Mercato del lavoro, ristori, Recovery plan e interventismo statale: l'analisi dell'ultima uscita pubblica di Draghi per capire cosa farebbe al governo
Se Mario Draghi avrà il timone di Palazzo Chigi, uno dei suoi primi compiti sarà quello di tracciare la rotta verso la ripresa economica. Quale sarà la sua strategia? Possiamo trovare qualche indizio nel documento di dicembre del G30, un think tank di consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale presieduto proprio da Draghi insieme a Raghuram Rajan, ex governatore della banca centrale indiana e apprezzato economista. Il gruppo di esperti ha infatti formulato una serie di suggerimenti ai governi per sostenere il business delle aziende nella fase di uscita dalla pandemia.
Ristori solo a chi non è destinato al fallimento
Il primo punto cruciale riguarda proprio gli aiuti alle imprese. I governi europei, il nostro compreso, stanno sostenendo le aziende ma – è l’opinione del G30 – i denari non dovrebbero essere sprecati per chi è purtroppo comunque condannato al fallimento. Come dire: alla lunga gli aiuti a pioggia, senza capire chi ne ha davvero bisogno, sono controproducenti perché pesano su tutti i contribuenti col rischio di foraggiare aziende “zombie”, che cioè falliranno non appena termineranno i sussidi pubblici. Invece i governi - propongono gli analisti – dovrebbero incoraggiare le trasformazioni aziendali che, si precisa, comporteranno che alcune imprese chiudano e nuove aprano. Una «distruzione creativa» viene definita.
Un'idea a noi finora estranea, se pensiamo che il governo Conte II ha elargito più di 11 miliardi di euro di ristori alle imprese, senza criteri che tengano conto delle future prospettive economiche delle aziende aiutate. E non a caso, in un anno di forte recessione come il 2020, in Italia come anche in altri paesi europei le procedure di fallimento per bancarotta sono diminuite invece di aumentare, come ci si poteva attendere inizialmente.
Necessari «aggiustamenti dell’occupazione»
Nel documento del G30 ci si concentra poi sul mercato del lavoro, scrivendo che «i governo dovrebbero incoraggiare aggiustamenti nel mercato del lavoro, […] che richiederanno che alcuni lavoratori dovranno cambiare azienda o settore, con appropriati percorsi di riqualificazione e assistenza economica».
Non esattamente ciò che è stato fatto finora in Italia. Il governo Conte II ha invece fatto largo ricorso alla cassa integrazione e al blocco dei licenziamenti (l’Italia è l’unico paese in Europa ad averlo adottato), in scadenza a fine marzo.
Più investimenti nel Recovery
I consigli sono da leggere anche alla luce della definizione del Recovery plan (IL MONITORAGGIO DI SKY TG24), che l’Italia come gli altri paesi europei è chiamata a definire entro aprile per ricevere i soldi del Next Generation Eu. Gli esperti, Draghi in testa, osservano che queste risorse europee dovrebbero essere dirottate soprattutto sugli investimenti, in particolare quelli «a più alto rendimento», cioè con un ritorno economico e sociale maggiore. A maggior ragione se si tratta di paesi (come il nostro) con un alto debito pubblico. In modo che la crescita dovuta al Next Generation Eu sia sostenuta, tanto da rendere sostenibile l’indebitamento.
Questo concretamente vuol dire destinare meno soldi a bonus di vario tipo, come in effetti ha fatto il governo Conte II nell’ultima versione del Piano Italiano per la Ripresa. In quel documento, pubblicato il 13 gennaio, infatti i soldi europei destinati agli investimenti sono aumentati fino al 70 per cento del totale, riducendo bonus e incentivi. In questo modo il ministero dell’Economia ha anche potuto incrementare la stima di crescita del Pil, come segnala l’Osservatorio sui conti pubblici.
L’interventismo dello Stato
Fra le altre ricette consigliate da Draghi e gli altri esperti, c’è anche quella che riguarda l’intervento dello stato per salvare le imprese sull’orlo del baratro. La tesi è che il mercato debba essere lasciato più libero di agire (perché in molti casi più efficiente del settore pubblico) e che i governi debbano andare in soccorso solo quando un fallimento comporterebbe alti costi sociali. Tecnicamente quinid solo per evitare fallimenti di mercato.
Non la stessa filosofia osservata di recente nel nostro paese, con il massiccio intervento pubblico in vari settori dell’economia, a partire dai dossier di Autostrade per l’Italia, ex Ilva, Alitalia e rete unica.