Inflazione, in Italia ad aprile +1,1%. Ma negli Usa decolla e si teme il rialzo dei tassi

Economia

Lorenzo Borga

L'aumento dei prezzi in Italia è più contenuto che negli Usa. A livello globale i mercati e gli analisti sono preoccupati da una possibile ondata inflazionistica. Ma i dubbi se sia invece solo un fenomeno temporaneo sono molti.

La pandemia potrebbe rompere un altro tabù su cui si è basata la nostra società negli ultimi decenni: l’assenza di crescita dei prezzi. Chi è cresciuto negli anni ’70 e ’80 ricorda l’inflazione a doppia cifra, mentre per i giovani d’oggi è un’incertezza sconosciuta. Ma alcuni analisti temono un ritorno.

 

I prezzi in Italia sono cresciuti ad aprile dell’1,1 per cento rispetto ad aprile 2020, quando eravamo in pieno lockdown, e dello 0,4 per cento rispetto a marzo. La crescita è continua da inizio 2021, ma a dir la verità ancora ben lontana dagli obiettivi della Bce di mantenere l’aumento dei prezzi poco sotto il 2 per cento all’anno.

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D’altronde, se letto con più attenzione, il dato medio italiano nasconde un forte incremento dell'energia, di per sé molto volatile: se la escludiamo - come fa Istat - la crescita dei prezzi si ferma al +0,3 per cento, e addirittura i beni alimentari e i prodotti di cura per la casa e la persona, che solitamente si comprano al supermercato, sono in calo. Ma le attenzioni che gli aumenti di prezzo stanno attirando in tutto il mondo sono dovute soprattutto ai numeri americani.

Prezzi +4,2 per cento negli Usa

Gli Stati Uniti infatti hanno visto crescere i propri prezzi ad aprile di ben il 4,2 per cento, più delle attese e molto di più del dato di marzo. Il dato ha allarmato i mercati, sulle spine da mesi per i rischi di un’ondata inflazionistica.

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La paura è infatti che le banche centrali ritirino gli aiuti e rialzino i tassi di interesse ai minimi storici, su cui i mercati finanziari hanno fatto la loro fortuna nell’ultimo anno. Un rischio ancora maggiore lo vive poi l'Eurozona, più indietro nella campagna vaccinale e nella ripresa economica: se gli Stati Uniti decidessero di aumentare il costo del denaro per rallentare la crescita dell’inflazione, molti capitali potrebbero essere ingolositi dai maggiori rendimenti offerti dagli americani e abbandonare almeno momentaneamente il vecchio continente. Per gli europei esiste anche un altro rischio: cioè che alcuni paesi, per esempio la Germania, riescano a recuperare prima dalla crisi economica (come in effetti sta accadendo) rispetto ad altri, come Italia e Spagna. E che dunque i livelli di inflazione tra i vari paesi differiscano al punto che i paesi più ricchi potrebbero fare pressione sulla Bce per aumentare i tassi e ridurre gli aiuti, mentre quelli messi peggio ne avrebbero ancora bisogno. Già ora la Germania ha fatto segnare un livello quasi doppio del tasso di inflazione annuale ad aprile, rispetto a quello italiano.

Un boom (probabilmente) temporaneo

Ma nonostante le paure del mercato, la maggior parte degli analisti ritiene che un boom dei prezzi così forte sia da considerare temporaneo. Sono tanti infatti i fattori momentanei che hanno spinto al rialzo i prezzi. Prima di tutto il confronto con l’anno scorso, quando ad aprile il mondo era completamente bloccato dalla pandemia. Va poi considerato il forte aumento dei prezzi, fino a raddoppiare, delle materie prime come rame e acciaio e dei componenti come i microchip. Ci sono poi i piani del presidente Usa Biden, che programma di spendere fino a 6mila miliardi di dollari. E infine la ripartenza dell’economia, grazie alle riaperture graduali in tutto l’Occidente, che stanno portando le famiglie a spendere i soldi messi da parte nei mesi di chiusura. Insomma, sembra ancora presto per dichiarare l’emergenza dei prezzi. Per di più in Italia, dove l’economia tornerà ai livelli pre-pandemia solo alla fine dell’anno prossimo.

 

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