State of the News 2012: il futuro incerto del giornalismo
EconomiaLuci e ombre dell’informazione online secondo il più accurato rapporto statunitense. Mentre i dispositivi mobili diventano parte integrante della “dieta” mediatica degli utenti, i giganti tecnologici controllano sempre più il business della notizia 2.0
di Nicola Bruno
Carta stampata in situazione di stallo (“nel corso del 2011 non è morta, ma non è nemmeno riuscita a creare le basi per un futuro più stabile”) e testate digitali che raggiungono sempre più lettori, ma sono anche tallonate da nuovi, agguerriti concorrenti. Insomma, se il vecchio giornalismo è ancora in profonda crisi (il calo di lettori e pubblicità per i giornali non arresta a fermarsi), anche quello nuovo non se la passa certo bene, stretto tra necessità di aprirsi ai nuovi canali di distribuzione (smartphone, tablet, social-network) e l’emergere di nuovi amici-nemici (i giganti tecnologici) che riducono ulteriormente la torta dei guadagni.
Questa in sintesi la fotografia che emerge da State of The Media 2012, il più esaustivo report sullo stato dell’informazione negli Stati Uniti, pubblicato ogni anno dal Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism. Per l’edizione 2012 lo studio si concentra su due tendenze in particolare: da una parte l’affermarsi dell’era post-pc, con il settore mobile che diventa sempre più centrale nella “dieta” mediatica degli utenti; e dall’altra la crescente importanza delle nuove piattaforme di distribuzione (Apple, Amazon, Google, Facebook) che stanno beneficiando della transizione al mobile molto più degli stessi produttori di notizie.
A tutto mobile - Grazie alle app e agli altri servizi per smartphone, gli editori tradizionali ora raggiungono un numero di lettori sempre maggiore. Secondo i dati di Pew il 44% degli adulti negli Stati Uniti possiede uno smartphone e il 18% un tablet. Cifre simili si registrano anche in Italia dove, secondo l’ultimo report del Politecnico di Milano, 21 milioni di Italiani sono dotati di smartphone e 1,5 milioni hanno un tablet.
I nuovi gadget mobili sembrano essere complementari e non sostitutivi di quelli tradizionali, come dimostrano i dati secondo cui il 34% degli utenti statunitensi che possiede un laptop legge le notizie anche su uno smartphone e il 27% di quelli che hanno un telefonino intelligente usa al tempo stesso i tablet per informarsi.
E non finisce qui: secondo gli autori del report, “la tecnologia (mobile) potrebbe permettere di raggiungere quei gruppi che erano rimasti tagliati fuori dalla prima generazione digitale. Alcune popolazioni rurali che hanno saltato i computer desktop, si stanno ora muovendo direttamente verso le soluzioni mobili”.
Insomma, cresce il pubblico potenziale, ma non solo. Smartphone e tablet sembrano offrire anche un’informazione più “immersiva” e personalizzata rispetto a quella delle precedenti tecnologie. Con ritorni non indifferenti per gli editori: se l’era del pc era dominata dal lettore casuale che arrivava per lo più dai motori di ricerca, quella post-pc vede aumentare la fidelizzazione verso i brand, soprattutto quando si accede attraverso un’app o i social-network su cui hanno aperto un profilo ufficiale.
Grazie alla loro forte integrazione con i dispositivi mobili, anche Facebook e Twitter si rivelano fonti importanti di traffico. Nel 2011 hanno portato il 9% di visite ai siti online: per ora si tratta della metà dei click generati dai motori di ricerca, ma la crescita è impressionante (+57% rispetto a due anni fa) ed è destinata ad aumentare ora che le principali testate iniziano a dotarsi di strategie ad hoc (100 dei principali siti statunitensi hanno nominato un social media editor). Come dimostra il caso Huffington Post, senza dubbio il sito più social tra quelli più letti negli Usa: il traffico che arriva da Facebook &co. è già uguale a quello che arriva dai motori di ricerca.
I nuovi intermediari - Se quindi le principali testate sono sempre meno chiuse nel recinto del proprio sito web e vanno incontro ai lettori sulle nuove piattaforme, qual è il ritorno economico che ottengono in cambio? Il loro business permetterà di recuperare le perdite registrate su carta? Su questo punto non ci sono risposte chiare nemmeno da parte degli autori di State of The News. La regola base della prima Internet (1 lettore su carta vale quanto 10 online) si ripropone anche ora. Con l’aggiunta che adesso le principali testate si trovano in una posizione ancora più difficile: da una parte stringono alleanze con intermediari come Facebook e Apple per allargare il proprio bacino di utenti; dall’altra i giganti hi-tech trattengono quote consistenti dei loro guadagni e, in alcuni casi, sono anche diretti concorrenti sul mercato pubblicitario. Basti pensare che nel 2011 cinque colossi tecnologici (Google, Facebook, Yahoo, Microsoft, altri minori) hanno gestito il 68% delle inserzioni negli Usa. E anche qui si tratta di cifre destinate a crescere (nel 2015 Facebook dovrebbe vendere una pubblicità display su cinque). Apple e Amazon, dal canto loro, trattengono quote consistenti dalle vendite effettuate attraverso iPad e Kindle.
E’ per questo che gli autori del report suggeriscono di conoscere bene i propri “frenemy” (amici-nemici). E cioè, da una parte continuare a investire sulle nuove piattaforme per raggiungere sempre più utenti e, dall’altra, pensare a modelli di business che possano garantire maggiore autonomia. Come nel caso - per tornare in Europa - dell’applicazione per tablet sviluppata dal Financial Times: non viene distribuita sullo store della Apple (che trattiene il 30% da ogni transazione), ma direttamente dalla testata britannica che la rende disponibile per qualsiasi modello di tablet.
