Dazi Usa, allarme dell'Istat: "Rischi rilevanti per l'Italia". Gli scenari per il 2025

Economia
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Introduzione

dazi voluti dal presidente americano Donald Trump aumentano le "probabilità di escalation" nelle tensioni commerciali e rischiano di provocare "effetti rilevanti" per l'Italia. È l'Istat a lanciare l'allarme sull'incertezza del contesto internazionale e sui conseguenti pericoli che corre il nostro Paese, che vende negli Usa oltre un quinto dell'export extra Ue.

Quello che devi sapere

Gli "effetti rilevanti" per l'Italia

  • "L'applicazione dei dazi preannunciati dall'amministrazione statunitense nei confronti dell'Ue potrebbe avere effetti rilevanti sul nostro Paese". È quanto suggerisce un'analisi realizzata dall'Istat in un focus contenuto nella nota sull'andamento dell'economia. Il timore che serpeggia, ben fotografato dall’Istituto, è quello che si arrivi a una vera guerra commerciale, tra annunci e minacce del presidente americano Donald Trump e contromosse europee allo studio. Non è un caso che questo tema è stato al centro del bilaterale tra il vicepremier e ministro degli esteri Antonio Tajani e il segretario di Stato Usa Marco Rubio a margine del G7 Esteri in Canada.

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Gli allarmi da Tajani a Lagarde

  • "Ho detto che bisognerà evitare qualsiasi guerra commerciale perché non fa bene a nessuno", ha spiegato Tajani, che spinge sulla strada del dialogo, anche a livello europeo. A mettere in guardia dal rischio di guerra commerciale anche la presidente della Bce, Christine Lagarde: "Tutto ciò avrebbe gravi conseguenze. Per la crescita in tutto il mondo e per i prezzi in tutto il mondo, ma in particolare negli Stati Uniti", ha sottolineato alla Bbc, indicando la necessità di essere "estremamente vigili". In ansia anche il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che deplora le decisioni di Trump e considera le tensioni commerciali con gli Usa "un'enorme minaccia" per tutti ma anche "un autogol" per Washington.

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Gli scambi con gli Stati Uniti

  • Come accennato, il nostro Paese potrebbe avere "effetti rilevanti" dai dazi. Il motivo è semplice: nel 2024, emerge dall’analisi dell’Istituto di statistica, oltre il 48% del valore dell'export italiano è stato indirizzato al di fuori dell'Ue (una quota superiore a quelle tedesca, francese e spagnola). Tra i principali partner commerciali, proprio gli Stati Uniti hanno assorbito circa il 10% delle vendite all'estero dell'Italia e più di un quinto di quelle di prodotti destinati ai mercati extra europei

Gli scenari del commercio globale

  • Le prospettive per il commercio globale, secondo l’Istat, "restano negative" e sono "ulteriormente aggravate" dalla possibile escalation delle tensioni commerciali e geopolitiche dovuta ai dazi americani. Nel 2024, l'Europa "ha fornito un contributo negativo alla crescita degli scambi internazionali, penalizzata dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalla debolezza dell'economia tedesca. Le esportazioni europee hanno segnato risultati particolarmente negativi nel settore automobilistico e in quelli dei prodotti chimici e farmaceutici che, dopo il forte aumento degli anni della pandemia di Covid-19, sono tornati ai trend normali", scrive l'Istituto

Un 2025 in chiaroscuro?

  • Ma cosa ci aspetta nel futuro prossimo? Come scrive l’Istat, nel 2025 in base alle stime del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) "la tendenza negativa dovrebbe invertirsi e l'Europa potrebbe tornare a fornire un contributo positivo all'andamento delle esportazioni e importazioni mondiali di beni in volume". Ma attenzione: "Sul futuro degli scambi europei pesano tuttavia numerosi rischi al ribasso", tra cui appunto "gli attriti commerciali internazionali e la possibile escalation delle tensioni geopolitiche che creerebbero nuovi ostacoli alle catene globali di distribuzione e approvvigionamento", afferma l'Istituto di statistica

I tre fattori di rischio

  • Entriamo nel dettaglio di questi "attriti" di cui parla l'Istat. "L'entrata in vigore, seppur ancora parziale, dei dazi statunitensi del 25% verso le importazioni di Canada e Messico, e l'ulteriore 10% imposto ai prodotti cinesi suggerisce una crescente probabilità di escalation nelle tensioni commerciali", che si aggiungono "alle preesistenti turbolenze geopolitiche e potrebbero incidere negativamente sulla domanda mondiale, l'inflazione e le catene globali del valore". Ma c'è un terzo fattore di rischio: "L'uso crescente di politiche industriali 'introverse' in molti Paesi e gli orientamenti protezionistici nella politica commerciale, soprattutto degli Stati Uniti, potrebbero influenzare negativamente la crescita del commercio nel breve e medio termine"

E l'inflazione?

  • "L'inflazione non è più il problema economico principale a livello internazionale, ma continua a rappresentare un rischio rilevante", osserva l'Istat, spiegando che "in questa fase, le pressioni al rialzo sui prezzi sono limitate ma non trascurabili e nuovi rischi inflazionistici, legati allo scenario economico e geopolitico, stanno emergendo".  Sulle future scelte di politica monetaria in Europa, analogamente a quelle negli Stati Uniti, "pesa l'incertezza associata al quadro internazionale che riduce la probabilità di ulteriori tagli nei prossimi mesi in entrambi i lati dell'Atlantico".

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Segnali di timore anche dagli Usa

  • Se l’Europa ha paura, qualche segnale di timore arriva anche dagli Usa. L'economia americana mostra sì un "lieve" e "diffuso dinamismo", con un “cauto ottimismo delle imprese”, ma "vi sono timori che l'entrata in vigore dei dazi possa innescare aumenti dei costi e ridurre i margini di profitto". Peraltro, la fiducia dei consumatori negli Stati Uniti è ulteriormente calata questo mese, precipitando dal 64,7 di febbraio al 57,9, molto più debole delle aspettative di 63,2: si tratta del livello più basso da luglio 2022 e il terzo calo in altrettanti mesi. Un trend che, scrive il Wall Street Journal, riflette proprio il crescente disagio per la politica tariffaria del presidente Trump e la possibile salita dell'inflazione. Le cui aspettative per l'anno in corso sono balzate al 4,9%, dal 4,3% del mese scorso, la percentuale più alta dalla fine del 2022.

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