’idea era quella di affittare la “stanza in più”, guadagnando qualche soldo mentre si offre ai turisti un’esperienza più “autentica”. Negli anni, Airbnb è diventato un business con numeri astronomici: più di 8 milioni di annunci in tutto il mondo e 2 miliardi di check-in effettuati.

Non solo. In Italia, si stima che l’intero settore degli affitti brevi nel 2023 abbia registrato prenotazioni per circa 11 miliardi di euro. Nel nostro Paese si parla di “affitto breve” per un appartamento o una stanza quando la permanenza è fino a trenta giorni consecutivi. Gli obblighi per chi ospita non sono molti: ci sono quelli fiscali e quelli di registrazione. Tra questi, c’è anche la novità introdotta dal governo Meloni ed entrata in vigore a gennaio 2025: l’obbligo del CIN, il Codice Identificativo Nazionale, un metodo pensato per contrastare per lo più l’abusivismo. 

Ma vediamo in dettaglio di che numeri stiamo parlando, guardando a tre delle principali città turistiche italiane tramite il sito InsideAirbnb, una piattaforma indipendente che monitora e raccoglie gli annunci della piattaforma.

A Roma gli annunci pubblicati su Airbnb a dicembre 2024 erano 35.247. E anche guardando al dato “depurato”, tenendo cioè solo gli annunci recensiti di recente e prenotati con frequenza, si arrivava a quasi 15mila. Se invece si guarda a due delle principali piattaforme di ricerca casa online (Immobiliare.it e Idealista) si nota come gli affitti “normali” disponibili nella Capitale siano circa 3mila. A Milano gli annunci totali su Airbnb, sempre a dicembre 2024, erano 22.627. E nelle città d’arte non va meglio: Firenze con i suoi 12.703 annunci è un perfetto esempio di città il cui centro storico è, di fatto, in affitto. Ma non solo: gli affitti “normali” nella città di Firenze sulle principali piattaforme di ricerca sono poco più di mille. Mille contro 12mila. In più, è interessante notare come a Firenze l’83,7% degli affitti brevi riguarda interi appartamenti. Vi ricordate la storia dell’affittare la stanza in più, per offrire un’esperienza autentica? Spesso a gestire gli appartamenti sono agenzie specializzate che nemmeno incontrano chi entra in casa.

Guardando all’impatto degli affitti brevi negli anni è innegabile che questi abbiano contribuito ad abbassare il costo dei soggiorni, rendendo più accessibili i viaggi turistici. E più turisti significa anche un più vasto giro economico. Secondo uno studio di Nomisma – commissionato da Airbnb – gli affitti presenti sulla piattaforma avrebbero contributo all’economia italiana per quasi 8 miliardi nel 2023.

 

Il problema però è che “turismo”, in particolare nelle città, è sempre più sinonimo di overtourism, anche detto iperturismo. L’Enciclopedia Treccani ne dà questa definizione: “sovraffollamento turistico, concentrato in alcuni periodi dell’anno in città e siti famosi, che provoca o può provocare danni ai monumenti e all’ambiente, oltreché disagi per i residenti”. Danni e disagi, appunto. Tra questi, c’è la crisi degli affitti, ma anche lo spopolamento dei quartieri e la cosiddetta “gentrificazione” che trasforma alcune zone in luoghi esclusivi. Un processo che in passato colpiva più che altro i ceti popolari, e che oggi riguarda anche la classe media e soprattutto i giovani. 

Analizzando la crisi abitativa e le difficoltà di trovare case in affitto (e trovarle a prezzi accessibili) non è semplice stabilire con certezza l’impatto degli affitti brevi. Questo perché la presenza di altri fattori potrebbe influenzare l’aumento dei canoni. Diversi studi hanno però tentato una valutazione: un’analisi del 2023 del think tank Tortuga stima che a un aumento dell’1% di annunci Airbnb in una data zona corrisponda un aumento medio del 5,7% nel canone degli affitti. Senza contare poi i tanti affitti cosiddetti “medi” o “transitori”, cioè fino a 18 mesi che sottraggono ulteriori immobili dal mercato a lungo termine.

