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Pensioni, il rebus delle modifiche alla riforma Fornero

Economia

Simone Spina

Governo e sindacati a confronto per dare maggiore flessibilità sull’uscita dal lavoro, in pratica prima dei 67 anni ma con penalizzazione dell'assegno. Il tutto con un rigido vincolo: la sostenibilità per le casse pubbliche

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Un sistema meno rigido per andare in pensione. Ruota intorno a questo obiettivo il compromesso che si cerca per riformare la previdenza. Esistono già diversi sistemi per anticipare quella che è la norma, cioè i 67 anni di età per lasciare il lavoro, ma si tratta di misure temporanee o riservate a categorie specifiche.  

Governo e sindacati puntano, invece, a trovare una soluzione una volta per tutte, senza bisogno di espedienti a tempo, come la nuova Quota 102, valida solo quest’anno per chi ha almeno 64 anni e 38 di contributi.

C’è però un vincolo rigido: la tenuta dei conti pubblici. Lo ha detto più volte Mario Draghi: si possono pensare modifiche ma non si possono mettere a repentaglio le casse dello Stato.

La riforma Fornero del 2011 nel suo impianto dunque non sarà rivoluzionata. Era nata per salvaguardare le finanze, ma i sindacati sottolineano come i risparmi siano stati inferiori a quelli stimati (80 miliardi contro 117) e analoga osservazione viene fatta per l’ormai defunta Quota 100 (sono stati spesi 11 miliardi sui 18 preventivati).

Forti anche di questo ragionamento, Cgil, Cisl e Uil propongono che si permetta di lasciare il lavoro a partire dai 62 anni o con 41 anni di versamenti a prescindere dall'età.

Dal punto di vista di Palazzo Chigi, una maggiore flessibilità sarebbe però economicamente sostenibile se l’uscita avvenisse con un assegno calcolato solo in base ai contributi versati fino a quando non si raggiungono i 67 anni.

Ma tutto ciò comporterebbe un robusto taglio (di circa il 20 per cento) dell’assegno rispetto a quanto si prenderebbe se si rimanesse più a lungo al lavoro.

Nel menu del cantiere pensioni c’è anche altro: dall’estensione dell’anticipo per chi ha svolto lavori usuranti (l’Ape Sociale), a un sistema per garantire pensioni dignitose ai giovani, che spesso hanno carriere precarie e frammentate.