
Ocse, in Italia in futuro si andrà in pensione a 71 anni: tra le età più alte nel mondo
L'età futura pensionabile è la stessa di Paesi Bassi ed Estonia. Ancora più alta in Danimarca (74 anni). La spesa per gli assegni previdenziali italiani è la seconda più alta dell'area Ocse: nel 2019 era il 15,4% del Pil. A ottobre torna leggermente a salire la disoccupazione

Chi in Italia ha iniziato a lavorare da poco andrà in pensione più tardi rispetto alla maggioranza degli altri Paesi del mondo. D’altra parte, gli assegni previdenziali elargiti oggi, se confrontati con quelli di altri Stati, sono tra i più pesanti sulle casse dello Stato. È quanto emerge dal rapporto "Pensions at a Glance" stilato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che analizza i sistemi pensionistici di diversi Paesi
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L’ETÀ PENSIONABILE – “Il requisito di futura età pensionabile”, si legge nel report, in Italia è tra i più alti d’Europa: 71 anni, contro una media Ocse di 66 anni “per la generazione che accede adesso al mercato del lavoro”
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Tra gli altri Paesi in cui si andrà in pensione più tardi, anche Danimarca (74 anni), Estonia e Paesi Bassi (entrambi a 71 anni, come l’Italia)
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In Italia, in Estonia e nei Paesi Bassi “tutti i miglioramenti dell’aspettativa di vita vengono automaticamente integrati all’età pensionabile”. L’Ocse ricorda però come il sistema italiano abbia messo a punto “diverse opzioni disponibili per andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista dalla legge”, che “abbassano l’età media di uscita dal mercato del lavoro, pari mediamente a 61,8 anni, contro i 63,1 della media” Ocse
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ETÀ PENSIONABILE E SPERANZA DI VITA – L’Italia è uno degli Stati dell’area Ocse che collegano l’età pensionabile fissata dalla legge alla speranza di vita. Nei regimi Ndc (Notional Defined Contribution, in pratica quelli contributivi) questo legame, spiega l’Ocse, “non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e a promuovere l'occupazione in età più avanzata”
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Negli ultimi due anni, tuttavia, sono state estese le opzioni di pensionamento anticipato, “fornendo una soluzione al legame tra età pensionabile e aspettativa di vita”. Si tratta di Quota 100 e Quota 102. Tra il 2019 e il 2021, con il primo sistema, si è potuti andare in pensione a 62 anni, avendo versato 38 anni di contributi, in anticipo di cinque anni rispetto all’età pensionabile fissata dalla legge

L’opzione di pensionamento anticipato dovrebbe essere prolungata anche per il 2022, elevando tuttavia l’età a 64 anni (Quota 102). Secondo l’Ocse, Quota 100 “ha facilitato l’accesso ai diritti pensionistici”. In precedenza, si poteva andare in pensione prima di quanto previsto solo se si erano versati 42,8 anni di contributi per gli uomini e 41,8 anni per le donne. Oltre all’Italia, è solo la Spagna a permettere, prima di aver raggiunto l’età legale per le pensioni, di accedere a diritti previdenziali pieni con meno di 40 anni di contributi

LA SPESA PENSIONISTICA – Nel 2019 la spesa italiana per le pensioni è stata il 15,4% del Pil, la seconda più alta dei Paesi Ocse. Il motivo è “la concessione di benefici relativamente alti a pensionati giovani”

LE PENSIONI DELLE LAVORATRICI AUTONOME – Le pensioni delle lavoratrici autonome sono tra le più basse dei Paesi dell’area Ocse. In Italia, una donna che inizia a lavorare a 27 anni e rimane disoccupata per 10 anni durante la sua vita professionale, riceve un assegno del 27% inferiore a quello di una lavoratrice a tempo pieno. La media degli altri Paesi Ocse è del 22%

L'Ocse analizza la situazione dei lavoratori autonomi in generale. "Poiché le aliquote contributive dei lavoratori autonomi sono inferiori di un terzo rispetto a quelle dei dipendenti - sottolinea l'organizzazione - i lavoratori autonomi possono aspettarsi pensioni inferiori di circa il 30% rispetto a quelle dei dipendenti con lo stesso reddito imponibile per tutta la carriera: la media Ocse è del 25% più bassa"

DISOCCUPAZIONE IN CRESCITA – Oltre all'analisi sulle pensioni, l'Ocse ha rilasciato anche i dati relativi alla disoccupazione. In generale, nell’area di riferimento dell’Organizzazione, il tasso è sceso costantemente negli ultimi sei mesi, raggiungendo il 5,7% della popolazione nel mese di ottobre (a settembre era al 5,8%). Non si può dire lo stesso guardando ai dati della sola Italia, dove da settembre a ottobre si è passati dal 9,2 al 9,4%
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Il picco di disoccupazione si è registrato nell’aprile 2020. Il calo dei numeri rispetto a quel periodo, sottolinea l’Ocse, va comunque interpretato con cautela perché “riflette in gran parte il ritorno dei lavoratori in cassa integrazione negli Stati Uniti e in Canada, dove sono registrati come disoccupati, a differenza della maggior parte degli altri Paesi, compresi gli Stati membri europei, dove sono registrati come occupati"
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Il tasso di disoccupazione può poi nascondere un ulteriore rallentamento del mercato del lavoro. Alcune persone non occupate possono essere “fuori dalla forza lavoro”, non essere in grado di cercare attivamente lavoro, o ancora non essere disponibili a farlo. Guardando all’area Euro, a ottobre si è registrato un miglioramento (dal 7,4 al 7,3%), trainato da Grecia (al 12,9%, dal 13,1%), Lituania (al 6,5%, dal 6,7%), Lussemburgo (al 5,1%, dal 5,3%) e Paesi Bassi (al 2,9%, dal 3,1%)
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Al contrario, i maggiori aumenti sono stati osservati in Austria (al 5,8%, dal 5,2%) e in Italia (al 9,4%, dal 9,2%). Sempre a ottobre, il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,6 punti percentuali in Australia, al 5,2%, vicino al tasso pre-pandemia. Così anche in Colombia (al 13,0%, dal 12,7% di settembre) e in Corea del Sud (al 3,2%, dal 3,0%), ma è diminuito in Canada (al 6,7%, dal 6,9%), Israele (al 5,0% dal 5,1%), Giappone (al 2,7%, dal 2,8%) e Stati Uniti (al 4,6%, dal 4,8%)