Reddito di cittadinanza, il sottosegretario Durigon: “Tre anni, poi stop”. Cosa cambia
L’esponente del governo Meloni ha detto che “siamo ancora nella fase di studio” della riforma del sostegno, ma a più riprese membri dell’esecutivo hanno paventato cambiamenti nella prossima legge di Bilancio
Uno dei temi caldi, in vista della prima Manovra del governo Meloni, è quello del Reddito di cittadinanza: la coalizione di centrodestra già in campagna elettorale aveva promesso un intervento sulla misura, e le recenti dichiarazioni del sottosegretario al Lavoro hanno riportato l’attenzione sul tema
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“Siamo ancora nella fase di studio. Abbiamo proposto di non estenderlo più a vita ma con una tempistica precisa per chi è abile al lavoro: 18 mesi di reddito con sei mesi di stop con formazione e inserimento nel mondo del lavoro, poi un decalage di 12 mesi. Arriviamo a un percorso di 36 mesi di reddito e poi si esce”, ha detto il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon
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Secondo l’esponente del governo Meloni, che ha parlato delle ipotesi di riforma del reddito di cittadinanza a cui si sta lavorando in vista della prossima manovra, "la parte assistenzialistica ha avuto una grande funzione", ma il reddito è stato "un vero fallimento per gli abili al lavoro"
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Anche il ministro delle Infrastrutture e vicepremier, Matteo Salvini, nei giorni scorsi è intervenuto sul tema: "Nella prossima manovra ci sarà una dovuta revisione di uno strumento che era stato pensato per creare lavoro ma che invece disincentiva il lavoro e penso al Rdc che va lasciato a chi non può lavorare ma non può essere strumento di disincentivo al lavoro"
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Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, aveva poi spiegato: “Chi ha tra i 18 e i 59 anni, senza minori a carico, ed è in grado di lavorare perderà l'assegno legato al Reddito di cittadinanza, anche se non immediatamente. Lo manterranno, invece, gli invalidi, chi è in difficoltà, chi ha minori a carico senza avere adeguati mezzi di sostentamento"
Fazzolari, considerato uno degli esponenti dell’esecutivo più vicino a Giorgia Meloni, aveva ribadito che “chi non può lavorare non può essere trattato come chi può. Chi non può lavorare va tutelato anche di più di oggi. Chi può lavorare va incentivato. Per questo ridurremo la platea dei percettori del Reddito di cittadinanza”
Durante la campagna elettorale, nel programma elettorale di Fratelli d’Italia era previsto di “abolire il Reddito di Cittadinanza per introdurre un nuovo strumento che tuteli i soggetti privi di reddito, effettivamente fragili e impossibilitati a lavorare o difficilmente occupabili: disabili, over 60, nuclei familiari con minori a carico"
A difendere, invece, il reddito di cittadinanza è stato nei giorni scorsi il Presodente dell’Inps: Pasquale Tridico ha ricordato in una intervista al Fatto Quotidiano che da aprile 2019 a oggi ad aver ricevuto il sostegno sono stati “2,24 milioni di nuclei familiari per un totale di oltre 5 milioni di persone, con un importo medio attualmente di circa 550 euro per nucleo e una spesa totale di circa 8 miliardi l'anno”
Sul tema dell’inserito nel mondo del lavoro, Tridico ha aggiunto: “Il 20% dei percettori lavora, sono working poor a cui viene integrato il reddito, percentuale aumentata rispetto al 2019, quando era del 18,5%. Inoltre, il profilo dei percettori nel 70% dei casi è costituito da persone con bassa istruzione, spesso difficili da allocare sul mercato, un mercato che per buona parte dell'ultimo triennio è stato bloccato da pandemia e crisi"
“Senza il Reddito di cittadinanza rimarrebbe solo la Caritas…”, aveva sottolineato Tridico. “Esiste la Naspi per chi perde il lavoro, per un massimo di 2 anni. Ma ricordiamoci sempre che il Rdc oggi per i due terzi viene dato a persone che non possono lavorare (anziani, disabili, minori), o non hanno mai lavorato, o non hanno una storia contributiva recente"
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