L’app fotografica acquistata da Facebook punta a monetizzare i contenuti condivisi dai suoi 150 milioni di utenti con inserzioni sponsorizzate, come già fanno tra gli altri Twitter e LinkedIn. Per ora la sperimentazione sarà avviata solo negli Usa
di Nicola Bruno
Tre candeline e tanta pubblicità. Proprio alla vigilia del terzo compleanno, Instagram ha annunciato l’arrivo delle inserzioni sponsorizzate nei profili dei propri utenti. Dopo tre anni di tutto gratis (per gli utenti) e conti in rosso (per Instagram), è arrivato il tempo di trovare un business model per un’applicazione che, con i suoi 150 milioni di utenti in tutto il mondo, ha già cambiato il modo in cui scattiamo, guardiamo e condividiamo le immagini. Non solo a livello amatoriale, ma anche professionale (come dimostra l’utilizzo da parte di agenzie e grandi testate giornalistiche) e, soprattutto, riuscendo ad attirare personalità famose che vanno da Michelle Obama ad Assad e altri leader globali.
Si completa così la crescita di un servizio che, da semplice app fotografica per smartphone, si è affermato come uno dei più vitali social networking, finendo nelle mire di Facebook che l’ha acquisita nell’aprile del 2012 per una cifra stimata di un miliardo di dollari.
Pubblicità nativa - Come già fanno Facebook e Twitter, anche su Instagram la pubblicità arriverà in modalità "nativa". E cioè con formati pubblicitari del tutto simili ai normali post per grafica, contenuti e funzionalità, con l’unica differenza che contengono il disclaimer "messaggio sponsorizzato" e vengono visualizzati nel proprio profilo anche se non si segue un determinato brand.
"Il nostro scopo è rendere ogni inserzione naturale così come lo sono le foto e i video dei brand preferiti che molti di voi già visualizzano - è spiegato sul blog ufficiale - Vogliamo rendere questi messaggi il più possibile piacevoli e creativi, così come già accade con le inserzioni di alta qualità che si trovano sui migliori magazine".
L’arrivo delle pubblicità sarà graduale e, in un primo momento, sarà sperimentata solo negli Stati Uniti. "Ci focalizzermo su un numero limitato di contenuti di altissima qualità provenienti da pochi brand", ha chiarito al Wall Street Journal un portavoce di Facebook. Ad ogni modo, gli utenti avranno la possibilità di nascondere dalla propria timeline le inserzioni non gradite.
Boom dei formati "nativi" - I formati nativi sono da molti considerati come la “next-big thing” della pubblicità online. Come dimostra questa infografica lo scenario è già abbastanza affollato: tra i principali attori che stanno sperimentando su questo fronte ci sono non solo affermate testate giornalistiche (come Forbes, The Atlantic, Buzzfeed, Huffington Post), ma anche nuove piattaforme editoriali (come Outbrain e Sharethrough) e, soprattutto, i più grandi servizi di social network.
Ogni giorno, ad esempio, incontriamo la pubblicità nativa su Facebook (dove vengono chiamate “notizie sponsorizzate”), ma anche su Twitter (dove ci sono tweet, account e trending topic) e LinkedIn (sponsored updates).
Di recente anche Pinterest ha iniziato a sperimentare con gli “sponsored pin” e, secondo molti osservatori, presto anche Tumblr e Vine (rispettivamente di Yahoo e Twitter) lanceranno simili programmi nativi.
Secondo la società di analisi BIA/Kelsey solo negli Stati Uniti il giro d’affari della pubblicità nativa sui social network raggiungerà nel 2013 i 2,36 miliardi dollari (equivalente al 38,9% della spesa totale pubblicitaria sulle piattaforme social). Dal 2017, poi, si arriverà a quota 4,57 miliardi di dollari (con un market share del 41,7%) (guarda il grafico).
Il boom degli investimenti “nativi” sarà spinto soprattutto dalla crescita della pubblicità mobile che, secondo l’istituto eMarketer nel 2013 è più che raddoppiata rispetto all’anno precedente.
