Austerity, debito pubblico, licenziamenti e globalizzazione: quattro punti per capire fino in fondo il pantheon valoriale e le idee del presidente del Consiglio incaricato
Lo hanno definito un cattolico sociale, un pragmatico, un liberista. In effetti incasellare il pensiero di Mario Draghi in una categoria precisa è difficile. Lui stesso aveva dato una risposta su questo, nel 2015 quando si era definito al settimanale tedesco Die Zeit vicino alle posizioni del socialismo liberale. Ma nel concreto, quali misure sociali potrebbe portare avanti un suo governo?
L'evoluzione dagli anni della crisi
Il Draghi-pensiero è sfaccettato. Da una parte è stato tra i promotori della stagione delle privatizzazioni negli anni ’90, negli anni della crisi del debito ha difeso i tagli ai bilanci pubblici argomentando che la “buona” austerity potesse portare alla crescita, una strategia successivamente messa in discussione. Ha inoltre firmato insieme a Jean-Claude Trichet (suo predecessore alla Bce) la famosa lettera della Bce inviata al governo italiano nell'estate 2011 in cui si raccomandavano, tra l’altro, la riforma delle pensioni (poi attuata con la Legge Fornero) e possibili tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici. Ma d'altra parte è anche vero che dal 2014 in poi ha chiesto insistentemente ai paesi europei di aumentare la spesa pubblica per ridurre la disoccupazione e si è sempre dichiarato per una crescita «attenta all'ambiente e che non umili le persone».
All’arrivo della pandemia è stato esplicito a prescrivere forti aumenti del debito pubblico per salvare aziende e posti di lavoro, ma ultimamente ha messo in guardia i governi: così alti livelli di spesa non sono più sostenibili, bisogna essere selettivi perché le risorse fornite dai contribuenti non sono infinite. E in un documento elaborato da un gruppo di economisti da lui presieduto, il G30, ha raccomandato di non sovvenzionare più aziende cosiddette "zombie”, che cioè falliranno non appena chiusi i rubinetti degli aiuti. Nel concreto dunque la gestione del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione potrebbe mostrare segni di discontinuità.
Riforme, riforme, riforme
Draghi d’altronde in 42 suoi discorsi tra il 2011 e il 2019 ha evocato la necessità di riforme per stimolare la crescita. E tra queste anche quella del mercato del lavoro: Draghi ha sempre proposto la “flexsecurity”, per non proteggere i posti di lavoro ma i lavoratori e dunque ridurre gli ostacoli burocratici ai licenziamenti e creare percorsi di formazione e di assistenza per chi perde l’impiego, perché ne trovi un altro il prima possibile. Anche perché, a suo dire, «il sistema di welfare europeo che paga molte persone per non lavorare ha fatto il suo tempo».
Ma in un mondo globalizzato le misure nazionali non bastano: nel 2019 nel discorso all'Università di Bologna ha avvertito del rischio della concorrenza globale al ribasso dei regimi fiscali e diritti sociali, a causa delle «multinazionali che influenzano la regolamentazione dei singoli paesi con la minaccia di ricollocarsi altrove». Un problema a cui Draghi una soluzione l'ha data nei fatti: non il sovranismo nazionale, ma quello europeo.