Recovery Plan e politiche per i giovani

Economia

Il policy brief della School of Government della Luiss

L’Unione europea, è ormai noto, nelle ultime settimane ha messo in campo un importante pacchetto di misure di stimolo all’economia, finanziato in parte con l’emissione senza precedenti di debito comune. Il bilancio 2021-2027 dell’Ue, unito all’iniziativa straordinaria e temporanea NextGenerationEU (in Italia impropriamente ribattezzato “Recovery Fund”), comporterà uno stanziamento complessivo di oltre 1.800 miliardi di euro, con l’obiettivo di un’Europa più ecologica, digitale e resiliente. Lo scorso 22 gennaio, la Commissione europea ha pubblicato le nuove Linee guida che gli Stati membri dell’Unione europea dovranno seguire nella stesura dei loro Piani nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) per accedere ai fondi. Tali Linee guida, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere in modo superficiale, non sono un mero “aggiornamento” di decisioni già prese, ma sanciscono l’intesa raggiunta a fine dicembre 2020 da Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio europeo, sostituendo le Linee guida dello scorso settembre. La School of Government della Luiss ha stilato un Policy Brief che contiene alcune riflessioni sulle politiche pubbliche a favore dei giovani che diventano oggi presupposto e priorità assoluta del NextGenerationEU.

Le politiche pubbliche a favore dei giovani

C’è un “dettaglio”, nelle nuove Linee guida, di cui fin da subito dovrà tenere conto anche il Governo italiano. Le politiche pubbliche a favore dei giovani, infatti, non sono più soltanto un obiettivo “orizzontale” del Piano, cioè un aspetto da considerare nel raggiungimento di altri obiettivi portanti. Accanto a transizione verde, trasformazione digitale, crescita sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, resilienza, ecco che le “politiche per nuove generazioni, giovanissimi e giovani, incluse le politiche di istruzione ed educazione” assumono infatti la dignità di “pilastro” del programma europeo. In estrema sintesi, è come se le istituzioni di Bruxelles avessero deciso di sottolineare con maggiore forza l’obiettivo – fondamentale fin dall’inizio – dei finanziamenti del NextGenerationEU, appunto il miglioramento delle condizioni di vita delle “nuove generazioni”. Così, nelle nuove Linee guida, si legge fra l’altro: “Gli Stati membri dovranno spiegare in che modo il Piano promuoverà politiche per le future generazioni, in particolare in materia di istruzione e cura della prima infanzia, istruzione e competenze, comprese le competenze digitali, miglioramento delle competenze e riqualificazione, occupazione e equità intergenerazionale. Tali azioni dovrebbero garantire che la prossima generazione di europei non sia colpita in modo permanente dall'impatto della crisi causata dalla pandemia e che il divario generazionale non sia ampliato ulteriormente”.

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Il capitolo “istruzione ed educazione”

Il Governo italiano, che nella prima stesura del suo PNRR ha dedicato un capitolo a “istruzione ed educazione” (la missione numero 4 del Piano), dovrà quindi rivedere l’architettura complessiva per tenere conto della priorità attribuita dalle istituzioni europee alle politiche giovanili, intese in senso ampio, quindi dalle politiche attive per il lavoro alle politiche abitative, per fare alcuni esempi. Non si tratta, lo ripetiamo, di un maquillage linguistico, considerato che le scelte dei governi nazionali rispetto ai sei pilastri del NextGenerationEU dovranno essere opportunamente qualificate e quantificate, dopodiché – se otterranno un via libera – andranno successivamente rendicontate per essere con quanta più precisione valutate da Bruxelles in corso d’opera. Insomma, le politiche giovanili non potranno rimanere quell’orpello retorico al quale spesso sono state ridotte in Italia, pena il rischio di perdere risorse necessarie alla ripresa del Paese. Numero di NEET (Neither in Employment or in Education or Training), cioè di giovani che né studiano né lavorano, numero di laureati, di imprese giovanili, di famiglie giovani che hanno ricevuto aiuti, tra gli altri, saranno i parametri rispetto ai quali verranno monitorate le politiche finanziate nel quadro del nuovo pilastro.

