La Commissione europea apre ai sussidi degli Stati membri per la produzione di semiconduttori, di cui oggi è quasi priva. Claudio Campanini, amministratore delegato di Kearney Italia, spiega a che punto è l'Europa sulla produzione di microchip. IL VIDEO
"Ci saranno delle salvaguardie per fare in modo che questi aiuti di Stato siano necessari, appropriati, proprozionati e, ovviamente, che l'alterazione sulla concorrenza sia limitata", ha poi precisato Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione europea. "I benefici devono essere condivisi ampiamente e senza discriminazione tra l'economia europea. Ogni caso sarà rigorosamente valutato". L'obiettivo di Bruxelles, nell'ambito dello European Chips Act, è arrivare al 20% della capacità produttiva globale di semiconduttori entro il 2030. Un target ambizioso, considerando che negli ultimi anni questa capacità è scesa considerevolmente, fino ad arrivare all'8% (nel 2000 era il 20%). E non è il dato peggiore. "Sui microchip di nuova generazione (quelli sotto i 10 nanometri) l'incidenza di Taiwan è pari al 60%, il rimanente è Corea del Sud e Usa, quindi c'è una dipendenza quasi totale da altri mercati. Su queste componenti, la produzione dell'Europa oggi è a zero", spiega Claudio Campanini, amministratore delegato di Kearney Italia, a Sky TG24 Business.
Si tratta di microchip sofisticati, "quelli, ad esempio, che vanno all'interno delle auto e che saranno fondamentali per i cosiddetti "sistemi Adas", legati alla guida autonoma", chiarisce il numero uno della società di consulenza. Tesla lo sa, tanto che "sta facendo un investimento pari a 6 miliardi di euro, equivalente a quello che ha avviato di recente nello stabilimento produttivo a Berlino". Bruxelles non può rimanere indietro, anche perché gli assi nella manica non le mancherebbero. In particolare, "capacità avanzate di ricerca e sviluppo, talento ingegneristico e nel design, forza finanziaria, infrastrutture e impianti di produzione", secondo un report di Kearney per Intel, il colosso americano che potrebbe aprire una fabbrica di microchip proprio in Italia.
Eppure, in tema di semiconduttori l'Europa vanta un passato di tutto rispetto. "Alla fine degli anni Novanta, aveva ancora un vantaggio competitivo. Le grosse produzioni di chip che andavano negli apparati di telecomunicazione erano condizionate dal fatto che avevamo Ericsson, Siemens e Nokia che dominavano questo mercato. Lentamente, la perdita di posizione competitiva su questi mercati ha fatto sì che non ci fosse più la capacità di queste aziende di investire per far fronte alla scala. Perché? Mentre negli anni Novanta la catena del valore dei microchip era fortemente integrata, quindi c'era un unico produttore che disegnava, produceva e assemblava i chip, oggi per far fronte agli investimenti in ricerca e sviluppo e produzione necessari, questa catena del valore si è spezzata e tanti produttori europei e americani si sono focalizzati sulla fase di design e hanno trasferito tutte le produzioni sui mercati asiatici, che erano più competitivi dal punto di vista del costo e hanno usufruito di sussidi da parte dei governi", prosegue Campanini. E non è un caso che nel report di Kearney si legga: "È improbabile che l'Europa riesca a realizzare il proprio obiettivi del 20% entro il 2030 senza il supporto attivo del governo e senza un partenariato globale". A Bruxelles il messaggio sembra essere arrivato.
Nella puntata del 18 novembre di Sky TG24 Business, spazio anche al mercato degli NFT, con Mauro Martino, direttore del laboratorio Visual Artificial Intelligence MIT-IBM.