Manovra 2024, ipotesi mutui e affitti nei fringe benefit: come potrebbe funzionare?
Secondo indiscrezioni, nel quadro dei compensi non monetari che il datore di lavoro può riconoscere ai dipendenti potrebbero rientrare anche i costi sostenuti per il pagamento dell’affitto o del mutuo relativo alla prima casa. Ci sono però delle norme già esistenti da valutare, che non semplificherebbero l’attuazione della misura
- Fra i tanti temi toccati dalla Manovra 2024 del governo Meloni ci sono i fringe benefit per i lavoratori dipendenti. La Legge di Bilancio rivede gli importi per il prossimo anno: 2mila euro per i lavoratori con figli fiscalmente a carico e a mille euro per tutti gli altri
- La Manovra 2024 conferma anche la possibilità per i dipendenti di avere il rimborso delle spese per le utenze domestiche di luce, gas e acqua
- Tuttavia secondo indiscrezioni potrebbe esserci una novità nella Legge di Bilancio: spunta l’ipotesi che possano essere inseriti anche i costi sostenuti per il pagamento dell’affitto o del mutuo relativo alla prima casa
- La novità dovrebbe riguardare l’articolo 6 della Manovra e, per quanto riguarda la parte del mutuo, si tratterebbe di un rimborso della quota di interessi. Non sarebbe quindi coperta l’intera rata, a causa dei continui rialzi dei tassi d’interesse
- Per quanto concerne invece l’affitto, la somma erogata dal datore di lavoro dovrebbe coprire l’intera somma del canone della prima casa. Va ricordato che, in ogni caso, la legge esclude l'obbligo di corrispondere il benefit ai dipendenti: l’erogazione resta una facoltà del datore di lavoro
- Come spiega Il Sole 24 Ore, la misura sugli affitti è una novità assoluta, mentre per applicare quella riguardante i mutui andranno valutate due norma già esistenti: l’articolo 51, comma 4, lettera b) del Tuir e la risoluzione 46/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate
- L’articolo 51, comma 4, lettera b) del Tuir, spiega il quotidiano, “stabilisce un criterio di determinazione forfettaria del valore imponibile che, in caso di concessione di prestiti da parte del datore di lavoro – ivi inclusi, quindi, i mutui prima casa – è pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato al lavoratore, al netto del contributo aziendale”
- La risoluzione 46/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate invece contiene indicazione sulla gestione di questo tipo di benefit, in particolare il fatto che la somma erogata dal datore di lavoro debba essere accreditata sul conto corrente di addebito del prestito nella stessa data in cui la rata viene addebitata
- Si tratta di due norme che rischiano di rendere complicata la realizzazione della misura sui mutui. La prima perché in balìa dei tassi sempre crescenti di questo periodo, la seconda soprattutto in relazione ai mutui a tasso variabile: prima dello scadere di ogni rata il datore dovrebbe aggiornare l’importo del contributo e fare il calcolo dell’eventuale quota imponibile da indicare nel cedolino
- Inoltre, spiega Il Sole 24 Ore, “poiché il tasso ufficiale di sconto da prendere a riferimento è quello di fine anno, nel caso in cui quest’ultimo dovesse aumentare in corso d’anno, come detto, il datore di lavoro si troverebbe costretto a ricalcolare la quota imponibile utilizzando detto tasso e ad effettuare il conguaglio e le opportune ritenute fiscali e contributive”