Dalla Rete Unica ad Alitalia, la corsa a ostacoli dei dossier economici

Economia

Simone Spina

La crisi causata dalla pandemia spinge a una presenza più forte dello Stato in alcuni settori industriali fondamentali. Nell’orbita pubblica ci sono telecomunicazioni, trasporti e acciaio. Ma la strada è ancora lunga

Sono numerosi e pieni di incognite i dossier economici nei quali è impegnato il governo. Dossier che in molti casi erano sul tavolo da tempo e che la crisi innescata dal Covid ha reso più urgenti, anche perché riguardano grandi aziende, con migliaia di lavoratori in ballo, in settori cruciali per il Paese. Con un altro aspetto rilevante: dalle telecomunicazioni, con la Rete Unica, ai trasporti, con Autostrade e Alitalia, passando per l’acciaio dell’Ilva, il peso dello Stato finirà per aumentare.

La Rete Unica

L’idea di una Rete fissa unica e ultraveloce per collegarsi a internet c’è da anni ma solo nelle ultime settimane c’è stata un’accelerazione che ha portato a disegnare un’architettura complessa, dove Cassa Depositi e Prestiti, il braccio finanziario pubblico, avrà un ruolo da protagonista.
Il progetto prevede la fusione dell’infrastruttura di Tim con quella di OpenFiber. L’intento è garantire a tutti gli operatori l’accesso ai servizi e per farlo bisognerà stabilire regole per bilanciare i ruoli del socio pubblico e di quello privato all’interno della stanza dei bottoni del nuovo colosso, che si chiamerà AccessCo. Un obiettivo che non appare facile, ma fondamentale per assicurare lo sviluppo tecnologico e la concorrenza.

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Autostrade per l’Italia

Dopo due anni di scontri, iniziati dopo il crollo del Ponte Morandi, Autostrade per l’Italia e il governo hanno trovato, a grandi linee, un accordo che porterebbe all’uscita graduale della famiglia Benetton dalla società che gestisce metà della rete viaria a pedaggio e all’ingresso di Cassa Depositi con una quota rilevante.
In pratica, si tratterebbe di una nazionalizzazione. Ma per realizzare questo percorso bisogna superare un grosso scoglio, quello legato al valore dell’azienda, non ancora definito e sul quale entrano in gioco molte variabili, alle quali guardano gli azionisti di minoranza di Autostrade.
Si prospettano varie soluzioni, fra le quali la separazione della concessionaria dalla capogruppo Atlantia, per una quota del 70% che finirebbe in un’altra società (quotata) che riceverebbe capitali dallo Stato e da altri investitori. 

Alitalia

E’ una telenovela senza fine, quella di Alitalia, appesantita da una crisi storica aggravata dalla pandemia. Un tempo pubblica, poi privatizzata, adesso ritorna interamente sotto il cappello dello Stato, che – si calcola – ha speso più di 10 miliardi di euro in quarant’anni per tenere a galla la compagnia aerea. L’ultimo assegno del Ministero del Tesoro è di 3 miliardi per un piano di rilancio che ancora non è pronto.
Da definire la consistenza della flotta e le rotte da coprire, i servizi a terra e quelli di manutenzione. Capitoli dai quali dipende il destino di oltre 11mila lavoratori. Gli esuberi potrebbero interessare la metà dei dipendenti: una grana per il governo, che deve fare i conti anche con le autorità europee.
Bruxelles ha allentato le maglie sugli aiuti di Stato (per principio vietati) ma, se non arriverà un partner privato, Roma dovrà dimostrare che la nuova iniezione di denari non andrà in fumo.

Ex Ilva

Questione in bilico da anni anche quella dell’ex Ilva. Dopo un lungo commissariamento, il colosso dell’acciaio è finito nelle mani della multinazionale ArcelorMittal, che però poi ha minacciato di lasciare l’Italia, facendo tremare le gambe a oltre 10mila operai, dei quali la maggior parte a Taranto.

E’ iniziata così una lunga trattativa col governo, col risultato che lo Stato, tramite Invitalia, è entrato nel gruppo, sborsando 470 milioni. Cifra che però non gli permette il controllo.
La possibilità che si arrivi a una nazionalizzazione è comunque concreta perché ArcelorMittal ha la possibilità di sfilarsi entro novembre, pagando una penale di mezzo miliardo. Non è detto, peraltro, che questa sia la scelta finale, con la conseguenza che si aprirebbe uno scenario di coabitazione (pubblico-privato) tutta da definire.  

Monte dei Paschi

Fra tutti i principali dossier economici ce n’è anche uno dove il governo non pensa di aumentare il suo peso ma di ridurlo. E’ il caso del Monte dei Paschi, la banca salvata nel 2017 con 5,4 miliardi di quattrini pubblici e adesso al 68% dello Stato. Il decreto per avviare la privatizzazione, da concludere entro la fine dell’anno prossimo, sarebbe in dirittura d’arrivo. L’uscita potrebbe avvenire in uno o più fasi, con la vendita diretta o la fusione con altri istituti. Un’ipotesi, quest’ultima, che sarebbe preferita dal Tesoro.    

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