Affitti, sale il peso del canone sui redditi da lavoro: i dati sulle città italiane

Economia
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Introduzione

Aumenta dal 31,6% al 35,2% il peso dei canoni degli affitti nei capoluoghi di provincia rispetto agli stipendi, superando il limite del 40% in sei centri, tra cui Firenze, Roma e Bologna. “Non si può pensare che un affitto superi il 25-30% dello stipendio che prendono i giovani”, ha dichiarato il presidente di Confindustria Emanuele Orsini.

 

Cresce anche il peso sul reddito del canone concordato, che sale dal 27,5 al 29% negli ultimi cinque anni con punte di oltre il 30% in 15 capoluoghi. I rincari, però, non colpiscono tutti i centri: Pescara evidenzia un calo di 126 euro al mese, mentre Venezia si ferma a 72 euro.

Quello che devi sapere

Il canone dell’affitto

  • L’affitto zavorra gli stipendi. La quota di spesa sul budget mensile da riservare al pagamento dell’affitto non dovrebbe superare il 25-30% ed essere un pochino più bassa di quella che idealmente andrebbe riservata al mutuo, visto che i canoni sono spese a fondo perduto e le rate no. Eppure, i canoni sono in proporzione molto più elevati di quanto dovrebbero essere, come ha rilevato di recente il neopresidente di Confindustria Emanuele Orsini, che ha dichiarato: “Non si può pensare che un affitto superi il 25-30% dello stipendio che prendono i giovani”, rilanciando la proposta di un “piano casa”

 

Per approfondire: Affitti, cresce il costo medio in tutta Italia: a sorpresa Milano non è al primo posto

Il peso del canone aumenta

  • Tra il 2018 e il 2023 il peso medio del canone sui redditi da lavoro dipendente nei capoluoghi di provincia è passato dal 31,6% al 35,2%. Come evidenzia Il Sole 24 Ore, supera il 40% in sei città, da Firenze (46,5%) a Roma (41,5%) e Bologna (40,2%). A Milano la quota è del 37,4%. Il dato si riferisce ai nuovi contratti a canone libero registrati ogni anno presso le Entrate

Aumenta la pressione del canone

  • L’incrocio dei dati Omi (Osservatorio del mercato immobiliare) con le statistiche fiscali delle Finanze mostra che dal 2018 la pressione dei canoni liberi sulle buste paga dei residenti è salita in media del 3,6 per cento, registrando significativi picchi a Vicenza (+8,5%), Bologna e Milano (entrambe al 6,3%)

Il canone concordato

  • E il canone concordato? Cresce con un peso sul reddito salito dal 27,5 al 29% negli ultimi cinque anni e 15 capoluoghi oltre il 30%. Il problema, però, è che il canone concordato ha mercato a condizione che l’affitto sia almeno l’85% di quello che si ricaverebbe a canone libero: solo con uno sconto inferiore al 15% infatti il beneficio fiscale (cedolare al 10 anziché al 21%, riduzione di un quarto dell’Imu) e la minor durata ne giustificano il ricorso

Il canone concordato nelle città

  • Differente la situazione relativa al canone concordato nei grandi centri. Ad esempio, a Milano sono solo il 5,9% sul totale, un valore non molto diverso dal 2018 (-0,4%), mentre a Roma sono il 71,2%, in crescita del 17,2% rispetto a cinque anni. Crescono in modo significativo anche a Napoli, dove oggi sono il 51, 7% (+24,7% rispetto al 2018)

A Milano e Roma

  • A Milano il canone mensile ricavabile per una casa media partendo dai numeri dell’Agenzia è di 1.122 euro. A questo si arriva sapendo che dalle statistiche ufficiali in città la casa media affittata è 69,3 metri quadrati e il canone annuo di 194,2 euro al metro quadrato
  • Diversi i dati per la Capitale, dove la dimensione media è di 79,2 metri e il canone annuo di 142,3 euro al metro quadro. Il canone mensile è di 947 euro al mese

Aumenti, ma non dappertutto

  • La stagione degli aumenti non ha comunque colpito in modo uniforme tutti i 97 capoluoghi esaminati. Anzi, in 13 centri l’importo medio dei nuovi canoni registrati è diminuito: dal record di Pescara (-126 euro al mese) fino al “caso Venezia” (-72 euro). I numeri possono avere differenti spiegazioni, anche legate a fenomeni locali, come un calo dei residenti o un raffreddamento generale della domanda

I canoni si adattano all’inflazione

  • È interessante vedere come i canoni portati a conoscenza del Fisco si sono effettivamente adeguati rispetto all’inflazione. Nel 2018 la mensilità media nei capoluoghi era 615 euro; l’anno scorso è stata di 731 euro. Se l’incremento fosse stato identico all’inflazione rilevata dall’Istat a livello nazionale, quest’ultimo importo si sarebbe fermato a 715 euro. Insomma, le nuove locazioni sono rincarate più dell’indice generale dei prezzi, un fenomeno spiegato anche dalla corsa agli affitti brevi e dalla ripresa della domanda da parte degli studenti universitari nel periodo post Covid

La cedolare secca

  • Da questa tornata di rincari sono usciti indenni gli inquilini con locatori che hanno scelto la cedolare secca, perché l’applicazione della flat tax sospende la possibilità di aggiornare il canone all’inflazione. Secondo gli ultimi dati disponibili, i contribuenti che hanno optato per la cedolare sono 2,79 milioni, a fronte di 3,65 milioni di case locate da persone fisiche. Insomma, la tassa piatta, spesso accusata di essere troppo costosa per le casse pubbliche, sembra aver offerto a molti conduttori un'inaspettata protezione dopo anni di inflazione vicina allo zero

I redditi sul territorio

  • A sbilanciare il rapporto canone-reddito può essere anche l’andamento delle buste paga. I redditi da lavoro dipendente dichiarati nel 2023 (anno d’imposta 2022) sono aumentati del 6,5% in valore nominale rispetto al 2018. Questo incremento, che pure non ha assorbito l’inflazione, ha attutito il rincaro dei canoni nei Comuni dove il reddito è cresciuto di più

 

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