CATANIA, ITALY - MAY 22: A rapid serological test is carried out in the molecular biology laboratory of Cannizzaro Hospital on May 22, 2020 in Catania, Italy. Restaurants, bars, cafes, hairdressers and other shops have reopened, subject to social distancing measures, after more than two months of a nationwide lockdown meant to curb the spread of Covid-19. (Photo by Fabrizio Villa/Getty Images)

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Perché l’Italia non è un Paese per giovani

Le prospettive occupazionali dei giovani e il loro futuro benessere sono dunque presupposto e priorità assoluta del NextGenerationEU. Che ciò sia riconosciuto anche nelle nuove Linee guida per la stesura del Recovery Plan, con tanto di introduzione dell’espressione “divario generazionale”, è estremamente positivo per un Paese come l’Italia, per almeno quattro motivi. 

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Le risorse del NextGenerationEU

L’Italia, lo ricordiamo, è destinataria di circa 200 miliardi di euro di risorse nell’ambito del NextGenerationEU. La politica continua a sbandierare questo ammontare, sorvolando su almeno due aspetti di non poco conto. Primo punto: in parte questi finanziamenti saranno sotto forma di sussidi (le cosiddette “risorse a fondo perduto”), in parte sotto forma di finanziamenti (leggi: nuovo debito). Secondo punto: il governo italiano ha già destinato 65,7 miliardi di euro di sussidi del Recovery Fund, pari a oltre il 95% delle sovvenzioni a fondo perduto, a copertura di “politiche e specifici progetti già in essere”. Ciò implica che la stragrande maggioranza delle altre risorse dello strumento di ripresa e resilienza – quelle che mancano per arrivare agli oltre 200 miliardi che spettano al nostro Paese – saranno attinte “a debito”. A maggior ragione è necessario subito bilanciare gli oneri generati dal finanziamento di NextGenerationEU, il cui rimborso sarà in capo alle generazioni più giovani, con i benefici che le stesse generazioni potranno trarne. Come sottolinea la Comunicazione della Commissione europea che ha formulato la struttura del NextGenerationEU, “le scelte che facciamo oggi definiranno il futuro della prossima generazione. I massicci investimenti necessari per rilanciare le nostre economie devono alleggerire l’onere che grava su di esse, non appesantirlo. Per questo motivo il piano di ripresa dell'Ue deve guidare e costruire un’Europa più sostenibile, più resiliente e più giusta per la prossima generazione”. 

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dirige a piedi verso Palazzo Chigi, Roma, 11 gennaio 2021.
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La questione giovanile in Italia

Già da anni, ben prima della crisi indotta dalla pandemia, esiste una questione giovanile nel nostro Paese. Il sistema educativo italiano, per esempio, non riesce a trattenere molti dei giovani studenti per svilupparne le conoscenze (nella fascia 18-24 anni, un buon 13,5% di loro non ha completato il ciclo di istruzione secondaria superiore), né a fornire competenze richieste nel mercato del lavoro da enti e imprese (il cosiddetto mismatch), né infine a dare occupazione ai nostri laureati (che in percentuale sono poco più della metà della media europea e che in maggioranza ultratrentenni sono ancora disoccupati). Per non parlare poi del numero dei NEET, che nel 2019 – secondo l’Istat – si attestavano a 2 milioni, tutti under 30, e che nel terzo trimestre del 2020 sono già aumentati di più di 100 mila unità. Se si considerano poi anche gli under 35, il dato supera le 3 milioni di unità. La pandemia non ha fatto che acuire in modo drammatico questa forma di ingiustizia generazionale. Altro dato: Secondo i dati mensili forniti da Eurostat, il tasso di disoccupazione in Italia degli under-25 è passato dal 26,8% dell’agosto 2019 al 32,1% dell’agosto 2020. Quasi 5 punti percentuali di differenza. E, si badi bene, dobbiamo considerare che ancora vige il cosiddetto blocco dei licenziamenti. Per quanto riguarda il reddito, invece, secondo l’Indagine straordinaria sulle famiglie italiane effettuata da Banca d’Italia alla fine della primavera del 2020, fra i 18-34enni intervistati, il 60% dichiarava una diminuzione consistente del proprio reddito. Il 21,2% di questi sosteneva di aver perso più del 50% del proprio reddito mensile. Infine l'indice del Divario generazionale2 evidenziava che nel 2019, prima dell'avvento della pandemia, si era ancora ben lontani dal ritornare a una situazione pre crisi finanziaria del 2008. Nel 2007 tale indice era pari a 102 punti (fatto 100 il 2004), mentre nel 2019 il GDI era ancora a 127 punti. E tutti i dati elencati sopra non fanno prevedere un miglioramento a breve.

