Gli Stati Uniti attaccano: “Cina manipola valute”. S’infiamma guerra commerciale

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Il Tesoro Usa, per la prima volta dal 1994, ha bollato Pechino come “manipolatore di valute” dopo che il Paese ha lasciato scivolare lo yuan ai minimi dal 2008 in risposta ai nuovi dazi di Trump su 300 miliardi di prodotti made in China

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina non accenna a placarsi e sconfina quasi in una guerra delle valute. L’amministrazione Trump, per la prima volta dal 1994, ha bollato Pechino come “manipolatore di valute”. Una decisione, comunicata dal Tesoro Usa, che fa seguito alla mossa della Cina di lasciar scivolare lo yuan ai minimi dal 2008 in risposta ai nuovi dazi del tycoon su 300 miliardi di prodotti made in China.

La decisione Usa: Cina “manipolatore di valute”

“Negli ultimi giorni la Cina ha preso misure concrete per svalutare la sua valuta, mantenendo allo stesso tempo sostanziali riserve di valute estere. Il contesto di queste azioni e la non plausibilità della ratio dietro la stabilità di mercato della Cina conferma che la svalutazione è per ottenere ingiusti vantaggi competitivi nel commercio internazionale”, ha accusato il Tesoro Usa. “La Cina – ha aggiunto – ha una lunga tradizione” negli interventi “protratti e su larga scala sul mercato dei cambi”. Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin si è impegnato a lavorare con il Fmi per cercare di eliminare i vantaggi ingiusti che Pechino avrebbe guadagnato con le sue mosse sui cambi. La presa di posizione del Tesoro, comunque, consente a Trump di onorare la sua promessa elettorale di bollare la Cina come “manipolatore di valute”.

Mossa simbolica

La decisione statunitense - prima volta dall'amministrazione Clinton - è una mossa simbolica, ma rappresenta un'ulteriore escalation delle tensioni commerciali fra Washington e Pechino. Un'escalation forte, che fa intravedere la possibilità di una guerra delle valute. La decisione Usa è arrivata alla fine di una seduta nera per Wall Street, con i listini che hanno bruciato il 3% mandando in fumo 700 miliardi di dollari di capitalizzazione. L'annuncio del dipartimento guidato da Steven Mnuchin, poi, ha fatto affondare i future sugli indici di Wall Street, lasciando intravedere un'altra giornata di passione per la Borsa Usa.

La reazione della Cina

Ora, però, resta da vedere come Pechino reagirà alla mossa del presidente americano. La banca centrale cinese, intanto, ha fissato lo yuan a 6,9683 dollari, un livello maggiore delle attese. Sul mercato offshore lo yuan è scambiato sopra a 7,1107 dollari. Il governatore della banca centrale cinese, Yi Gang, ha sottolineato che la Cina assicurerà la "fondamentale stabilità" della sua valuta e non si "impegnerà in svalutazioni competitive".

I possibili scenari

Spettatrice interessata è la Fed, che aspetta di capire l'evoluzione della disputa ormai non solo più commerciale: di sicuro il botta e risposta fra Washington e Pechino aumenta la pressione su Jerome Powell. Gli analisti scommettono su tagli dei tassi per un totale di mezzo punto entro la fine di ottobre, ovvero con due mesi di anticipo rispetto a quanto inizialmente previsto. Il timore della banca centrale è l'impatto che la guerra avrà sull'economia e il rischio che possa scivolare in recessione, proprio in un momento in cui le armi della Fed sono in qualche modo limitate dai tassi già bassi. Il rischio recessione è confermato dall'inversione della curva dei rendimenti fra i Treasury a tre mesi e quelli a 10 anni in territorio fortemente negativo, come mai dal 2007. L'inversione della curva ha preceduto tutte le recessioni americane negli ultimi 50 anni.

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