Guerra in Ucraina, governo studia alternative a gas russo

Economia

Simone Spina

Cosa accadrebbe se Mosca chiudesse il rubinetto del gas? Si tratta di uno scenario al momento lontano e che non si è mai verificato in passato. Le forniture dalla Russia finora non hanno subito scossoni, sebbene dall’inizio dell’anno siano calate rispetto ai livelli passati. Se però il flusso s’interrompesse, o scendesse sensibilmente, per esempio come ritorsione contro le sanzioni internazionali per la guerra in Ucraina, l’Italia si troverebbe in difficoltà

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Circa il 45 per cento del gas che importiamo proviene dalla Russia. E metà dell’energia elettrica in Italia la facciamo bruciando metano. Ecco perché il governo sta studiando un piano per garantire al Paese l’energia necessaria nel caso in cui si riducessero i flussi da Mosca.

Taglio dei consumi e ricorso agli stoccaggi 

La prima cosa che viene in mente è un taglio dei consumi: è stato fatto nel 2006, quando venne ridotto per alcuni tipi di industrie e per il riscaldamento. Altra possibilità è quella di attingere a quello che c’è nei depositi. Gli stoccaggi sono pieni al 40 per cento (più della media europea) e siamo a fine inverno, quindi se ne può conservare meno per scaldare le case (ora utilizziamo questa fonte per oltre il 20% delle nostre necessità). Queste due opzioni sono quelle più a portata di mano. 

Più gas da altri fornitori

Le altre strade a disposizione sono più complicate e costose. A partire da quella di comprare altro gas dai nostri fornitori, come Algeria, Tunisia e Libia. Dal nord Africa il metano arriva direttamente via tubo, così come quello dall'Azerbaijan, a cui Palazzo Chigi intende rivolgersi per aumentare gli approvvigionamenti. Ma in tempi brevi è difficile avere grandi quantità a disposizione. Stesso discorso per la promessa degli Stati Uniti (primo produttore al mondo) di darci più gas liquefatto, che però richiede degli impianti appositi e al momento di questi ne abbiamo solo tre.

Riapertura centrali a carbone

Potrà essere necessario – ha detto Mario Draghi - riaprire le centrali a carbone: sono quattro quelle attive, altre cinque o sei si possono riaccendere ma ci vuole un mese. Si possono fare andare a petrolio (con costi più alti) nel giro di una settimana alcuni impianti a metano, mentre per riattivare quelli vecchi servono trenta giorni. Più tempo (circa sei mesi) per aumentare l’estrazione di gas dai nostri giacimenti e un anno per avere risultati apprezzabili producendo più energia da fonti rinnovabili.

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