Dazi, quali sono le filiere a rischio in Italia? Dal vino ai formaggi, tutti i settori

Economia
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Introduzione

Il Centro studi di Confindustria ha presentato il rapporto sulle previsioni economiche per il 2025 e il 2026. L'analisi vede l'attesa per crescita in Italia frenare al +0,6% del Pil nel 2025 e accelerare al +1% nel 2026, ma avverte che potrebbe anche andare peggio: con una escalation della guerra dei dazi si fermerebbe al +0,2% quest'anno ed al +0,6% il prossimo. In evidenza il forte calo degli investimenti attesi, -0.8% nel 2026. Ecco il quadro generale

Quello che devi sapere

Il Pil nel 2025 e nel 2026: scenario migliore e peggiore

  • "Energia, green deal e dazi: gli ostacoli all'economia italiana e europea", è il rapporto del Centro studi di Confindustria che include le previsioni economiche di primavera ed evidenzia prospettive e segnali di allarme. Con le stime di primavera, come detto, il centro studi di Confindustria ha rivisto al ribasso dal +0,9 al +0,6% la previsione per il Pil 2025 e vede in crescita dell'1% il Pil 2026. Incide un clima di incertezza "al massimo storico" legato anche alla guerra dei dazi che "pesano come un conflitto commerciale". È lo scenario più favorevole: ipotizza che "l'impennata di incertezza duri per la prima metà del 2025" e "non include l'effetto di ulteriori dazi e contro dazi". Può anche andare molto peggio: "Lo scenario peggiore di un'eventuale escalation protezionistica" - avverte Confindustria - comporterebbe un ulteriore rallentamento del Pil con uno scostamento "del -0,4% nel 2025 e del -0,6% nel 2026", riducendo quindi la crescita attesa al +0,2% nel 2025 ed al +0,4% nel 2026   

Per approfondire: Pil 2025, Confindustria abbassa le stime a +0,6% a causa dei dazi Usa

Italia fra i Paesi più esposti ai dazi di Trump

  • I dazi di Donald Trump rischiano infatti di costare caro all'Italia: secondo molte analisi, è tra i Paesi europei più esposti alla stretta commerciale annunciata da Washington, insieme alla Germania

Export: in Europa solo la Germania esporta di più dell'Italia

  • L'export italiano negli Usa ha superato i 64 miliardi di euro nel 2024, secondo l'Osservatorio economico sui mercati esteri del Governo, con una crescita di oltre il 42% dal 2019 e un leggero calo rispetto al 2023. Tra i Paesi europei, solo la Germania esporta di più

Le imprese vulnerabili

  • Le imprese più a rischio, secondo l'Istat, sono 3.300 aziende che risultano "vulnerabili" rispetto agli Stati Uniti. Vendono soprattutto prodotti farmaceutici, prodotti meccanici come turboreattori e turbopropulsori, gioielleria, cibo, vino, olio e mobili

I settori più esposti

  • Il Centro studi Confindustria segnala che i settori dove le esportazioni americane pesano di più sono quelli delle bevande (negli Usa il 39% dell'export extra Ue), gli autoveicoli (30,7%), gli altri mezzi di trasporto (34%) e la farmaceutica (30,7%). Secondo la Svimez (Associazione per lo SViluppo dell'Industria nel MEZzogiorno) in caso di dazi al 20% l’agroalimentare, il farmaceutico e la chimica, rischiano una perdita delle esportazioni tra il 13,5 e il 16,4%. Quanto alla moda nel 2024, l'export verso gli Stati Uniti dei comparti calzaturiero, pelletteria, conceria e pellicceria, seppur in lieve flessione rispetto all'anno precedente, ha raggiunto un valore di quasi 3 miliardi di euro.

I prodotti alimentari

  • I prodotti alimentari soffrono per l'elevata dipendenza dall'export negli Usa. Il costo per le singole filiere sarebbe di quasi 500 milioni di euro solo per il vino, circa 240 milioni per l'olio d'oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi. I prodotti più “a rischio” Il Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna) registra un export negli Usa al 57% (quasi 151 milioni di euro) e che viene utilizzato soprattutto per insaporire le patatine in busta. Con eventuali dazi al 25%, il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi) si troverebbe costretto a rivolgersi ad altri prodotti caseari, magari meno buoni ma dal prezzo più conveniente. Ma non solo per i gusti, ci sarebbe una ripercussione anche per le tasche. La Coldiretti stima che con le tariffe sul cibo made in Italy i consumatori americani dovranno spendere fino a due miliardi di euro in più.  Il solo comparto di vini, spiriti e aceti italiani, ricorda Federvini, vale oltre 2 miliardi di euro di esportazioni verso gli Stati Uniti e coinvolge 40mila imprese e più di 450mila lavoratori