Per un’applicazione come Instagram, esplosa proprio sull’onda mobile e social, è facile capire la scelta di puntare tutto sulla pubblicità nativa.
Tre candeline e tanta pubblicità. Proprio alla vigilia del terzo compleanno, Instagram ha annunciato l’arrivo delle inserzioni sponsorizzate nei profili dei propri utenti. Dopo tre anni di tutto gratis (per gli utenti) e conti in rosso (per Instagram), è arrivato il tempo di trovare un business model per un’applicazione che, con i suoi 150 milioni di utenti in tutto il mondo, ha già cambiato il modo in cui scattiamo, guardiamo e condividiamo le immagini. Non solo a livello amatoriale, ma anche professionale (come dimostra l’utilizzo da parte di agenzie e grandi testate giornalistiche) e, soprattutto, riuscendo ad attirare personalità famose che vanno da Michelle Obama ad Assad e altri leader globali.
Si completa così la crescita di un servizio che, da semplice app fotografica per smartphone, si è affermato come uno dei più vitali social networking, finendo nelle mire di Facebook che l’ha acquisita nell’aprile del 2012 per una cifra stimata di un miliardo di dollari.
Pubblicità nativa - Come già fanno Facebook e Twitter, anche su Instagram la pubblicità arriverà in modalità "nativa". E cioè con formati pubblicitari del tutto simili ai normali post per grafica, contenuti e funzionalità, con l’unica differenza che contengono il disclaimer "messaggio sponsorizzato" e vengono visualizzati nel proprio profilo anche se non si segue un determinato brand.
"Il nostro scopo è rendere ogni inserzione naturale così come lo sono le foto e i video dei brand preferiti che molti di voi già visualizzano - è spiegato sul blog ufficiale - Vogliamo rendere questi messaggi il più possibile piacevoli e creativi, così come già accade con le inserzioni di alta qualità che si trovano sui migliori magazine".
L’arrivo delle pubblicità sarà graduale e, in un primo momento, sarà sperimentata solo negli Stati Uniti. "Ci focalizzermo su un numero limitato di contenuti di altissima qualità provenienti da pochi brand", ha chiarito al Wall Street Journal un portavoce di Facebook. Ad ogni modo, gli utenti avranno la possibilità di nascondere dalla propria timeline le inserzioni non gradite.
Boom dei formati "nativi" - I formati nativi sono da molti considerati come la “next-big thing” della pubblicità online. Come dimostra questa infografica lo scenario è già abbastanza affollato: tra i principali attori che stanno sperimentando su questo fronte ci sono non solo affermate testate giornalistiche (come Forbes, The Atlantic, Buzzfeed, Huffington Post), ma anche nuove piattaforme editoriali (come Outbrain e Sharethrough) e, soprattutto, i più grandi servizi di social network.
Ogni giorno, ad esempio, incontriamo la pubblicità nativa su Facebook (dove vengono chiamate “notizie sponsorizzate”), ma anche su Twitter (dove ci sono tweet, account e trending topic) e LinkedIn (sponsored updates).
Di recente anche Pinterest ha iniziato a sperimentare con gli “sponsored pin” e, secondo molti osservatori, presto anche Tumblr e Vine (rispettivamente di Yahoo e Twitter) lanceranno simili programmi nativi.
Secondo la società di analisi BIA/Kelsey solo negli Stati Uniti il giro d’affari della pubblicità nativa sui social network raggiungerà nel 2013 i 2,36 miliardi dollari (equivalente al 38,9% della spesa totale pubblicitaria sulle piattaforme social). Dal 2017, poi, si arriverà a quota 4,57 miliardi di dollari (con un market share del 41,7%) (guarda il grafico).
Il boom degli investimenti “nativi” sarà spinto soprattutto dalla crescita della pubblicità mobile che, secondo l’istituto eMarketer nel 2013 è più che raddoppiata rispetto all’anno precedente.
Per un’applicazione come Instagram, esplosa proprio sull’onda mobile e social, è facile capire la scelta di puntare tutto sulla pubblicità nativa.