Se chiedere un mutuo è un problema. Per motivi religiosi

Economia
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Il Corano vieta il prestito a interesse e la speculazione. Così molti strumenti diventano proibiti per un musulmano osservante. E mentre altri paesi si sono attrezzati con soluzioni ad hoc per rispondere a una domanda in crescita, l'Italia sta a guardare

di Giulia Floris

Com’è difficile accendere un mutuo. Se lo dicono tutti i giorni tanti cittadini italiani, magari giovani e precari, che si trovano davanti al rifiuto delle banche. O a richieste di garanzie che non possono sostenere. Ma c’è anche chi nel nostro Paese può trovarsi in difficoltà a chiedere un finanziamento o compiere altre operazioni della vita economica per motivi religiosi.
Sono i musulmani osservanti che volessero attenersi alla legge islamica: per loro un’operazione come chiedere un mutuo o anche semplicemente aprire un conto corrente diventa impossibile. Una finanza che rispetti i precetti del Corano infatti rifiuta la speculazione e soprattutto il prestito di denaro a interesse (riba), limite che di fatto rendere vietate (haram) moltissime operazioni.

I musulmani in Italia - E ad avere questo tipo di esigenze, nel nostro Paese, non sono in pochi. "I musulmani in Italia sono circa un milione e 400 mila - dice Giuseppe Mansur Baudo, promotore finanziario e socio di HalalItalia, ente italiano per la certificazione islamica delle imprese in vari ambiti, convenzionato con diversi ministeri italiani - e secondo le rilevazioni della Co.re.is (Comunità religiosa islamica), una buona metà di loro sarebbe interessata a prodotti sia bancari che assicurativi compatibili con la legge islamica". "Tra questi – aggiunge Baudo - vanno considerate sicuramente le 70mila partite Iva di piccoli e medi imprenditori musulmani".
Una di loro è anche Rascea cittadina milanese di origine egiziana, 30 anni, un lavoro in banca e il desiderio, prima o poi, di comprare una casa. "Il problema è sentito soprattutto da noi giovani, che abbiamo maggiori disponibilità rispetto ai nostri genitori – racconta Rascea – per comprare casa come devo fare? Mi chiedo. Mi devo adattare alla società in cui vivo o ai principi del Corano?". 

La finanza 'sharia compliant' - Per rispondere a una domanda come quella di Rascea (e di altri milioni di musulmani), si è affermata in molti paesi arabi (e sta prendendo piede anche in Occidente), a partire dagli anni '70 la finanza cosiddetta 'sharia compliant', che proprio nel Corano affonda le sue radici.
"Commette un crimine chi presta denaro a interesse e chi lo riceve, come anche chi registra e chi testimonia questo prestito a interesse" dice Maometto ed è da questo versetto che hanno origine precise regole e pratiche della finanza islamica. "Per la sharia - spiega il professor Fabrizio Petrucci, avvocato del foro di Milano, docente di contrattualistica internazionale presso l’Università LUM – il denaro non genera da sé altro denaro. Solo il lavoro o il rischio uniti al denaro possono generare guadagni. Così anche un semplice conto corrente o una carta di credito che fruttino un minuscolo interesse diventano vietati, e lo stessa cosa vale per un finanziamento o un mutuo in cui i soldi vengono restituiti con un tasso di interesse".

Per questo, nella finanza islamica, esistono strumenti che riescono a ovviare a questo tipo di problema senza impedire alla banca di guadagnare o di essere convenienti per il cliente. "Nel caso di un conto deposito ad esempio si può aggirare il divieto di riba pagando al cliente l’interesse in una maniera che non sia denaro: ad esempio con dei punti che garantiscono un servizio, come i punti della spesa per intenderci o le carte che offrono bonus sui voli" spiega Petrucci. Nei prestiti alle imprese invece il principio guida è che la banca deve condividere il rischio col cliente e così diventa socia dell’impresa, partecipando sia ai profitti che alle perdite.

La finanza sharia compliant è prevalente ad esempio negli Emirati arabi, forte in Paesi come l’Egitto e la Turchia e sta prendendo piede anche in Europa, per far fronte a una richiesta che viene dalle popolazioni immigrate, ma anche per poter attirare così capitali dall’estero.
"I nostri competitor dell’area euro come Germania, Francia, Gran Bretagna si sono già mossi – dice Valentino Cattelan, ricercatore di Finanza Islamica all’università di Tor Vergata - nel Regno Unito, al posto del mutuo tradizionale esiste il 'Piano d’acquisto della casa' per cui è la banca ad acquistare l’immobile per poi ad affittarlo al cliente, che paga il canone d’affitto insieme a una quota aggiuntiva che gli garantisce il progressivo acquisto della casa". In questo modo il guadagno che ottiene la banca non si configura come 'tasso di interesse', ma corrispettivo per un servizio.

Il ritardo del nostro Paese - In Italia, a parte i convegni e gli studi, si registra qualche esperimento a livello locale. "C’è stato un istituto di credito che provò a dare dei buoni pasto come interesse sui conti deposito - ricorda Cattelan - ma niente che si sia potuto applicare a livello nazionale".
Pierfrancesco Gaggi, responsabile relazioni internazionali dell’Abi, spiega come, in realtà, a fine 2010 sembrava si fosse vicinissimi all'approvazione di norme fiscali che avrebbero reso utilizzabili anche in Italia gli strumenti sharia compliant. "Ricordo – dice – come a un convegno Abi dedicato alla finanza islamica nel 2010 vi fosse stata una grande assunzione di responsabilità da parte di esponenti del governo Berlusconi in questo senso. I nostri uffici avevano elaborato un testo e anche la Banca d’Italia stava lavorando al tema. Poi un po’ per l’affermarsi di altre prorità date dalla crisi economica un po’ per le vicissitudini di quell’esecutivo, tutto è rimasto lettera morta. Ma il tema è ancora assolutamente caldo e meritevole di interesse".

Da parte sua anche la Co.re.is (che è il principale organo di rappresentanza dei musulmani in Italia e fa parte della Consulta Islamica presso il Ministero dell’Interno) ha cominciato a muoversi per cercare delle soluzioni, creando, nel 2009, lo Sharia board sui prodotti finanziari. Strumento nato, nell'ambito di un dialogo interreligioso, in seguito all’enciclica di papa Benedetto XVI Caritas in veritate che invitava ad affrontare la crisi finanziaria con mezzi etici, si relaziona con le istituzioni, con gli istituti di credito e  il mondo accademico per studiare e favorire lo sviluppo della finanza islamica.

Che, oltre a soddisfare i bisogni dei musulmani in Italia (che in mancanza di risposte finiscono spesso per autoregolamentarsi con strutture di mutua assistenza interne alle stesse comunità ma che si pongono fuori dalla legalità) potrebbe come si è detto servire anche ad attirare capitali da paesi islamici. Con un ritorno, non indifferente, anche per la nostra economia.

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