Divieto di licenziamento, Italia caso unico in Europa (finora)

Economia

Lorenzo Borga

L'Italia era l'unico paese in Europa ad avere vietato quasi tutti i licenziamenti. Ora con il decreto "agosto" si è scelto di legare il divieto all'uso di soldi pubblici: come avevano scelto fin da subito tanti altri paesi europei

Da marzo In Italia sono vietati i licenziamenti individuali e collettivi per ragioni economiche. Se per esempio un'azienda non ha più bisogno di un lavoratore viste le cambiate condizioni del mercato, non può licenziarlo. Nel divieto non sono compresi i dirigenti e i licenziamenti disciplinari. Con il decreto "agosto" qualcosa è cambiato, almeno nella forma: ora il divieto per le procedure individuali si applica solo alle aziende che ancora hanno la possibilità di usare la cassa integrazione (Cig), che terminerà tra novembre e dicembre, e a quelle che possono fruire degli sconti di 4 mesi sul cuneo fiscale appena introdotti. Insomma, non c'è più una scadenza temporale uguale per tutti ma molte aziende continueranno a non poter licenziare, anche se non dovessero richiedere più la Cig. Basta che ne abbiano diritto.

Licenziamenti incompatibili con la cassa integrazione

E nel resto d'Europa cosa succede? L'Italia è un caso unico in questa scelta. Nessun altro paese ha introdotto un limite così forte all'attività economica. A dimostrarlo è l'Ocse, che in un suo documento di analisi cita il caso del nostro paese come unico.  Altri stati hanno introdotto alcuni limiti, ma nella maggior parte dei casi sono validi solo per le aziende che usano la cassa integrazione o altri aiuti pubblici. Insomma, se usi soldi dei contribuenti per pagare i tuoi dipendenti, non puoi licenziarli: questo è il concetto. Ma all'imprenditore rimane la libertà di scegliere se richiedere la cassa integrazione. Secondo un report dell'unione dei sindacati europei (Etui) limitazioni ai licenziamenti in caso di aiuti pubblici sono presenti in tutti i paesi membri al di fuori soltanto di Belgio, Finlandia, Germania, Lettonia, Romania e Slovenia. Alcuni stati prevedono anche una protezione dalla perdita del lavoro che supera la durata della cassa integrazione: per esempio in Francia, Bulgaria e Lituania la durata di tale protezione arriva fino al doppio del periodo in cui si è usufruito della cassa integrazione. In Ungheria invece le imprese che hanno avuto soldi pubblici per pagare gli stipendi dei dipendenti devono mantenere lo stesso livello di occupazione fino alla fine del 2020. Questa norma secondo Andrea Salvatori, economista dell'Ocse, è «un'arma in mano agli stati per evitare che aziende che hanno già deciso di disfarsi dei propri dipendenti usino la cassa integrazione solo per ritardare questa scelta». E dunque che soldi pubblici vengano usati per salvare posti di lavoro che sono ormai destinati a scomparire, prima o poi.

Licenziamenti più complicati e costosi

Ma è ancora l'Ocse a chiarire l'unicità della situazione italiana sul mercato del lavoro, almeno fino all'approvazione del decreto "agosto". Secondo un altro documento dell'istituto con sede a Parigi, solo 6 paesi europei hanno cambiato la normativa nazionale sui licenziamenti durante la pandemia e nessuno in modo tanto stringente come in Italia. Francia e Spagna per esempio hanno aumentato i costi e reso più complesse le procedure in caso di licenziamento, soprattutto per quelli collettivi. E tanto è bastato per esempio per fare in modo che in Francia non aumentasse (per ora) il numero di licenziamenti rispetto al periodo pre-Covid, come mostra il tweet di Andrea Garnero, altro economista italiano all'Ocse. La Slovacchia invece ha scelto di tutelare i dipendenti dalla perdita del lavoro, ma solo quelli che sono stati soggetti a quarantena o che hanno curato un proprio famigliare. Non si è trattato dunque di un divieto per tutti.

Gli effetti del divieto in Italia

Intanto in Italia il dibattito continua. Ma il divieto di licenziare non ha impedito che quasi 600mila persone perdessero il posto di lavoro, secondo Istat. Si tratta in particolare di giovani, di donne e di precari. Cioè di chi, anche senza un licenziamento, può perdere il lavoro. Perché per esempio è terminato il contratto a tempo determinato. O perché è stato costretto a chiudere la propria attività. In attesa di vedere gli effetti del decreto "agosto" in arrivo, la speranza di tutti gli esperti è che questo periodo di congelamento per il mercato del lavoro possa prima o poi normalizzarsi. E che in effetti il divieto riesca a ottenere l'effetto sperato da chi lo promuove: vietare i licenziamenti fino a quando la situazione economica sarà migliorata a tal punto da non renderli più necessari.

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