Da qui alle proteste il passo è breve. In decine di città, i residenti hanno iniziato a organizzare manifestazioni e sabotaggi contro le strutture affittate ai turisti. Più scenografiche e note sono le proteste contro i “locker”, i lucchetti contenenti le chiavi degli appartamenti che hanno colonizzato diversi quartieri delle città. Ma ci sono anche molti comitati, associazioni, gruppi di ricerca che si sono uniti per studiare il fenomeno e proporre soluzioni. 

Il professor Filippo Celata, docente di Geografia Economica alla Sapienza di Roma, da anni svolge ricerche sugli effetti delle piattaforme digitali su città, disuguaglianze e relazioni socio-spaziali. “Abbiamo disimparato a guardare le città come luoghi dell’abitare dal punto di vista della loro vitalità, della loro vivibilità, della loro diversità, dell’equilibrio tra gruppi sociali con esigenze diverse, come ad esempio quelle degli abitanti e quelle dei turisti”, ha spiegato a Sky Tg24, aggiungendo: “Il fenomeno degli affitti brevi ha assunto dei numeri decisamente enormi. Nessuno vuole demonizzarlo, il problema è quando i numeri superano determinate soglie e scatta l’allarme sociale”. Il professor Celata inquadra chiaramente i contorni di un fenomeno che, come si è detto all’inizio, riguarda tanti, se non tutti i cittadini, con interessi ed esigenze diverse. “Da un lato ci sono gli interessi del tutto legittimi dei proprietari di immobili di disporre delle proprie proprietà, ma dall’altro lato abbiamo anche l’interesse legittimo di chi è escluso da questi diritti di proprietà e vorrebbe una casa a costi accessibili. Il problema è politico: in un momento storico in cui abbiamo queste tensioni causate dalla crisi abitativa, quale interesse deve prevalere?”

Nel mondo alcune città hanno provato a rispondere a questa domanda ponendo dei limiti al diffondersi degli affitti brevi. A New York, ad esempio, a settembre 2023 è entrata in vigore la Local Law 18, assestando un colpo molto duro a Airbnb. Prevede che sotto i 30 giorni consecutivi si possano affittare solo stanze, a un massimo di due persone per volta e il proprietario deve essere presente in casa. Il numero delle prenotazioni è crollato, anche se gli effetti sul costo degli affitti a lungo termine restano al momento non chiari.

A Barcellona la stretta si preannuncia persino più severa: nel giugno 2024 il sindaco ha annunciato che la città non rilascerà né rinnoverà più nessuna licenza per gli appartamenti turistici. Le ultime licenze approvate scadranno nel 2028. Tradotto: dal 2029 Airbnb potrebbe scomparire del tutto dalla città, facendo tornare disponibili – ha detto il sindaco – circa 10mila appartamenti.

In Italia una Regione che sta cercando di porre un freno al diffondersi degli affitti brevi è la Toscana - Firenze in testa - ipotizzando una serie di limitazioni di zona, tempo e numero di annunci presenti nelle città. Una mossa però molto osteggiata dal governo, tanto che si è deciso di fare ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge regionale che prevede questi paletti. Una battaglia legale che si preannuncia lunga e decisiva per il futuro della regolamentazione in materia di affitti brevi.

 

Un fenomeno che sicuramente non è possibile – e forse nemmeno auspicabile - bloccare del tutto da un momento all’altro. Dall’altra parte, però, assistere al dilagare degli affitti brevi senza regolarli, significa lasciare i cittadini in balia di affitti troppo alti o assenti del tutto e di un iperturismo che trasforma intere zone in “parchi divertimento”, cambiando il tessuto sociale ed economico delle città. Città dove, tra l’altro, l’offerta di edilizia popolare è scarsa, mal gestita e poco accessibile. Se da un lato la regolamentazione è possibile, come dimostrano diversi esempi nel mondo, dall’altro, decidere di agire è quindi una scelta, come sempre, politica.

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