I danni per il settore agroalimentare

  • La mannaia statunitense preoccupa il settore dell'agroalimentare: per il presidente di Coldiretti Ettore Prandini il rischio "enorme" che corriamo è pari a "1,6 miliardi di esportazioni che rischiamo di perdere, soprattutto su alcuni settori come quello vitivinicolo". Secondo l'Unione italiana vini con i "sanguinosi dazi americani" il mercato dovrà "tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro l'anno"

I territori più coinvolti

  • Le regioni potrebbero essere colpite in modo differenziato dalle nuove tariffe. Per la Liguria, la Campania, il Molise e la Basilicata, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di sbocco. Mentre, in assoluto, sono Lombardia, Emilia Romagna e Toscana le regioni con più vendite oltreoceano (dati Istat 2023). In Toscana il 28% dell'export agroalimentare finisce negli Usa. Le filiera dell'olio e del vino sono tra le piu' esposte: il 42% dell'olio e il 33% dei vini toscani venduti all'estero raggiungono il mercato americano. Secondo la Cgia di Mestre, le regioni del Mezzogiorno – in particolare Sardegna, Molise e Sicilia – sarebbero le più a rischio, a causa della scarsa diversificazione delle loro esportazioni

“È il momento di cambiare passo”

  • "Gli Stati Uniti rappresentano un mercato strategico per molte nostre aziende e l'introduzione di dazi, anche solo come annuncio, ha già generato un clima di incertezza che scoraggia investimenti e programmazione", ha spiegato all'Ansa Vincenzo Briziarelli, presidente di Confindustria Umbria. "Veniamo da quattro anni in cui l'Europa ha intrapreso un percorso solitario, spesso scollegato dalle esigenze reali del proprio tessuto produttivo. Il green deal, per come è stato concepito e applicato, ha finito per penalizzare l'industria europea anziché accompagnarla in una vera transizione sostenibile. Oggi, con il ritorno delle misure protezionistiche annunciate dagli Stati Uniti, rischiamo un ulteriore colpo alla nostra economia", ha aggiunto. Per Briziarelli "è il momento di cambiare passo, atteggiamento e impostazione". "L'Europa - ha sollecitato - deve ritrovare un equilibrio: rivedere le politiche che hanno indebolito la manifattura, a partire da una rimodulazione del green deal che tenga conto della nostra leadership mondiale in efficienza e sostenibilità, e allo stesso tempo costruire un nuovo modus operandi con gli Stati Uniti, nostro storico alleato. Serve un dialogo strategico, un patto economico che salvaguardi tanto l'economia americana quanto quella europea, e che si fondi su valori e interessi comuni”

L’impatto complessivo

  • Nei mesi scorsi, alcune analisi hanno stimato quale potrebbe essere il possibile impatto di nuovi dazi statunitensi, in attesa di conoscere le misure effettivamente adottate. Svimez ha calcolato che dazi al 10% su tutti i prodotti porterebbero a un calo del Pil italiano dello 0,1%, una perdita di 27mila posti di lavoro e una riduzione del 4,3% dell'export. Nel caso di dazi al 20%, l'impatto sarebbe sostanzialmente il doppio. Una simulazione di Prometeia calcola un possibile costo per l'economia italiana tra i 4 a i 7 miliardi di euro, nelle ipotesi di un aumento dei dazi di 10 punti percentuali solo sui prodotti già sottoposti a tariffe o di una stretta analoga generalizzata

Orsini, presidente di Confindustria: "L'Europa cambi rotta"

  • "In momenti difficili come questo servono misure straordinarie e coraggio straordinario. Abbiamo bisogno che il nostro governo abbia coraggio e che l'Europa cambi rotta", avverte il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. Invoca "politiche serie che mettano al centro l'industria"

“L’unica risposta possibile sono gli investimenti”

  • "Dobbiamo soprattutto puntare un grande faro sul rallentamento negli ultimi mesi degli investimenti produttivi, proprio ciò che è stato il booster dell'economia italiana", avverte la vicepresidente di Confindustria con delega al centro studi, Lucia Aleotti: "Servono politiche per far ripartire in maniera esplosiva gli investimenti: non è la migliore risposta anche ai dazi ai americani, è l'unica risposta possibile". E "dobbiamo riuscire a convincere le imprese che l'Italia è il miglior Paese per investire, dobbiamo convincere a non spostare la base produttiva". Serve "una operazione di politica industriale straordinaria". La risposta alla guerra dei dazi deve anche essere quella di "rendere più attrattiva l'Europa" per le imprese, "di evitare una fuga negli Stati Uniti", rileva il direttore del Centro studi di Confindustria, Alessandro Fontana

Per approfondire: Dazi, Von der Leyen: “Colpo a economia, reagiremo". Fonti Ue: 15 aprile i primi controdazi