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L’impatto della pandemia

La pandemia (GLI AGGIORNAMENTI LIVE - LO SPECIALE) ha avuto un impatto generazionale asimmetrico, colpendo da un lato le fasce di lavoratori più giovani e dall’altro i comparti produttivi considerati i maggiori bacini di impiego per la forza lavoro giovanile. “Anche se si prevede che l’economia tornerà a crescere nel 2021, la ripresa iniziale sarà parziale con ripercussioni particolarmente pesanti per persone e imprese. È probabile che molte persone vedano diminuire il proprio reddito e rischino di perdere il lavoro. La disoccupazione è destinata a salire al 9% nell’Ue, colpendo in modo sproporzionato i giovani (…) Sebbene il virus sia lo stesso in tutti gli Stati membri, si osservano notevoli differenze per quanto riguarda il suo impatto e il potenziale di ripresa. I paesi e le regioni le cui economie dipendono dai servizi a diretto contatto col cliente, dalle esportazioni o da un numero elevato di piccole imprese saranno colpiti molto più duramente di altri. Inoltre, anche se ciascuno Stato membro ha sostenuto il più possibile i suoi lavoratori e le sue imprese, non tutti possono farlo nella stessa misura. Questo rischia di determinare una ripresa squilibrata, di creare una disparità di condizioni e di accentuare le differenze, evidenziando inoltre la necessità e il valore di una risposta a livello europeo”3.

Le future generazioni

L’Italia già sulla base di precedenti accordi internazionali – come se non bastassero la Costituzione e il buon senso – è chiamata a una politica più oculata verso le sue future generazioni. A fronte di impegni finora perlopiù disattesi, le Linee guida di NextGenerationEU costituiscono un ulteriore avvertimento per la nostra classe dirigente. La strategia del Recovery plan, per esempio, va allineata agli obiettivi fissati da Agenda 2030: “I massicci investimenti necessari per rilanciare l’economia devono alleggerire l’onere che graverà sulle loro spalle (le nuove generazioni, ndr), non appesantirlo. Per questo motivo il dispositivo per la ripresa e la resilienza deve guidare e costruire un'Europa più sostenibile, resiliente e più equa per la prossima generazione, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”4. In particolare il nostro Paese dovrebbe tenere conto di quei target il cui raggiungimento è anticipato al 2020 come il target 8.6 e il target 8.b rispettivamente: “Entro il 2020, ridurre sostanzialmente la percentuale di giovani disoccupati che non seguono un corso di studi o che non seguono corsi di formazione” e “entro il 2020, sviluppare e rendere operativa una strategia globale per l'occupazione giovanile e l'attuazione del “Patto globale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro”. Sulle future generazioni, stavolta, il governo avrà una scusa in meno per sottoscrivere l’ennesimo patto altisonante da disattendere nei fatti subito dopo.

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