
Covid e Green Pass al lavoro, le criticità segnalate dal Garante della Privacy
Secondo l’Authority italiana, il certificato verde non dovrebbe essere consegnato dal dipendente al proprio capo per consentirgli di conservarlo e stilare delle liste di avvenuto controllo: col tempo, ciò finirebbe per allentare le misure di sicurezza. Inoltre, non è lecito raccogliere i dati dell'interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari, nemmeno con il consenso del lavoratore

Il Garante della privacy ha segnalato alcune criticità a proposito della consegna del Green pass da parte del lavoratore dipendente al proprio datore di lavoro
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Secondo l’Authority, la consegna del certificato verde al datore di lavoro, al fine anche di evitare controlli quotidiani all’arrivo in azienda, non è una operazione accettabile
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La perplessità del Garante della Privacy è che, consentire al datore di lavoro di conservare il Green pass del dipendente e stilare delle liste di avvenuto controllo della certificazione, con il tempo porterebbe ad allentare le misure di sicurezza sul posto di lavoro. L'assenza di verifiche del certificato, ad esempio, non consentirebbe di rilevare la condizione di positività eventualmente sopravvenuta all'intestatario del certificato
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Al momento la legge stabilisce che il dipendente debba mostrare il proprio certificato verde per accedere al luogo di lavoro mentre il datore di lavoro deve attuare le procedure da osservare per garantire il controllo dei certificati verdi, nominando soggetti incaricati ad effettuare il controllo, da attuarsi all’ingresso e/o a campione

“La prevista esenzione dai controlli - in costanza di validità della certificazione verde – rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del Green pass. Esso è, infatti, efficace a fini epidemiologici nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità”, scrive l’Authority italiana

La segnalazione dell’Authority è arrivata al presidente della Camera Roberto Fico e ai ministri Speranza e D'Inca. Il Dl 127/2021 convertito in legge stabilisce che dal 15 ottobre fino al 31 dicembre (a meno di eventuali ulteriori proroghe) tutti i lavoratori dipendenti, sia pubblici sia privati, debbano mostrare il certificato verde per entrare nel luogo di lavoro

Il Garante, già attraverso il Provvedimento 363 dell'11 ottobre 2021, aveva anche sostenuto che il controllo dei certificati non avrebbe dovuto comportare la raccolta di dati dell'interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari all'applicazione delle conseguenti misure
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La conservazione del Green pass ipotizzata andrebbe quindi contro il Regolamento 48 (UE) 2021/53 dell’Unione Europea., in quanto l’operazione renderebbe il trattamento dei dati non del tutto proporzionato alle finalità perseguite

Va tenuto presente, infatti, che al momento il Green pass si ottiene grazie al ciclo completo di vaccinazione, al tampone negativo o all'avvenuta guarigione dal Covid-19. Questo determina dunque differenti periodi di validità per ciascun titolare del certificato verde. Con la consegna del certificato, il datore di lavoro scoprirebbe informazioni in più e la scelta di vaccinarsi (o non vaccinarsi) verrebbe privata delle garanzie di riservatezza

Il Garante sottolinea che le criticità rimangono anche laddove il dipendente decidesse di dare di sua spontanea volontà il consenso alla consegna del proprio Green pass al capo. Dal punto di vista della protezione dei dati personali il consenso in ambito lavorativo non può in alcun modo essere ritenuto un idoneo presupposto di liceità, dal momento che c’è una asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso (C 43 Regolamento Ue 2016/679)