Riforma del patto di stabilità, i tre elementi da considerare

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Renato Coen

Renato Coen

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L’idea è quella di riformare un sistema di regole rendendole più ragionevoli ed elastiche, invece che rigide e di fatto inosservabili. Il patto di stabilità, cioè questo insieme di regole, è stato sospeso nel 2020 a causa della pandemia e la sospensione si è protratta per i successivi tre anni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica

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L’impressione è che entro la fine della prossima settimana un accordo verrà trovato. E che quindi l’Unione europea riuscirà a riformare quelle regole di bilancio che ogni Paese dovrebbe rispettare per far parte dell’Unione. I parametri più noti ai quali ogni membro Ue dovrebbe tendere sono quelli del rapporto tra deficit e Pil, che dovrebbe rimanere entro il 3% e del rapporto tra debito pubblico e Pil, dove il primo non dovrebbe superare il 60% del secondo.

Obiettivi e parametri

Come noto, buona parte dei Paesi europei non solo non riesce a rispettare questi criteri, ma neanche riesce a dar luogo a politiche economiche che osservino le continue raccomandazioni della Commissione che chiede continuamente di rientrare all’interno di questi parametri. Per chi ha un rapporto debito/Pil particolarmente alto, come ad esempio l’Italia, le regole attuali prevedono che ogni anno debba ridurre di un ventesimo il suo disavanzo. Operazione mai riuscita dal nostro Paese.

L’idea è quindi quella di riformare un sistema di regole rendendole più ragionevoli ed elastiche, invece che rigide e di fatto inosservabili. Il patto di stabilità, cioè questo insieme di regole, è stato sospeso nel 2020 a causa della pandemia e la sospensione si è protratta per i successivi tre anni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica.

Cosa succederà

Dal 1 gennaio 2024 però il patto tornerà in vigore e la Commissione europea ha presentato mesi fa una sua proposta di riforma che, appunto, nelle sue intenzioni dovrebbe consentire a ciascuno Stato un percorso di rientro su misura e spalmato nel tempo. La proposta della Commissione deve però essere approvata ed eventualmente modificata dai 27 Stati membri che devono decidere entro fine anno.

E come sempre in Ue è iniziato il braccio di ferro tra chi vuole più elasticità, la possibilità di spendere di più, ed un percorso di rientro del debito più lungo, Italia in primis, e chi si preoccupa della tenuta dei conti e del rispetto delle regole di bilancio per non dover affrontare una nuova crisi del debito, Germania ed Olanda sono tra i capifila di questi ultimi.

L’Italia chiedeva che le spese per la transizione green e digitale e quelle militari non fossero conteggiate nel calcolo di debito e deficit, così come gli investimenti del Pnrr, questo però non sembra possibile. Ciò a cui punta il nostro Paese, facendo sponda con la Francia è che queste spese contribuiscano ad una maggiore benevolenza da parte della Commissione Europea quando ci sarà da discutere il rientro nei parametri richiesti.

D’altra parte, sembra acquisito il metodo personalizzato di rientro negoziato da ogni singolo paese con Bruxelles. Non è chiaro però se i Paesi più rigoristi accetteranno che il tempo di rientro nei parametri possa arrivare a sette anni, come previsto dalla Commissione e caldeggiato anche dall’Italia.

I tre elementi da valutare

Inutile soffermarsi sui singoli dettagli che saranno frutto di trattative nelle prossime ore e giorni. È importante invece constatare alcuni elementi che giocheranno un ruolo vitale nei negoziati.

Primo. Sembra che tutti vogliano arrivare ad un accordo. I rigoristi, perché giustamente constatano che, così com’è, il Patto non funziona e in troppi non lo rispettano. Chi è indebitato, perché giudica la riforma in discussione in ogni caso migliore e meno rigida delle regole attuali.

Secondo. La Germania, che ha ovviamente un ruolo centrale, sconta la crisi del partito liberale che è al governo e sta perdendo consensi. Il suo leader, Lindner, è il ministro delle finanze, e per recuperare i voti persi è tornato su posizioni molto rigide nonostante la crisi economica e la recessione che ha investito il suo paese.

Terzo. Molti Stati, tra cui l’Italia, hanno concesso bonus e contributi pubblici durante questi anni di crisi che necessariamente peseranno ancora sui bilanci pubblici, impedendo un abbassamento del debito a breve termine.

Saranno lunghissime e complesse ore di negoziati, sia nelle riunioni dei ministri delle finanze sia in quelle tra i capi di governo. Certamente dopo anni di allentamento delle regole e dopo l’esperienza del Recovery Fund che per la prima volta ha concesso ai singoli Paesi soldi finanziati da debito comune, ora i Paesi nordici hanno molti argomenti per chiedere che, dopo un periodo di maglie larghe, si torni a dare attenzione al rigore dei conti pubblici.

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