Carta stampata in situazione di stallo (“nel corso del 2011 non è morta, ma non è nemmeno riuscita a creare le basi per un futuro più stabile”) e testate digitali che raggiungono sempre più lettori, ma sono anche tallonate da nuovi, agguerriti concorrenti. Insomma, se il vecchio giornalismo è ancora in profonda crisi (il calo di lettori e pubblicità per i giornali non arresta a fermarsi), anche quello nuovo non se la passa certo bene, stretto tra necessità di aprirsi ai nuovi canali di distribuzione (smartphone, tablet, social-network) e l’emergere di nuovi amici-nemici (i giganti tecnologici) che riducono ulteriormente la torta dei guadagni.
Questa in sintesi la fotografia che emerge da State of The Media 2012, il più esaustivo report sullo stato dell’informazione negli Stati Uniti, pubblicato ogni anno dal Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism. Per l’edizione 2012 lo studio si concentra su due tendenze in particolare: da una parte l’affermarsi dell’era post-pc, con il settore mobile che diventa sempre più centrale nella “dieta” mediatica degli utenti; e dall’altra la crescente importanza delle nuove piattaforme di distribuzione (Apple, Amazon, Google, Facebook) che stanno beneficiando della transizione al mobile molto più degli stessi produttori di notizie.
A tutto mobile - Grazie alle app e agli altri servizi per smartphone, gli editori tradizionali ora raggiungono un numero di lettori sempre maggiore. Secondo i dati di Pew il 44% degli adulti negli Stati Uniti possiede uno smartphone e il 18% un tablet. Cifre simili si registrano anche in Italia dove, secondo l’ultimo report del Politecnico di Milano, 21 milioni di Italiani sono dotati di smartphone e 1,5 milioni hanno un tablet.
I nuovi gadget mobili sembrano essere complementari e non sostitutivi di quelli tradizionali, come dimostrano i dati secondo cui il 34% degli utenti statunitensi che possiede un laptop legge le notizie anche su uno smartphone e il 27% di quelli che hanno un telefonino intelligente usa al tempo stesso i tablet per informarsi.
E non finisce qui: secondo gli autori del report, “la tecnologia (mobile) potrebbe permettere di raggiungere quei gruppi che erano rimasti tagliati fuori dalla prima generazione digitale. Alcune popolazioni rurali che hanno saltato i computer desktop, si stanno ora muovendo direttamente verso le soluzioni mobili”.
Insomma, cresce il pubblico potenziale, ma non solo. Smartphone e tablet sembrano offrire anche un’informazione più “immersiva” e personalizzata rispetto a quella delle precedenti tecnologie. Con ritorni non indifferenti per gli editori: se l’era del pc era dominata dal lettore casuale che arrivava per lo più dai motori di ricerca, quella post-pc vede aumentare la fidelizzazione verso i brand, soprattutto quando si accede attraverso un’app o i social-network su cui hanno aperto un profilo ufficiale.
Grazie alla loro forte integrazione con i dispositivi mobili, anche Facebook e Twitter si rivelano fonti importanti di traffico. Nel 2011 hanno portato il 9% di visite ai siti online: per ora si tratta della metà dei click generati dai motori di ricerca, ma la crescita è impressionante (+57% rispetto a due anni fa) ed è destinata ad aumentare ora che le principali testate iniziano a dotarsi di strategie ad hoc (100 dei principali siti statunitensi hanno nominato un social media editor). Come dimostra il caso Huffington Post, senza dubbio il sito più social tra quelli più letti negli Usa: il traffico che arriva da Facebook &co. è già uguale a quello che arriva dai motori di ricerca.
I nuovi intermediari - Se quindi le principali testate sono sempre meno chiuse nel recinto del proprio sito web e vanno incontro ai lettori sulle nuove piattaforme, qual è il ritorno economico che ottengono in cambio? Il loro business permetterà di recuperare le perdite registrate su carta? Su questo punto non ci sono risposte chiare nemmeno da parte degli autori di State of The News. La regola base della prima Internet (1 lettore su carta vale quanto 10 online) si ripropone anche ora. Con l’aggiunta che adesso le principali testate si trovano in una posizione ancora più difficile: da una parte stringono alleanze con intermediari come Facebook e Apple per allargare il proprio bacino di utenti; dall’altra i giganti hi-tech trattengono quote consistenti dei loro guadagni e, in alcuni casi, sono anche diretti concorrenti sul mercato pubblicitario. Basti pensare che nel 2011 cinque colossi tecnologici (Google, Facebook, Yahoo, Microsoft, altri minori) hanno gestito il 68% delle inserzioni negli Usa. E anche qui si tratta di cifre destinate a crescere (nel 2015 Facebook dovrebbe vendere una pubblicità display su cinque). Apple e Amazon, dal canto loro, trattengono quote consistenti dalle vendite effettuate attraverso iPad e Kindle.
E’ per questo che gli autori del report suggeriscono di conoscere bene i propri “frenemy” (amici-nemici). E cioè, da una parte continuare a investire sulle nuove piattaforme per raggiungere sempre più utenti e, dall’altra, pensare a modelli di business che possano garantire maggiore autonomia. Come nel caso - per tornare in Europa - dell’applicazione per tablet sviluppata dal Financial Times: non viene distribuita sullo store della Apple (che trattiene il 30% da ogni transazione), ma direttamente dalla testata britannica che la rende disponibile per qualsiasi modello di tablet.